Vicolo cieco

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In quel momento, tutti e tre i fratelli Fabiani desideravano ardentemente essere altrove. Fabrizio per non dover vedere il suo orgoglio del tutto spappolato da Marco e non dover sopportare Bianca che piangeva, Antonino per non finire infilzato da qualche congiurato e Lavinia più o meno per gli stessi motivi del fratello minore, con il piccolo dettaglio che, se fosse rimasta ferma e buona, correva meno rischi di lui.

Ma Lavinia stava ferma e buona da quelle che le sembravano ore e ore, e non era ancora riuscita a farsi venire un'idea brillante per scappare a quella bizzarra prigione in cui si era calata da sola. I congiurati nel frattempo si erano accomodati come una banda di senzatetto, facendo circolare un orcio di vino per tenere caldi gli animi – senza esagerare, però! Mica volevano essere brilli per l'ora concordata... - ed estraendo da non si sa quale sacco del pane e del formaggio per una pittoresca merenda nelle catacombe, comodamente seduti a terra dove i topi erano probabilmente gli animali più sani che erano passati, in tutti quegli anni di sudiciume. 

Almeno, nel sedersi, si era ritrovata Settimo accanto – lo aveva riconosciuto, fortunatamente, perché lui le aveva dato un buffetto e le aveva detto di rilassarsi. Ormai non c'era più nulla da temere, e i congiurati avevano spensieratamente deciso di togliersi le maschere e congratularsi fra di loro. Oltre a Settimo, Lavinia si rese conto di avere azzeccato qualche altro nome, ma mancavano Lucio Ambra, Stella e altri nomi che aveva segnato sulla lista. La sua stima nei loro confronti crebbe esponenzialmente, ma quando Settimo la esortò a togliersi la maschera come lui, non riuscì a non sentire un groviglio allo stomaco. Non voleva che quelle persone pensassero che anche lei fosse una di loro. Non voleva passare la notte in loro compagnia, a bivaccare con pane e formaggio, innaffiandosi di vino.

"Credo di dover vomitare" bisbigliò a Settimo, e subito si guardò intorno alla ricerca di un angolino appartato. Con la mente annebbiata dai conati che le facevano ballare lo stomaco, si rese conto che quella forse era l'unica occasione che aveva per scappare. Si diresse a passi lunghi verso il corridoio, facendo segno a Settimo di aspettarla lì.

Lavinia credette, per lunghi meravigliosi istanti, di poter approfittare del suo piccolo vantaggio per darsi alla fuga. Ma non appena l'odore nauseabondo delle catacombe le accarezzò il naso con la forza di una sberla, ebbe giusto il tempo di sollevarsi la maschera prima di ritrovarsi piegata a metà a rimettere tutto quello che aveva nello stomaco. Emise un lungo lamento, prima di ritornare a rimettere, scossa da spasmi di ribrezzo nel vedere, al chiarore di una torcia, che aveva vomitato sopra un mucchio di ossa. Ma proprio il fatto di vederci le ricordò che il corridoio era buio. Scattò in piedi, con la testa che le girava, ritrovandosi davanti a due figure munite di torce e pugnali.

"Oh, Dio" balbettò, certa di avere le visioni. Prima che riuscisse a dire nulla, le mani molto reali di Cesare Pallante la agguantarono e la spinsero avanti nel corridoio.

"Di qua!" bisbigliò Antonino, infilandosi nella sala ottagona delle virtù imperiali alla sua destra.

Ma Cesare non rallentò, e continuò a spingere Lavinia verso il fondo del corridoio: "Sei pazzo? Esci di lì, è un vicolo cieco!" Nello stesso momento Settimo si affacciò al corridoio e, vedendo Lavinia scappare con un uomo, non ci pensò due volte a lanciare l'allarme.

"Che cosa ci fai qui?!" esclamò Lavinia, cercando di riprendersi dallo smacco.

"Indovina!" replicò Cesare sarcastico. Alle loro calcagna avevano una schiera di torce. Qualcuno lanciò contro di loro delle ossa raccolte da terra. Una finì in mezzo ai piedi di Lavinia, che cadde in avanti e si ingarbugliò nel mantello. Cesare rallentò e cercò di aiutarla ad alzarsi, ma alla fine dovette rassegnarsi ad estrarre la spada e a mettersi in guardia, parandosi fra Lavinia e i congiurati.

"Scappa!" le disse, mentre lei ancora disorientata lottava ora con la fibbia del mantello per toglierselo. Ma quando fu in piedi, i loro inseguitori ormai erano di fronte a loro, ed era ovvio che non sarebbe riuscita ad andare proprio da nessuna parte. I congiurati, forse più terrorizzati di loro due, li squadrarono in silenzio per un momento.

"È Lavinia Fabiani!" esclamò Porzio Artemisia, e subito dopo un altro uomo riconobbe Cesare Pallante.

"Non fate loro del male! I Pallante ci pagheranno fior di quattrini per avere il loro erede" dichiarò Settimo, prima che qualcuno compiesse un gesto avventato. "E Lavinia Fabiani è una fine conoscitrice di antichità, le sue conoscenze sono preziosissime per la causa dell'Imperatore!"

Cesare se ne stava ancora lì con la sua spada in mano, ma nessuno pensò per un momento che potesse essere un pericolo.

"Avanti, Pallante, deponete le armi e parliamone civilmente" suggerì qualcuno.

"Ci stavate lapidando con delle ossa!" fece loro notare lui, senza muoversi. "E volete insegnare a me la civiltà!"

"Cesare, lasciate andare quell'arma" gli intimò Settimo.

Cesare fu sul punto di cedere, poi tentò di trattare: "Mi offro come ostaggio, in cambio della libertà di donna Lavinia" La risposta dei congiurati fu una fragorosa risata.

"Credi che siamo scemi? Lavinia non andrà proprio da nessuna parte: ha sentito troppo."

Cesare si voltò a guardare Lavinia che nel frattempo si era rialzata. Le rivolse un'occhiata interrogativa, ma lei scosse il capo affranta: non avrebbe mai costretto Cesare a scontrarsi in una così netta inferiorità numerica, con così poche possibilità di fuggire. Con un sospiro Cesare lasciò cadere a terra la spada e il pugnale. I congiurati gli si fecero subito intorno e li immobilizzarono, conducendoli nuovamente all'aula.

Amor oblita - Di congiure e catacombeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora