Entrai in casa e mi richiusi la porta alle spalle. I miei genitori erano indaffarati a guardare un documentario su una specie in via di estinzione. Sentii nitidamente la voce tranquilla del giornalista provenire dalla televisione e quasi sospirai di sollievo. Non volevo dover dare spiegazioni ai miei sulla giornata.
Salii le scale diretta verso la mia stanza. Mi lasciai avvolgere dall'odore di colori e pittura e chiusi gli occhi. Quelle quattro mura mi facevano davvero sentire a casa. Non importava che fosse piccola e che le tende fossero di un orrendo color porpora sbiadito risalenti al mio undicesimo compleanno. La vista del cavalletto con la tela mezza imbrattata e le macchie di colore su ogni superficie la rendevano unica, mia. Passai un dito sulla mia trapunta immacolate e lanciai uno sguardo malinconico alla finestra. Filtrava la luce di un lampione illuminando in obliquo la tela quasi perfettamente bianca. Un'antica sensazione sopita da troppo tempo iniziò a farsi strada dentro di me, squarciandomi il petto e illuminandomi la mente e sgombrandola da ogni preoccupazione e pensiero inutile.
Ritrassi la mano dalla trapunta e mi avvicinai alla tela. La guardai così com'era: bianca solo in alcuni punti, macchiata da colori sui bordi ma comunque perfetta. I miei occhi si soffermarono sui pennelli appoggiati lì affianco, di cui uno ancora incrostato di giallo. Presi il mio sgabello di legno e lo accostai alla tela. Mi sedetti cautamente e presi il primo pennello che mi capitò sottomano. I colori erano di fianco e non mi soffermai nemmeno a guardare in quale lo intingevo. Tracciai una linea decisa sulla tela bianca. E poi un'altra e un'altra ancora. Mi persi tra quelle sfumature di colore, col chiarore dei lampioni e più tardi la luce brillante della luna che filtrava tra le tende color porpora sbiadite. Mi sporcai gli abiti e non me ne preoccupai nemmeno: mi sentivo un vulcano pronto a scoppiare da un momento all'altro e allo stesso tempo in pace con me stessa ad ogni pennellata violenta e cruda. Spensi il cervello oppure lo accesi. A volte è troppo difficile da riuscire a capire.
Mi fermai solo quando non ci fu più nessuno spazio bianco sulla tela. Avevo il fiatone e mi tremavano leggermente le mani, non sapevo se per lo sforzo compiuto o per l'emozione che mi stava montando dentro. Provai un senso di soddisfazione appagante quando i miei occhi si soffermarono su ciò che avevo appena creato. Sentii una lacrime frugale scendere lungo la guancia e cercai di pulirla con le dita, finendo per sporcarmi anche il viso di colore.
Non so quanto rimasi lì in contemplazione né quando decisi di alzarmi dallo sgabello e avviarmi nel bagno. La casa era immersa nel silenzio e nel buio. Sentivo sommessamente il respiro pesante dei miei genitori provenire dalla loro camera da letto e i rumori tipici della notte, tra cui una civetta che doveva aver deciso di appollaiarsi su qualche davanzale vicino. Entrai in bagno e non mi curai nemmeno di chiudermi la porta alle spalle. Presi un paio di forbici dallo scaffale e mi guardai attraverso lo specchio. Avevo i vestiti sporchi di pennellate di vari colori e sul viso una striscia di un verde acceso. Afferrai una ciocca dei miei lunghi capelli neri. Esitai un solo istante prima di tagliarla. La vidi cadere sul pavimento di piastrelle immacolate e mi sentii bene. Ne afferrai un'altra e feci la stessa cosa, e poi un'altra ancora e ancora.
Tagliai finché non mi sentii soddisfatta del risultato. Calpestai i capelli sul pavimento e sistemai con le dita quelli che avevo deciso di non tagliare.
Avevo mantenuto la mia promessa: avrei tagliato i capelli una volta trovato il bambino del linguaggio dei fiori.
Posai le forbici e mi lanciai un'ultima occhiata allo specchio. Sorrisi leggermente e spensi la luce, tornando verso la mia camera con gli abiti sporchi, i capelli corti e il verso della civetta sul davanzale che mi accompagnava in quella notte inondata dalla luce della luna e dai colori sulla mia tela.
L'indomani mattina mi svegliai con la voce di mia madre e il tonfo della porta della mia camera che veniva spalancata con violenza.
-Cosa hai fatto?-furono le prime parole che mi rivolse. Aprii gli occhi di scatto e la guardai confusa. Aveva un paio di forbici e una ciocca di capelli neri tra le mani.
Collegai rapidamente ciò che era successo la notte prima e diedi un'occhiata ai miei vestiti. Non li avevo cambiati e avevo finito per sporcare la trapunta immacolata di pittura.
-Non è evidente?-mi misi a sedere e misi a fuoco la tela che capeggiava di fianco alla finestra.
Sentii i passi di mia madre farsi vicini e avvertii il suo sguardo sbigottito.
-Si può sapere cosa ti succede, Jule May?-il suo tono di voce era un misto tra l'esasperato e l'incredulo. Una parte di me capiva come doveva sentirsi in quel momento: probabilmente pensava di avere una figlia squilibrata sull'orlo della schizofrenia. Era solo preoccupata e voleva capire cosa stava succedendo. Ma io non avevo nessuna intenzione di discutere con lei. Erano andati i tempi in cui potevo fidarmi di lei e sentirmi così al sicuro con un solo sguardo da riuscire a confidarle i miei segreti più profondi.
Ma una sola cosa potevo dirgliela. L'unica che le sarebbe dovuta bastare per capire.
-L'ho trovato, mamma.- lasciai cadere quelle parole tra di noi come un macigno. Mi voltai verso di lei e lessi innumerevoli emozioni nel suo sguardo: paura, sgomento, incredulità, rabbia.
Lei era stata la prima a vietarmi di cercare Kyle. Era passato tanto tempo, ma non erano cambiate le sue idee. Non avrei dovuto cercare il bambino del linguaggio dei fiori. Era stato un ordine e lo era ancora. Lo capii dal modo in cui cambiò la sua espressione. Irrigidì la schiena e mi guardò con occhi di ghiaccio.
-Non avresti dovuto farlo. Ti avevo detto di non farlo.- si sforzò di non lasciar trasparire la rabbia da quelle parole, ma non ci riuscì. La conoscevo troppo bene per non capire cosa provava.
La guardai fino a quando non sentii gli occhi bruciarmi per lo sforzo di non distogliere lo sguardo per prima. Mi passai una mano tra i miei capelli corti e lanciai uno sguardo al paio di forbici che mia madre teneva tra le mani e che stava cercando di non stringere per la stizza.
Non so cosa avessi immaginato sarebbe successo dopo averle dato una notizia del genere. Di certo non la fredda calma che seguì. Aspettavo una sfuriata con i fiocchi o una strigliata decisa. Ma non accadde nulla del genere. Rimase semplicemente lì a fissarmi con uno sguardo indecifrabile e le labbra serrata e le mani chiuse intorno ai miei capelli tagliati.
Mi alzai dal letto e presi la giacca che la sera prima avevo poggiato sulla sedia accanto al letto. Mi avvicinai alla porta per uscire, cercando di non incrociare di nuovo lo sguardo di mia madre.
-L'hai fatto tu?- la sua voce sembrò arrivare da molto lontano e trapassarmi da parte a parte.
-Sì, mamma.- risposi semplicemente.
Mi voltai un'ultima volta e guardai la tela completa. Una rosa rossa capeggiava al centro, circondata da sfumature di mille altri colori. Avevo disegnato la rosa del portachiavi di Kyle che avevo notato qualche tempo prima. Mi sentii meglio ancora una volta guardandola e uscii, lasciando mia madre ferma a contemplare la mia opera con la consapevolezza che sarebbe successo il finimondo di lì a poco.
Ma probabilmente era proprio quello che stavo aspettando da tutta la vita: il finimondo.
Tulipano giallo, un genere della famiglia Liliaceae comprendente molte piante utilizzate in cucina originario della Turchia. Nel linguaggio dei fiori indica l'amore disperato.
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Flowers
Genel KurguKyle Kirk è sempre stato un bambino problematico. Orfano di padre, con una sorella minore e una madre troppo giovane, decide di prendersi lui tutte le responsabilità che non dovrebbero spettare a un bambino di soli tredici anni. La sua prima adolesc...