Capitolo sedici-Garofano giallo

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Non so cosa mi spinse ad afferrare il mio cappotto in tutta furia e a salutare la mia migliore amica e la signora Kirk con una fretta che non era da me. Volevo andare via da quella casa. Mi sembrava di soffocare. Sembrava quasi che l'ossigeno non volesse raggiungere i miei polmoni. Avevo le mani sudate e cercavo di asciugarle contro il mio cardigan rosso scuro. Abbottonai il cappotto già sull'uscio della porta e abbracciai frettolosamente Catherine. Non riuscivo nemmeno a formulare delle frasi di senso compiuto. Appena prima che la porta si potesse chiudere definitivamente, vidi Kyle appoggiato contro il corrimano delle scale. Mi osservava con uno sguardo imperscrutabile. Non riuscivo nemmeno a capire cosa provasse: era il volto dell'apatia. Gli occhiali spessi gli ingrandivano così tanto gli occhi azzurri che li riuscivo a vedere da quella distanza. Le braccia incrociate contro il petto gli facevano scoprire appena i polsi ricoperti da un maglioncino blu oltremare. Sentii il fiato mozzarsi e mi sembrò di perdere un battito.

Trattenni il fiato finché la porta non si chiuse davanti a me, distaccandomi dai suoi occhi. I suoi occhi. Mi voltai atterrita e quasi corsi per raggiungere la mia macchina. Aprii lo sportello faticosamente, tanto che le mani erano sudate. Non riuscivo nemmeno a fare presa sulla maniglia. Mi lasciai cadere sul sedile e richiusi velocemente la portiera. Il buio mi avviluppava nelle sue braccia gelide. Ma il mio cuore era caldo. Mi sembrava di esplodere nei miei vestiti e anche il mio cervello non riusciva più a funzionare correttamente. Mi sembrava quasi di sentire il corto circuito di tutte le mie sinapsi che non riuscivano più a collegarsi tra di loro. Provai ad afferrare le chiavi dalla borsa, ma le mani tremavano così tanto che finii per farle ricadere sulle mie gambe.

-Riprenditi, May.- sussurrai a me stessa, cercando di ritrovare la mia solita calma. Ma ottenni il risultato opposto. Delle goccioline di sudore mi imperlavano la fronte e le tempie. Mi sentii un fuoco. Infilai le chiavi e accesi il motore, il tutto il più in fretta possibile. Strinsi il volante con tutta la forza che avevo, pur di imporre alle mie mani di stare ferme.

Solo quando ingranai la marcia e mi allontanai da quella casa, mi sentii meglio. La calma ritornò in me. Ma il fuoco restò lì.


-Sono qui!- urlai entrando in casa delle mie prozie. Ero di ritorno da una giornata lavorativa piena. Sentii le palpebre pesanti e provai l'impulso di stendermi sul divano e addormentarmi. La sera prima ero rincasata giusto in tempo per cena, ma avevo mangiato controvoglia. Sentivo lo stomaco chiuso e attorcigliato su se stesso, come se volesse rintanarsi nei meandri del mio corpo. Subito dopo aver sparecchiato e aiutato la mamma a lavare i piatti, ero corsa in camera mia ed ero rimasta sveglia tutta la notte. Avevo i pensieri ancora più ingarbugliati dello stomaco, se possibile. Non riuscivo a fare chiarezza nella mia mente. Sentivo solo che qualcosa mi stava turbando profondamente. Solo dopo ore davanti alla mia tela bianca su cui dipingere avevo capito dov'era il problema. E quel problema aveva anche un nome: Kyle. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che mi fossi preoccupata per lui. In fondo, era poco più di un estraneo per me. Forse erano state le parole della signora Kirk a confondermi, o forse era stato semplicemente lui. Non avevo una risposta certa, ma sentivo che era lui che mi stava facendo sentire così. Come se avessi avuto una fiamma bollente che m'infiammava tutto il corpo.

E prima che potessi rendermene conto, si era fatto giorno ed era giunto il momento di andare a lavoro. Pensavo che impiegare tutta me stessa sul posto lavorativo avrebbe scacciato quel senso di smarrimento e turbamento che sembrava non volermi più lasciare. Ma probabilmente sbagliavo di grosso.

Fu solo in quel momento che me ne resi conto, dopo che ebbi richiuso la pesante porta di legno scuro alle mie spalle. Non riuscivo a fare chiarezza sui sentimenti che provavo. Un'angoscia profonda mi attanagliò lo stomaco e mi sentii persa. Come aveva fatto un'unica persona a mandarmi in una tale crisi?

Cercai di scacciare quella verità così scomoda e angosciante e mi incamminai lungo il corridoio della casa delle abc. Entrai in cucina e vidi le mie prozie intente a litigare, come loro solito.

Zia Beth aveva una forchetta a mezz'aria e puntava un dito della mano libera contro zia Carolie. Zia Abbie vagava per la stanza alla ricerca di Mr Dodie. Era un pandemonio.

-Cosa succede qui?- chiesi con un sorriso che cercava di mascherare tutta la stanchezza e la preoccupazione.

Zia Beth inforcò le lenti enormi e mi squadrò dalla testa ai piedi. Appena si rese conto che non ero uno dei suoi innumerevoli fantasmi morti più di trent'anni prima, se li tolse con nonchalance.

-Mia sorella Carolie mi ha dato da mangiare del cibo per gatti.- annunciò con una nota di disgusto e rabbia.

Mi avvicinai alla tavola e vidi che effettivamente c'era della pastura indefinita nel piatto della mia prozia.

-Mi sono solo confusa! I barattoli dei legumi e quelli del cibo per gatti sono uguali, ormai. I tempi stanno peggiorando sempre di più.- borbottò in sua difesa zia C.

-Mr Dodie!- zia Abbie chiamò a gran voce la sua adorata iguana.

-Potevo morirci!- urlò zia Beth alla sorella.

-Non si muore per del cibo per gatti!- zia Carolie si alzò dalla sedia e alzò la voce di un'ottava in più.

Mi girai verso zia Abbie e vidi che apriva il pattume della plastica e ne tirava fuori Mr Dodie. Restai a bocca aperta per qualche secondo, prima di ricompormi alla bell'e meglio.

-Facciamo che adesso vi preparo io qualcosa, così che ci calmiamo tutte. Che ne dite?- feci sedere nuovamente le mie zie e presi una sedia per mettermi accanto a loro.

-Sono sicura che zia Carolie non l'ha fatto apposta.- dissi a zia Beth.

-Costava due dollari in meno del solito. Ero così felice che finalmente le lenticchie fossero tornate ai prezzi del colonialismo.- mormorò zia Carolie. Le lanciai un'occhiata confusa, ma non mi soffermai troppo sulle sue parole.

L'espressione di zia Beth si addolcì gradualmente. Prese la mano nodosa della sorella e la strinse tra le sue. Si sorrisero, mostrando le loro dentiere perfettamente bianche.

L'apparente calma che si era venuta a formare fu interrotta da zia Abbie. Non ebbi nemmeno il tempo di chiederle cosa stesse facendo, prima che prendesse il piatto con il cibo per gatti e svuotasse il contenuto fuori dalla finestra. Soffocai un urlo e mi alzai dalla sedia per affacciarmi alla finestra. Misi la testa fuori e guardai giù: la poltiglia scura aveva colpito in pieno i gerani della signora al piano di sotto.

Sospirai e richiusi la finestra, girandomi per guardare zia Abbie. Aveva un sorriso sinceramente divertito e l'espressione vispa e attenta.

-Posso sapere perché l'hai fatto, zia?- lasciai ricadere le braccia lungo i fianchi e la guardai a lungo.

-Perché al piano di sotto vive Miss Rochell.- disse convinta.

Cercai a stento di trattenere una risata:-Zia Abbie, Miss Rochell è morta trent'anni fa!- ripetei per l'ennesima volta. Erano anni che ripetevo quella frase.

Lei mi guardò con aria pensierosa e assorta, come se stesse cercando di metabolizzare le mie parole. Per un attimo sembrò che le avesse capite per davvero. Ma un secondo dopo smentì le mie flebili speranze.

-Può sempre viverci il nipote. Tanto vale tener vivi i vecchi dissapori e continuare la battaglia fino alla fine.-

E non riuscii più a trattenermi dalle risate.


Quando ormai il sole era tramontato e la luna si stagliava alta nel cielo, tornai a casa. Non discussi molto con la mamma. Piuttosto preferii rintanarmi in camera da letto. Sospirai pesantemente appena fui sotto le coperte al caldo. Era stata una giornata stancante e avevo bisogno di dormire. Quasi non mi accorsi nella mia agitazione che pian piano chiudevo gli occhi. E mi addormentai così: cullata dal tepore dell'angoscia e con l'immagine di un maglioncino blu che lasciava scoperta una pelle liscia e perfettamente bianca.


Garofano giallo, pianta nativa della regione del Mediterraneo, anche se la sua esatta origine non è nota. Nel linguaggio dei fiori indica l'incertezza sui propri sentimenti.


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