Non riuscii a fare a meno di ridere a quell'affermazione. Mi coprii la bocca con la mano e mi voltai verso il finestrino: mi imbarazzavo al solo pensiero che mi vedesse sorridere. Con la coda dell'occhio notai il suo movimento fulmineo. Fu solo un attimo in cui si girò dalla mia parte e mi guardò, poi tornò con lo sguardo alla strada nuovamente.
Guardai il paesaggio fuori dal finestrino. Vedevo alberi alti, avvolti nell'oscurità. L'unica fonte di luce erano i fari dell'auto.
-Dov'è che abiti?- mi chiese dopo qualche minuto di silenzio. Mi girai verso di lui e sentii di nuovo quel profumo così buono ed unico.
-In realtà dovrei andare dalle mie prozie. Si è fatto tardi e sono sicura che mi stiano aspettando fuori la porta con Mr Doodie in braccio.-
-Chi è Mr Doodie?- sorrideva mentre mi poneva la domanda.
-è l'iguana delle mie zie. Loro non si sono mai sposate e...hanno ripiegato su un animaletto domestico.- mi strofinai le nocche delle mani. Lo facevo sempre quando ero nervosa. E, in quel momento, ero più che nervosa. I neuroni sembravano aver bruciato tutte le sinapsi e il cuore batteva senza sosta nella cassa toracica. Mi sembrava di essere sulle montagne russe: così in alto da poter quasi toccare il cielo, ma con la sensazione di adrenalina che di lì a poco sarei ridiscesa a tutta velocità. Mi stupii ancora una volta del fatto che era lui a provocarmi quelle sensazioni. Sembravo una matricola del college che si agitava appena vedeva un ragazzo passare per il corridoio. Ripercorsi con la mente gli anni della mia adolescenza e prima giovinezza e mi ricordai di quanto fossi schietta con i ragazzi. Prima che conoscessi Catherine avevo frequentato un paio di compagni di corso, ma non era stato nulla di tanto importante.
In quel momento invece mi sentii come se tutti quegli anni di sguardi, approcci e relazioni si fossero smaterializzati davanti ai miei occhi. Cercai nella mente il ricordo del mio primo appuntamento. Avevo sedici anni e mi ero da poco adeguata agli usi e alle mode del momento pur di entrare a far parte di un gruppo. Portavo vestiti in cui non mi rispecchiavo e scarpe scomode. Quella serata non fu particolarmente emozionante: andammo al cinema e poi passeggiammo per strade conosciute. Il bacio che ci eravamo scambiati poco dopo non aveva suscitato nulla in me e tantomeno la sua proposta di uscire nuovamente. Sorrisi a quel ricordo futile e provai a concentrarmi sul ragazzo che avevo accanto. Mi imposi autocontrollo e cercai di respirare normalmente. Sembrava davvero che avessi corso fino a casa sua per fare jogging, in quel momento.
-Non lo definirei un animaletto domestico. Potrebbe aggredirle.- guidava con tutta la calma del mondo, come se quella situazione gli apparisse assolutamente normale. Avrei dato qualunque cosa pur di essere come lui.
-Oh, no! Mr. Dodie è mansueto. Non farebbe del male ad un mosca. O forse sì, siccome l'altro giorno stava guardando il pesciolino rosso della signora della casa di fronte con sguardo famelico.- risi nervosamente.
Mi maledissi mentalmente. Cercai di non dare troppo a vedere la mia espressione rassegnata. Ogni volta che ero agitata, iniziavo a dire cose senza senso. Proprio come quella che avevo partorito pochi secondi prima.
Quasi saltai sul sedile quando sentii la sua sonora risata. Mi voltai verso di lui sconvolta. Il suo viso era contratto in una smorfia divertita. Gli occhi azzurri erano più sottili e sorridevano proprio come la bocca, atteggiata in un sorriso a trentadue denti. Notai una piccolissima fossetta sulla guancia destra e rimasi incantata a guardarlo: era così bello. Sembrò che tutto il suo corpo si fosse rilassato dopo quella piacevole risata.
-Non sapevo che fossi così divertente, sai?- biascicò ridacchiando. Il suo petto era scosso dalle sue risa trattenute.
Arrossii e per qualche secondo non ebbi nemmeno la facoltà di parlare. Se poco prima i miei neuroni avevano semplicemente bruciato le sinapsi, adesso stavano facendo un falò per farle scomparire per sempre. Non riuscivo a ragionare lucidamente.
Mi ritrovai a ridere con lui. Una risata sincera, liberatoria. Nessuno prima di lui mi aveva detto una cosa del genere. In tutta la mia vita, ero sempre stata vista come una ragazza seria e ligia al dovere. I miei compagni mi avevano escluso finché non mi ero adeguata ai loro standard di accettazione. Anche con Catherine non sempre riuscivo a dare sfogo a tutti i miei pensieri meno importanti. Con lui invece sembrava tutto così semplice e naturale.
Pian piano sui lati della strada cominciavano a scomparire gli alberi. La città si stava avvicinando sempre di più. Il sorriso scomparve quando capii che quel viaggio con Kyle stava per finire. Avrei tanto voluto che durasse molto di più.
Kyle, dal canto suo, aveva un'espressione rilassata. Sorrideva ancora e guardava la strada con attenzione, sebbene fosse evidente la poca concentrazione alla guida in quel momento.
Diedi uno sguardo all'orologio e mi agitai. Si era fatto davvero tardi. Sicuramente le zie erano preoccupate. L'ultima volta che avevo tardato così tanto le avevo trovate ad appendere volantini con la mia foto in modo che qualcuno mi ritrovasse. Le zie non sapevano usare bene il telefono, quindi si erano sentite perse quando avevo tardato di due ore. Mi sentii terribilmente in colpa. Sicuramente mi stavano cercando disperate.
Dissi frettolosamente l'indirizzo a Kyle. Lui sembrò accorgersi del mio nervosismo, ma non si sbilanciò. Continuò a guidare con la stessa velocità, senza accelerare né rallentare. Avevo il cuore in gola e non riuscivo a deglutire. Qualche anno prima zia Beth aveva avuto un attacco di cuore e da quel momento ci era stato raccomandato di tenerla sempre sotto controllo e di non farla agitare. E se le fosse successo qualcosa per colpa mia?, pensai.
-Tutto bene?- fui risvegliata dai miei pensieri dalla voce di Kyle. Mi voltai verso di lui e cercai di dare un contegno alla mia agitazione. Mi sforzai di sorridere, ma probabilmente il risultato fu una smorfia.
-Sono nervosa perché sto tardando molto.- ammisi d'un tratto. Mi sorpresi di me stessa per la rapidità con cui mi ero confidata. Non era mai stato così facile per me aprirmi agli altri. E adesso invece spiattellavo i miei stati d'animo al fratello della mia migliore amica di cui sapevo a stento il nome e la professione. Ero l'esempio dell'incoerenza di cui tanto parlava la mamma a volte.
-Devo solo svoltare l'angolo e siamo arrivati. Non preoccuparti.- Il suo tono di voce mi fece sentire meglio. Era così calmo e rassicurante che, nonostante il nervosismo palpabile e imperioso, riuscii a diventare di nuovo padrona di me stessa. Feci un respiro profondo e sentii un peso togliersi dal cuore quando Kyle accostò davanti la casa delle mie zie. Loro erano lì, tutte e tre. Le riuscivo a vedere distintamente anche se era sera inoltrata. Erano sedute sul portico e guardavano la strada, probabilmente con la speranza che fossi comparsa da un momento all'altro.
Mi portai una mano al petto e sentii il cuore battere all'impazzata, ma più per il sollievo di quel momento che per la paura di poco prima. Chiusi gli occhi un solo secondo e, quando li riaprii, mi accorsi dello sguardo di Kyle su di me. Aveva spento il motore dell'auto, ma teneva ancora le mani sul volante.
Gli sorrisi riconoscente:-Grazie per il passaggio. Mi dispiace di averti rubato tempo e...-
-Ti assicuro che è stato un piacere per me.- mi sorrise sbilenco e arrossii.
-Ci...ci vediamo.- le parole mi si bloccarono in gola. Afferrai la maniglia e, proprio quando stavo per scendere, sentii la sua voce.
-Ci vediamo domani. Magari quando ti trovi a fare jogging vicino casa mia con le ballerine al posto delle scarpe da ginnastica.-
Risi nervosamente e mi maledissi per aver messo quelle scarpe quella mattina.
-Sì, a domani.- scesi velocemente e chiusi lo sportello. Non mi voltai nemmeno una volta dietro: si sarebbe accorto del mio sorriso raggiante.
Agrimonia, genere comprendente diverse specie di piante erbacee perenni, originario delle regioni temperate dell'emisfero settentrionale, eccetto una specie dell'Africa. Nel linguaggio dei fiori indica la gratitudine.
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Flowers
General FictionKyle Kirk è sempre stato un bambino problematico. Orfano di padre, con una sorella minore e una madre troppo giovane, decide di prendersi lui tutte le responsabilità che non dovrebbero spettare a un bambino di soli tredici anni. La sua prima adolesc...