La Nanna

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La mattina seguente Fabrizio si svegliò indolenzito ma ampiamente soddisfatto, con un sorriso sornione sulle labbra mentre ripensava a come si era conclusa magnificamente la serata precedente. Allargò le braccia sul letto, cercando il corpo di Angelica, ma come i più bei sogni, doveva essere svanita all'alba. Ancora gonfio come un pavone per la sua performance, si portò le mani alla testa godendosi ancora per qualche momento la sensazione piacevole di essere riuscito – non sapeva bene come – ad attirare l'attenzione di una donna simile. Ora che si erano conosciuti, sperava che lei non aspettasse troppo tempo prima di tornare a cercarlo, possibilmente per una nuova notte di fuoco. Si alzò e stiracchiandosi camminò per la stanza, raccogliendo qui i pantaloni, là la camicia, il farsetto abbandonato su una sedia. Si rivestì fischiettando e andò alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, prima di mettersi a lavorare. E fischiettò praticamente tutto il giorno mentre, senza troppo applicarsi, se ne stava seduto in cima alla scala, a contemplare gli irriconoscibili frammenti alla ricerca di quelli che combaciavano con la scalfittura che percorreva il centro del volto del colosso di marmo. Alla fine della giornata decise di fare qualche annotazione sul taccuino, ma nella sua stanza non c'era.

"Sta' a vedere che l'ho lasciato da Antonino" brontolò mentre apriva i cassetti e spostava i guanciali, senza trovarlo. "Poco male" deliberò alla fine della sua infruttuosa ricerca: "Mi fermerò a cena da loro, e poi tornerò a quella taverna, chissà che non la incontri di nuovo..."

Quando bussò alla porta del fratello, Antonino venne ad aprirgli scuro in volto.

"Ehi, ma che è successo?" gli domandò, mentre si slacciava il farsetto per mettersi comodo.

"Ma come, non lo sai che quel disgraziato di Pallante ha regalato il colosso al Principe? A giorni diventerà calce! Lavinia è furibonda..."

"È qui?" indagò subito Fabrizio, affacciandosi alla sala, ma trovò solo Elettra.

"Buonasera, cara" la salutò prima di seguire Antonino nel suo studiolo. Era pieno di volumi e cartacce, macchie di inchiostro color seppia costellavano il pavimento e c'erano disegni e appunti appesi un po' ovunque alle pareti. Un'ampia finestra gettava l'ultima luce del giorno nella stanza.

"È andata via poco fa. Se avessi saputo che passavi, le avrei detto di trattenersi" disse alla fine Antonino, mentre si metteva seduto su uno sgabello. Fabrizio si strinse nelle spalle.

"Pazienza, meglio così: non ho voglia adesso di farmi rovinare la festa" dichiarò con un sorriso da ebete stampato in faccia. Antonino aggrottò le sopracciglia e lo guardò curioso:

"Cosa ci sarebbe da festeggiare?" chiese, diffidente.

"Ah, Antonino, tu ormai sei un uomo sposato" iniziò a fare Fabrizio, gonfiando il petto e dandosi un sacco di arie. "Sono lontani i giorni in cui anche tu potevi andare di fiore in fiore come un'ape operosa..."

"Ah, una donna" commentò l'altro, scuotendo il capo come se fosse stato sciocco da parte sua aspettarsi altro. Infatti proseguì: "Capisco, bravo, ce l'hai fatta. È ricca? Può pagare qualche nostro debito?"

"Ricca?" ripeté Fabrizio, massaggiandosi la mascella. Si accorse che la barba era troppo cresciuta e si disse che prima di uscire sarebbe stato meglio chiedere un rasoio al fratello: non voleva apparire trascurato alla sua Angelica.

"Sì, ricca, facoltosa, danarosa..." ribadì Antonino, con cenni eloquenti delle mani. "Se frequenta il palazzo dei Pallante non sarà mica una stracciona, vero? Non sei andato a cercare compagnia nelle cucine, dico bene?" Fabrizio si riscosse e alzò appena il mento, come a dire che non aveva una risposta alla sua domanda.

Amor oblita - Di congiure e catacombeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora