Capitolo quattordici-Menta

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"Vorrei indietro la mia adorata matita, mademoiselle": poche parole semplicissime erano state scritte. Osservai per qualche secondo di troppo il fogliettino, prima di riporlo nella tasca del cappotto. Non mi accorsi nemmeno di star sorridendo. Mi incamminai nuovamente verso casa con passo veloce. Sbirciai l'orologio appeso al mio polso sinistro e mi resi conto di quanto fosse tardi. Cominciai a correre e raggiunsi casa. Infilai le chiavi nella serratura e le girai, facendo scattare la porta. Mi precipitai all'interno con il respiro pesante ed entrai nella sala da pranzo. La mamma stava apparecchiando, mentre papà leggeva un libro sulla sua solita poltrona.

Appena mi videro entrambi, si soffermarono su di me. La mamma sorrise:-Sei pronta per cenare, tesoro?- la guardai interdetta e cercai le parole giuste per non ferire la sua sensibilità.

-Devo fare una commissione urgente, mamma. Non vorrei attardarmi troppo, ma non so quanto tempo potrei impiegarci. Sapete com'è: il lavoro è stressante e ho delle scadenze abbastanza urgenti.- dissi tutto con calma e guardando la mamma negli occhi. Sapevo che era in grado di capire se stavo mentendo oppure no attraverso il linguaggio del corpo. Sperai con tutta me stessa che non notasse le pupille dilatate o il leggero ticchettio del piede sul pavimento liscio. Evitai di deglutire e distogliere lo sguardo finché non la sentii parlare di nuovo.

-Ma certo, tesoro! Sono felice che tu sia diventata così autonoma! A volte ancora non ci credo che sei diventata grande.- le si incrinò la voce mentre pronunciava le ultime parole e mi si strinse il cuore.

-Non è così grande, in fondo. Ricordati che è ancora una ragazzina, Louisa.- la voce di mio padre riempì il salotto e provocò una leggera risata della mamma. Non riuscii a trattenermi dallo sbuffare seccata: secondo mio padre ero sempre la sua bambina.

-Vi prego di non aspettarmi svegli. Mi sentirei tremendamente in colpa a sapervi qui seduti a guardare la porta d'ingresso.- la mamma annuì. Mi avvicinai a lei e le lasciai un bacio leggero sulla guancia. Mi affrettai a fare lo stesso con mio padre.

-Stai attenta.- papà mi diede un buffetto sulla guancia come faceva quand'ero una bambina. Gli sorrisi affettuosamente e gli diedi un altro bacio, prima di allungare il passo e raggiungere la porta. La richiusi alle mie spalle e m'incamminai velocemente verso il mio destino.


Quando arrivai a casa di Kyle, erano circa le undici di sera. Il buio circondava ogni superficie e l'avviluppava nel suo manto nero, oscurando alla vista qualsiasi cosa. Scesi dalla macchina dopo aver parcheggiato e mi feci coraggio per scendere dalla vettura calda. Aprii lo sportello e l'aria fredda mi colpì come un pugno nello stomaco. Mi piegai leggermente su me stessa e mi coprii meglio che potevo. Desideravo raggiungere il portico in fretta, ma non si vedeva niente e non volevo inciampare. Raggiunsi la porta arrancando. Mi fermai un momento per scaldarmi e mi appoggiai al muro bianco. Mi guardai intorno e impressi nella mia mente tutti i particolari di quel luogo. L'intonaco stava venendo giù mano a mano che il tempo passava e c'erano crepe evidenti lungo tutta la superficie del muro. Lasciai vagare il mio sguardo fino a che incontrò le scale che mi avevano portato in un corridoio dove c'era lo studio di Kyle.

Ancora oggi non so cosa mi spinse a muovermi e ad andare lì. Eppure, scesi lentamente le scale e appoggiai la mano sul muro che le circondava. Non era così tanto crepato e rovinato come quello al piano superiore. Era liscio e integro, come se fosse stato dipinto solo il giorno prima.

Mi ritrovai ancora una volta in quel corridoio che avevo scoperto da così poco tempo. Andai a sedermi nell'angolino nascosto, dove il piccolo foro spiccava ancora nella parete. Avvicinai l'occhio e guardai all'interno. Non c'era nessuno: la poltrona era vuoto e sulla scrivania era sparsa una moltitudine di fogli disordinati. Rimasi interdetta e mi alzai in fretta. Se Kyle non era lì, poteva essere in qualsiasi altra parte. E sarebbe potuto tornare al suo studio di lì a poco.

Il panico mi invase e quasi inciampai nella mia sciarpa mentre percorrevo il corridoio e risalivo le scale con il cuore in gola. Mi tremavano leggermente le mani e i piedi non sapevano in che direzione andare. Salii le scale ogni due gradini e tirai un sospiro di sollievo quando raggiunsi il pianerottolo. Ero stata fortunata a scappare di lì prima che Kyle tornasse. Sorrisi vittoriosa e mi girai verso la porta della casa della mia migliore amica.

Rimasi pietrificata quando girai lo sguardo. Kyle era lì, fermo sulla soglia. Mi guardava con un sorrisetto furbo e mi sentii gelare il sangue delle vene. Mi aveva visto salire le scale. Non gli sarebbe bastato più di un secondo per capire dov'ero stata fino a qualche istante prima.

-Hai ricevuto il mio biglietto, vedo.- deglutii sentendo quelle parole e cercai le parole giuste per quel momento. Non ne trovai e mi feci prendere dal panico. Iniziai a torturarmi le mani come facevo sempre prima di affrontare un esame; sentivo la fronte umida e sapevo che non si trattava delle goccioline di rugiada.

-E hai anche dato un'occhiata al piano interrato.- si sistemò gli occhiali sul naso sottile.

Ero in trappola. Tanto valeva dire tutta la verità. Eppure qualcosa mi trattenne e mi fece riflettere riguardo un dettaglio della mia confessione che poteva essere omesso.

-Sì. L'ho visto per caso e ho deciso di andare a vedere cosa c'era laggiù. Ho visto delle porte, ma erano chiuse.-

-Hai controllato tu stessa?-

-E anche se fosse?-

Mi guardò attentamente e mi sentii come uno dei suoi esperimenti. Il nervosismo che poco prima mi stava attanagliando lo stomaco e mozzando il respiro scomparve del tutto, lasciando spazio ad una calma apparente. L'avevo scampata.

-Hai la mia matita con te?- si appoggiò allo stipite della porta e incrociò le braccia al petto. Non riuscivo a distinguere nessuna emozione nella sua voce: sembrava indifferente.

Mi avvicinai e infilai una mano nella borsa che avevo preso prima di uscire di casa. Dentro c'erano molte cianfrusaglie: le chiavi della macchina, un burro cacao al limone (che mi avevano regalato le abc qualche mese prima), un libro in cui c'era scritta la biografia di Monet e molte altre cose. Imprecai in portoricano come mi aveva insegnato zia Beth, prima di riuscire ad afferrare la matita. La presi tra le dita e la rigirai tra esse, mostrandola a Kyle.

La prese dalla mia mano e le sue dita calde vennero a contatto con le mie fredde. Rabbrividii leggermente e lui se ne accorse.

-Vuoi entrare?- mi guardò negli occhi e ricambiai il suo sguardo.

-Devo considerarlo un invito amichevole o una richiesta di cortesia?- avanzai di qualche passo e mi piazzai di fronte a lui.

-Nessuna delle due.- mi fece spazio ed entrai. Nel mentre vidi il suo viso seminascosto dall'oscurità: sorrideva.


Menta (Mentha) è un genere di piante che cresce in tutta Europa, in Asia e in Africa. Nel linguaggio dei fiori indica il sospetto.


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