Passai le ore seguenti a camminare avanti e indietro nella mia stanza. Avevo consumato due interi pacchi di cleenex e mi ero decisa di smetterla. Dovevo fare qualcosa: non potevo permettere che l'amicizia tra me e Catherine finisse per un motivo così stupido.
La mamma era passata una sola volta per accarezzarmi i capelli e rassicurarmi, ma aveva capito che avevo bisogno di restare sola con me stessa. Dovevo trovare un modo per farmi perdonare del mio errore.
Era ora di pranzo quando finalmente lo trovai. Presi il cavalletto che i miei genitori mi avevano regalato per il mio quindicesimo compleanno. Era splendido e lo utilizzavo solo nelle occasioni speciali. L'avevo usato sei volte in quegli otto anni. Mi piaceva dipingere, ma spesso non trovavo il tempo per farlo. Tutti i miei quadri erano appesi nelle varie stanze della casa. Due di essi erano a tela grande, i restanti erano medi e piccoli.
Questa volta optai per una tela media e la appoggiai al cavalletto. Preparai tutti i colori di cui avevo bisogno ed impugnai il pennello. Di fronte a me c'era una fotografia risalente a quattro anni prima. C'eravamo Catherine ed io sorridenti e abbracciate. Quella era la mia foto preferita in assoluto.
Come ogni volta che cominciavo a disegnare persi completamente la cognizione della realtà. Ero concentrata sulla tela davanti a me e ogni tanto lanciavo occhiate alla fotografia. Mi rendevo conto soltanto del senso di pace che mi permeava tutta ogni qual volta disegnavo un tratto della mia migliore amica. Perfino la discussione di poco prima mi sembrò una cosa lontana da me.
Utilizzai pochi colori: azzurro per gli occhi di Catherine, giallo ocra per i suoi capelli, verde per i miei occhi e nero per i contorni del viso e i miei capelli. Le mani si libravano veloci sulla tela che si riempiva sempre di più. Non mi soffermai sulle macchie di pittura che mi procuravo mentre sciacquavo il pennello o restavo con la mano sospesa in grembo, com'era mia abitudine. Lo stavo facendo per Catherine, per la mia migliore amica. E non importava se macchiavo dei vestiti irrimediabilmente, perché l'unico panno sporco che importava davvero era la mia anima. Solo Catherine poteva farla tornare al suo bianco originario.
Fuori era buio quando posai il pennello sporco di nero. Avevo il respiro leggermente affannato, come se avessi appena finito di correre. Mi succedeva sempre quando finivo un quadro. Ammirai la mia opera in silenzio e mi spostai i capelli dal viso. Lasciai che la tela si asciugasse e mi sedetti sul davanzale della finestra. La aprii e lasciai che l'aria fredda invadesse la mia camera e penetrasse nelle mie ossa. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare ai miei pensieri vorticosi. Non riuscivo nemmeno a credere che solo qualche ora prima io e Catherine avevamo litigato. O meglio: lei aveva discusso senza che io potessi nemmeno dire la mia. Mi faceva male ripensare alle sue parole e, soprattutto, alle sue lacrime. Mi asciugai una lacrima calda che rigava una mia guancia gelida.
Feci penzolare una gamba fuori la finestra e appoggiai la testa sulla fredda struttura portante. Cominciai a singhiozzare. Pensavo a quello che potevo aver perso e mi sentivo stringere il cuore in una morsa strettissima. Mi sentivo così tanto responsabile di quello che era accaduto.
Mi addormentai così: con le lacrime cristallizzate sulle guance bollenti per il pianto, i capelli sparsi sulle spalle e macchiati di colore, il cuore con un pezzo mancante.
Mi svegliai di soprassalto e mi accorsi di essere nel mio letto. Mi misi seduta e stropicciai gli occhi per mettere a fuoco la stanza. Immaginai che papà doveva avermi trovata sul davanzale della finestra e avermi portata nel letto. Sentivo aleggiare nell'aria il suo profumo inconfondibile. Una flebile luce traspariva dalla finestra semichiusa e un fascio di luce illuminava la tela ormai completa. Ci misi poco più di cinque secondi per rendermi conto che era mattina ed io avevo una missione da compiere. Poggiai i piedi sul pavimento freddo e cercai le mie pantofole imbottite. Appena le misi mi sembrò che tutto il mio corpo si riscaldasse. Mi vestii come una furia, senza nemmeno curarmi dei vestiti che stavo indossando. Solo quando fui fuori casa mi resi conto di star indossando i vestiti del giorno prima, quelli macchiati di pittura. E mentre correvo a perdifiato con la tela accuratamente coperta tra le braccia, mi vidi ondeggiare davanti delle ciocche di capelli colorate di blu, verde e giallo ocra. Non diedi peso alla cosa: ero troppo concentrata a riuscire nel mio intento. Corsi con tutta l'energia che avevo in corpo e quasi inciampai nei miei passi un paio di volte. Ero così agitata ed emozionata che non riuscivo nemmeno a mettere in ordine i pensieri nella mia testa.
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Flowers
General FictionKyle Kirk è sempre stato un bambino problematico. Orfano di padre, con una sorella minore e una madre troppo giovane, decide di prendersi lui tutte le responsabilità che non dovrebbero spettare a un bambino di soli tredici anni. La sua prima adolesc...