Porta del Falco

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Lavinia coprì in fretta la strada per la Porta del Falco, uscendo dalla città abitata e ritrovandosi ben presto in mezzo alle rovine. Era una boscaglia, popolata di rampicanti e arbusti, in mezzo ai quali spuntavano lacerti di mura in mattone, frammenti di marmo, tegole, rocchi di colonne.

Qui e lì qualche arco di pietra stava ancora in piedi, e dalla chiave di volta pendevano i fiori di un glicine o un verde serto di edera. Tutti i materiali utili erano stati asportati nel tempo, così che restavano solo rimasugli, simili alle ossa in un piatto di avanzi. Per trovare le cose davvero interessanti bisognava scavare, ed era quello che avevano fatto, trovando i resti di una antica abitazione.

Se i suoi calcoli erano esatti, la casa vera e propria era molto, molto più grande rispetto alle dimensioni già considerevoli dell'area scoperta che era decorata dalle colonne. Al centro di quello che doveva essere stato un giardino, aveva trovato la statua, stesa a terra e coperta di tegole. Si chiedeva che cosa avesse indotto gli antichi Amoriani a nascondere in quel modo affatto discreto una così grande statua, ma finora non era riuscita a darsi risposte soddisfacenti.

Inoltre, le stanze che aveva provato a indagare nei pressi del giardino non avevano dato particolari soddisfazioni, quindi era ora di ricoprire tutto. I lavori si erano interrotti per il Palio, ma ora che la festa era finita, gli uomini di Oreste dovevano essere già al lavoro. Si sarebbe limitata a dare le ultime indicazioni a Oreste perché tutto fosse ricoperto al meglio, per poi fare una passeggiata in mezzo alle rovine per cercare di individuare qualche altro punto che potesse presentare qualche interesse.

Oltrepassò l'enorme porta, sulla cui chiave di volta spiccava l'altorilievo da cui prendeva il nome quell'uscio ormai inutile, visto che il tratto di mura in quel punto era ridotto a poco più che una staccionata. Ormai mancava poco: si staccò dalla via principale, che proseguiva verso la campagna, e nonostante il cantiere fosse ancora lontano, le parve di sentire già le voci degli uomini al lavoro: si sentì di ottimo umore e allungò il passo.

Ma quando arrivò al cantiere, non trovò solo i manovali. Insieme a Oreste, a bordo della trincea, c'era Cesare Pallante. Questo non era nei piani, e Lavinia non amava che i suoi piani venissero modificati senza un avviso. Prima ancora di potersi chiedere che cosa ci facesse lui lì, fu riconosciuta e salutata.

"Signore, buongiorno. A cosa devo la visita?" disse non appena fu a portata di voce, continuando ad avvicinarsi. Anche a una veloce occhiata, si rese conto che Cesare non doveva aver dormito e che aveva il cappello calcato al contrario: come faceva a non accorgersi di quella piuma che gli pendeva a lato del volto? Si sforzò di non incantarsi a fissarla mentre oscillava piano nella brezza mattutina, ben sapendo che non era educato.

"Mio padre ha considerato che sarebbe opportuno presentarci al Principe, io e te" disse Cesare rivolgendole il solito sorriso, anche se non era allegro come voleva dare a intendere.

"Noi, presentarci al Principe?" ripeté Lavinia, incredula.

"Sì, per rinnovargli la nostra fedeltà." Tutti quei plurali la insospettivano.

"Ho già rinnovato la mia fedeltà al Principe un centinaio di volte" aggiunse, decisa a capirci un po' di più.

"Sì, ma è per quello che è successo ieri sera. Sarebbe bello se andassimo a fargli vedere che non siamo dispiaciuti per la statua e per le accuse..."

"Sì, sarebbe bello, se non lo fossimo" concordò Lavinia, scostando lo sguardo annoiata.

Pochi minuti dopo era di nuovo in carrozza con Cesare.

Amor oblita - Di congiure e catacombeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora