Nonostante fossi convinta che una notte di meritato riposo avrebbe scacciato quel senso di oppressione che mi affliggeva, non fu affatto così. Mi svegliai con un mal di testa atroce. Fu quasi un'impresa alzarmi dal letto. Mi trascinai nel bagno e trattenni a stento un urletto spaventato quando vidi il mio riflesso allo specchio appeso al muro. I capelli erano sparpagliati ovunque, senza un ordine. Due cerchi scuri intorno agli occhi mi facevano somigliare ad uno zombie. Ma quello che più mi fece inorridire fu la mia espressione: pura disperazione. Mi presi la testa tra le mani e la scossi più volte, dicendomi di tornare in me. Volevo che tornasse tutto come prima. Poggiai la fronte contro lo specchio freddo e chiusi gli occhi, trattenendo a stento le lacrime. Mi sentivo così confusa ed estranea a me stessa. Non mi riconoscevo più. E tutto per colpa di uno stupido ragazzo.
Probabilmente fu quel pensiero a farmi balzare in piedi, o forse fu qualsiasi altra cosa che mi passò per la testa. Mi raddrizzai sulla schiena e respirai profondamente. L'ossigeno si irradiò veloce dai miei polmoni in tutto il resto del corpo, e mi sembrò di sentirmi già meglio. Forse era solo un'altra mia impressione, ma il peso sul petto si alleggerì un poco. Appoggiai le mani sul bordo del lavabo e lo strinsi con forza. Un attimo dopo alzai nuovamente lo sguardo e mi riguardai allo specchio. Ero sempre io, sempre la stessa. I capelli scompigliati erano lì, insieme alle occhiaie. Ma la disperazione era stata appena sostituita da qualcos'altro. Un'idea folle, ma così geniale. Una luce nelle tenebre. Senza quasi rendermene conto, mi ritrovai a sorridere a me stessa. Avevo ritrovato me stessa. O stavo per farlo.
Camminai di buona lena per le strade non troppo affollate. La temperatura era aumentata di qualche grado, ma mi sembrò quasi di sentire sulla pelle del viso quel cambiamento minimo. La sciarpa verde mi copriva appena la bocca e i guanti di lana cominciavano a farmi sudare le mani. Sorrisi sollevata al sole debole che si stagliava alto nel cielo. Il fatto di essere riuscita a ritrovare la mia solita calma mi rallegrava enormemente.
La giornata lavorativa era appena terminata e mi sentivo felice. Il mio umore non era mai stato così ottimo. Canticchiai una canzoncina che avevo sentito in radio qualche giorno prima.
Stavo per commettere una follia, ne ero consapevole. Ma le mie gambe non riuscivano a fermarsi. Continuavano ad avanzare veloci, sembrava quasi che volessero saltellare. Anche se era il cervello a guidare i miei movimenti, avevo l'impressione che le mie gambe avessero una coscienza propria in quel momento. In più, non riuscivo a smettere di sorridere come se fosse capitata la cosa più bella di tutta la mia vita.
Mano a mano che avanzavo, il paesaggio intorno a me cambiava. Dal tipico scenario di una città abbastanza popolosa, mi spostai in periferia. Le macchine ai lati delle strade diminuivano a vista d'occhio, così come le case. Gli spazi verdi ed incontaminati si facevano strada davanti a me e sorrisi ancora di più. La natura mi faceva rilassare. Non mi accorsi del tramonto del sole e del sopraggiungere lento e inesorabile della sera.
Fu solo quando mi fermai vicino ad una casa che mi resi conto dove ero arrivata e quanto tempo avevo impiegato a percorrere quel cammino. L'orologio da polso segnava le sette di sera: mi sorpresi da quanto tempo fosse passato. Ma la cosa che mi sconvolse di più fu fino a dove mi ero spinta lontano. La città era lontana e, girandomi indietro, potevo vedere appena i tetti di case irraggiungibili. Volsi lo sguardo al vialetto di una casa piccola, ma graziosa. Trattenni il respiro quando mi resi conto chi la abitava. Quella era la casa della mia migliore amica. E di Kyle.
Mi presi la testa tra le mani, sconvolta. Come avevo fatto ad arrivare fino a lì senza nemmeno rendermene conto? Mi stupii di me stessa e della mia incoscienza. Era vero che avevo in mente di andare a casa della mia migliore amica quella stessa sera, ma non pensavo che il mio cervello l'avrebbe interpretato alla lettera e in modo così diretto.
Mi affiancai ad un alberello adiacente al cortile ed osservai la casa. Avevo l'impressione che non ci fosse nessuno. Anche se io e Catherine lavoravamo nello stesso settore, quel giorno lei aveva deciso di trattenersi al lavoro qualche ora in più. Non sapevo gli orari della signora Kirk, ma qualcosa mi diceva che anche lei era assente.
Pensai a Kyle: lui era sicuramente lì, nel suo studio. Non potevo sbagliarmi. Respirai profondamente e presi coraggio: mi ero prefissata un obiettivo e volevo portarlo al termine. Ero giunta alla conclusione che l'unico modo per far chiarezza su ciò che provavo per Kyle era osservarlo da vicino. Mi sarei resa conto delle emozioni che suscitava in me e, attraverso quelle, avrei capito il perché di un così grande turbamento da parte mia.
Mi guardai intorno e, accertatami che non ci fosse nessuno, uscii dal mio nascondiglio improvvisato e mi avviai verso la porta d'accesso. Non fu una sorpresa per me trovarla aperta: nella mia cittadina tutti usavano tenere le imposte e gli accessi aperti perché tutti si fidavano l'uno dell'altro. Spinsi leggermente la porta di legno e mi ritrovai dentro. Davanti a me c'erano due diverse vie: una portava alla casa di Catherine, l'altra allo studio di Kyle. Non sentii alcun rumore. Con tutto il coraggio di cui ero capace, decisi di scendere le scale in basso. Avevo il cuore in gola sia per lo spavento sia per l'eccitazione. Sentivo scorrere l'adrenalina nelle vene e mi tremavano le mani.
Mi guardai un'ultima volta intorno e scesi cautamente. Non vidi nessuno nemmeno al piano inferiore. Tutte le porte erano chiuse come al solito. Ma il piccolo foro nel muro era ancora lì e sembrava invitarmi ad osservare il ragazzo che probabilmente era all'interno del suo studio.
Mi avvicinai e mi sedetti piano contro il muro. Sentivo il freddo penetrarmi fin dentro le ossa, ma dentro avevo così caldo da riuscire a riscaldarmi tutta. Avevo bisogno di conoscere cosa ne sarebbe stato del mio futuro. E di me.
Con quei pensieri nella mente, accostai l'occhio al piccolo foro ed osservai, cercando di capire come sarebbe andata la mia vita da quel momento in poi.
Agrifoglio, pianta appartenente ad una famiglia che comprende alberi ed arbusti. Nel linguaggio dei fiori indica la previdenza.
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Flowers
General FictionKyle Kirk è sempre stato un bambino problematico. Orfano di padre, con una sorella minore e una madre troppo giovane, decide di prendersi lui tutte le responsabilità che non dovrebbero spettare a un bambino di soli tredici anni. La sua prima adolesc...