-Devi andare da qualche parte?- zia Beth mi guardò per un lungo momento, inforcando i suoi enormi occhiali.
Infilai la giacca velocemente:-Sì, zia. Devo andare da Catherine. Dobbiamo sistemare una...questione.-
Lei annuì, lanciandomi un'ultima occhiata prima di spostare lo sguardo nuovamente sul suo lavoro a maglia. Salutai le abc con un bacio sulla guancia a testa.
Scesi di fretta le scale, rischiando di uccidermi tra un gradino e l'altro. Dovevo arrivare il prima possibile, a costo di rompermi qualcosa.
Non impiegai molto ad arrivare a casa di Catherine. Parcheggiai al solito posto e feci un respiro profondo prima di scendere dall'auto. L'aria fredda mi sferzò il viso e scompigliò i capelli neri che mi sembrarono ancora più scuri della realtà in quel crepuscolo. Strinsi i pugni e mi feci coraggio: sapevo cosa sarebbe successo di lì a poco. Catherine mi avrebbe detto qualcosa che non avrei voluto sentire. Mi si sarebbe spezzato il cuore una seconda volta nell'arco di quarantotto ore. Dovevo essere coraggiosa ed affrontare la verità a testa alta. Lo dovevo a me stessa.
Camminai a passo spedita diretta al portone. Lo trovai socchiuso e lo varcai senza indugi. Lei era a pochi passi da lì, appoggiata alla porta di casa. Mi guardava con quello sguardo così familiare ma così irriconoscibile allo stesso tempo. Quegli stessi occhi azzurri che mi tormentavano nei sogni, anche se appartenevano a suo fratello.
Tra me e Catherine c'era sempre stato un rapporto pratico: le parole non dimostravano facilmente l'affetto che provavamo l'una per l'altra. I gesti contavano davvero. Un caffè macchiato senza zucchero sulla scrivania ogni mattina, una pacca sulla spalla a fine giornata: queste piccole cose contavano davvero per due come noi.
In quel momento, mi resi conto che a volte non bastavano soltanto i gesti. Le parole erano maledettamente importanti. Lo capii dallo sguardo che mi lanciò. Nessun caffè o pacca sulla spalla sarebbe bastata in quel momento. Avevo bisogno di spiegazioni concrete.
Richiusi il portone alle mie spalle e rimasi a guardarla. I nostri occhi s'incontrarono. Mi sembrò di essere tornata ad anni prima, quando eravamo solo due adolescenti. Solo che lei era quella con la testa sulle spalle e io quella in cerca di attenzioni. Non eravamo poi tanto cambiate. Almeno non lei, non Catherine.
-Dovresti stare più attenta quando vieni qui. Kyle viene a sapere tutto, dovresti saperlo.- si sistemò un ricciolo biondo dietro l'orecchio e mi fece cenno di avvicinarmi.
La raggiunsi:-Forse non volevo più far finta di non saper nulla.-
Aprì la porta d'ingresso ed entrò, senza accertarsi che facessi lo stesso. Varcai la soglia di quella casa. Mi sembrò estranea, nonostante ormai la conoscessi abbastanza bene da ricordare la disposizione delle stanze.
La seguii fino alla cucina. La signora Kirk non era in casa. Nemmeno Kyle sembrava essere in giro. Trassi un sospiro di sollievo e delusione allo stesso tempo. Non sapevo come avrei dovuto affrontare Kyle. Non mi sentivo ancora pronta a parlagli testa a testa.
-Siediti, May. Abbiamo molto di cui parlare.- continuò a guardarmi con quei due occhi di ghiaccio. La sua solita espressione dolce sembrava svanita per dar spazio ad una serietà che solo poche persone riuscivano ad avere.
Mi lasciai cadere sulla sedia, aspettando che dicesse tutto. Desideravo solo che quell'agonia finisse.
-Mi dispiace che tu sia venuto a sapere tutto in modo così...violento.- cominciò a dire.
Strinsi le labbra tra di loro fino a ridurle a due fessure. Quell'incipit non mi piaceva granché. Le mie paure si sarebbero concretizzate di lì a qualche secondo, non c'era dubbio.
-Anche a me dispiace, non puoi nemmeno immaginare quanto.- volto la testa per interrompere il contatto visivo. Mano a mano che il tempo passava mi sembrava di sentire il peso sullo stomaco farsi più insopportabile.
-Non è colpa di Kyle. Avrà sicuramente avuto le sue ragioni per non dirti niente e...-
-Non m'importa di Kyle, adesso!- mi alzai di scatto dalla sedia, rischiando di farla cadere. Sbattei una mano sul ripiano dei tavolo, dando sfogo alla mia rabbia trattenuta a stento.
-Non sono venuta qui per sapere le ragioni di tuo fratello. Deve essere lui a dirmele, se ne ha il coraggio. Io voglio sapere del tuo ruolo in tutta questa situazione.- rimarco la voce sulle ultime parole, continuando a guardarla con sguardo di fuoco. Anche se forse di lì a poco avrei perso la mia migliore amica, volevo lottare con le ultime forse rimaste per sapere la verità. Ero stanca di non sapere.
-Cosa vuoi sentirti dire? "Mi dispiace, non volevo"? Vuoi che faccia finta di assecondare questa tua stupida rabbia?- alza il tono di voce come avevo fatto io qualche secondo prima. -Sapevo tutto. Fin dall'inizio. Questo volevi sentirti dire? Adesso ti senti meglio? Vuoi incolpare anche me oltre Kyle?-
-Dammi un solo motivo per cui non dovrei avercela con voi per avermi tenuta nascosta la verità.- stringo le mani in due pugni e guardo Catherine come mai avevo fatto in tutta la mia vita. In quel momento non eravamo due migliori amiche che stavano discutendo: eravamo due combattenti sul campo di battaglia, pronte a difendere le proprie condizioni fino alla fine.
-Non sono affari tuoi. Eccolo il motivo.- mi guardò con occhi spiritati, i capelli scompigliati e il respiro accelerato.
Non so quanto tempo rimasi lì a metabolizzare la frase che mi aveva detto. Abbassai lo sguardo sulle mie mani sul tavolo e le ritrassi lentamente, quasi a rallentatore.
-Hai ragione.- mormorai, voltandomi verso l'uscita. Non avevo la forza di alzare lo sguardo e guardare di nuovo Catherine. Sapevo che aveva ragione, diamine. Ma era così difficile accettare quelle parole.
Appoggiai la mano sul pomello della porta d'uscita e la aprii lentamente, lasciando entrare l'aria fredda della sera. Sentii la sua presenza alle mie spalle ancora prima di sentirla parlare.
-Aspetta, May. Sono stata brusca, non avevo intenzione...- mi raggiunse alla porta a passo veloce.
Uscii fuori da quella casa e mi voltai indietro, trovando finalmente il coraggio di guardarla di nuovo. Aveva un'espressione dispiaciuta in viso e sembrava distrutta.
-Non preoccuparti, Catherine. Hai fatto la cosa giusta.- le diedi le spalle e raggiunsi il portone, stringendomi nel cappotto. Le temperature stavano continuando a scendere in quei giorni.
-Dimmi soltanto una cosa.- mi fermai nel vialetto, poco lontana dalla macchina. Il vento si insinuava sotto i vestiti e mi faceva gelare le ossa. -E' lui il bambino del linguaggio dei fiori, giusto?-
Per un attimo non sentii nulla al di fuori dell'ululato del vento. Credetti non mi avrebbe risposto.
-Sì, è lui.- disse soltanto, e mi bastò questo.
Annuii e ripresi a camminare, raggiungendo la mia macchina. Accesi il motore e imboccai la strada che mi avrebbe portato a casa.
Stavo sorridendo.
Limone, fiore, è un albero da frutto della famiglia delle Rutaceae(agrumi). Nel linguaggio dei fiori indica la discrezione.
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Flowers
General FictionKyle Kirk è sempre stato un bambino problematico. Orfano di padre, con una sorella minore e una madre troppo giovane, decide di prendersi lui tutte le responsabilità che non dovrebbero spettare a un bambino di soli tredici anni. La sua prima adolesc...