Contemplazione

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Nella carrozza di solido legno, tappezzata con stoffe ricamate di azzurro e argento, il silenzio era un compagno di viaggio fastidioso e ingombrante. Lavinia teneva fra le mani il lume che gettava la sua flebile luce aranciognola sui fratelli e sul viso di Cesare, che lei non aveva mai visto così teso e buio, ma che doveva essere lo specchio del proprio. Di tanto in tanto, quando la carrozza passava oltre un dosso o una buca, la cera saltava e le si schizzava sulle mani. Fabrizio guardava fuori dalla piccola finestrella oltre cui non si vedeva quasi nulla nel buio pesto della notte, e Antonino teneva la testa fra le mani, sospirando forte di tanto in tanto.

La casa di Antonino, o meglio, la casa dei suoi suoceri, in cui viveva con la moglie e il figlio, era di strada, per cui fecero la prima sosta lì. Una guardia aprì lo sportellino e ferì gli occhi dei passeggeri con la luce più intensa della sua lanterna da strada. Antonino si affrettò a scendere, e dopo un cenno di Cesare, anche Fabrizio scese senza fare una piega.

"Ehi... Fabrizio" cercò di protestare Lavinia, ma subito dopo che il fratello fu sceso, la porta fu chiusa e lei e Cesare restarono da soli. Lavinia sollevò gli occhi al cielo, inspirando a fondo per non perdere le staffe.

"Non la finiranno mai di fare illazioni sul mio conto se continui a insistere per stare solo con me" si lamentò, dandogli subito del tu, ora che non c'erano testimoni. Di fronte ad altri una simile libertà le sarebbe costata veramente cara, ma Cesare non si formalizzava.

"Lascia che parlino." Fu la replica scontata del Pallante mentre la carrozza ripartiva verso il palazzo di Valerio Lanzer. "Ho bisogno di raccomandarti la massima prudenza" Lavinia dovette stringere le mani intorno al piattino della candela per trattenersi dal muoverle in aria, perché sapeva che se ne sarebbe pentita se avesse approcciato Cesare.

"Grazie, veramente, non so come ho fatto a non pensarci prima" replicò aggressivamente, con sarcasmo. "Che cosa diamine è successo? Posso saperlo?" proseguì prima che lui la mettesse a tacere.

Cesare sollevò una mano verso il proprio volto, per massaggiarsi la mascella, come a cercare le parole con cui spiegarsi.

"Probabilmente i Poccolani si sono offesi perché li ho scavalcati nelle trattative" disse infine, lasciando Lavinia a bocca aperta. Quasi le veniva da ridere nel vedere i tentativi di lui di prenderla in giro.

"Complimenti, Cesare, la proverbiale arguzia dei Pallante scorre nelle tue vene!" Lo aggredì nuovamente col sarcasmo, questa volta alzando la voce. "Lo sapevi, tu, che i Poccolani hanno distrutto tutto quello che gli ho venduto?" gli chiese, e nella sua voce c'era accusa, anche se nemmeno lei riusciva a immaginare di cosa potesse essere colpevole l'innocuo Cesare Pallante. Nondimeno sentiva che lui aveva una parte in quella storia, e non le piaceva nemmeno un po'.

"L'ho sentito dire" bofonchiò lui, contrariato, senza raccogliere le sue provocazioni. "Ma non potevo dirti di non commerciare col Principe, sarebbe stato controproducente, non trovi? Se ne sarebbe accorto che lo evitavi o gli rifiutavi qualunque offerta."

"Avrei potuto evitare di vendergli gli affreschi!" replicò con veemenza lei. "Erano così belli..." soggiunse, abbassando lo sguardo sulle fiamme e deglutendo piano. Cesare sospirò.

"Lavinia, ascoltami bene. Cerca di non farti notare troppo. Se ti sembra di aver trovato altre cose interessanti, non dissotterrarle. Tienile da conto per un momento migliore. Poccolani non vivrà ancora a lungo..." Lavinia sollevò il capo di scatto, fissandolo spaventata, ma lui stava continuando e le lanciò un'occhiataccia: "è già molto anziano."

"E se invece non fosse così svelto a lasciarci? E se suo figlio prendesse il suo posto?"

"Fedro Poccolani avrà quello che si merita, e poi il suo posto non è sulla terraferma. Lui ha le sue navi e i suoi affari per mare, non sosterà tanto in città."

"Non ne sarei così sicuro. Magari anche lui comincia a pensare che suo padre non vivrà tanto a lungo e non vuole farsi trovare impreparato." Cesare sbottò in una risata nervosa e non disse nulla.

"Ci mancava solo un'accusa di eresia. Potrei fare la collezione. Se si viene a sapere che sono stata da sola con te stasera, sarà impossibile far tacere le dicerie" attaccò a lamentarsi Lavinia, rivolgendogli un'occhiataccia. Cesare non si faceva alcuno scrupolo nel mettere in difficoltà lei, pur di fare quelle due chiacchiere altamente scontate. Davvero era tutto lì? Non ci credeva. Sbuffò, in attesa. Ma lui ora stava zitto e la osservava assorto, con quell'espressione indecifrabile che le faceva venire la pelle d'oca: i suoi occhi sembravano disegnare con lentezza ogni singolo capello, ogni piega fuori posto, ogni rossore e ogni sua curva, da quella del naso appena a punta a quella del seno. Fosse stato un altro uomo, Lavinia avrebbe avuto paura; ma Cesare non aveva mai fatto nulla più che guardarla, e lei nel tempo aveva visto smentite alcune sue aspettative poco edificanti, per cui aveva imparato a lasciarlo fare, sempre senza dargli corda.

"Forse tu e Fabrizio dovreste spostarvi a palazzo per un po'" esordì all'improvviso lui, senza smettere di guardarla. Le aspettative poco edificanti si ripresentarono.

"No" rispose frettolosamente, sperando che lui non insistesse.

"Ci vorrà del tempo per sistemare la statua. Vi toccherà fare molta strada ogni giorno" protestò Cesare, facendola sentire stupida. Ma certo, pensava alla statua, si disse con sollievo.

"Parlane con Fabrizio. Ho lasciato a lui i frammenti. Io devo finire di ripulire le trincee fuori da Porta del Falco prima che passino i tombaroli veri."

La carrozza rallentò e si fermò, e la stessa guardia di prima spalancò la porticina. Lavinia posò con attenzione il piattino col lume sulla panca accanto a sé e fece per scendere, ma Cesare la precedette per poterle porgere la mano. Lei rifiutò quel gesto galante, borbottando fra sé e sé.

"Aspettiamo qui che rientri in casa" la avvertì Cesare scrutando le ombre sulla piazzetta deserta.

"Non ce n'è bisogno" replicò Lavinia, attraversando le ombre a passo svelto. "Grazie, signore" disse abbozzando un inchino nella cornice del portone, tornando a rivolgersi a Cesare con ossequio. Lui sollevò appena la mano in segno di saluto e rimontò in carrozza. Non appena le fu aperto, il cocchiere diede un colpo di frusta all'unico cavallo che trainava la carrozza e Cesare e le sue guardie si confusero col buio.

Amor oblita - Di congiure e catacombeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora