Capitolo 3

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AUSTIN

Entrai nella grande aula e mi avvicinai a una donna giovane, che se ne stava seduta alla cattedra, probabilmente era la mia professoressa di filosofia.

-Salve, sono Austin Richardson, il nuovo studente-, mi presentai cordialmente, lei alzò il viso dai suoi fogli e mi osservò da cima a fondo.

-Buongiorno, sono la professoressa Smith!- Mi sorrise gentilmente e si alzò dalla sedia. L'aula era ormai piena e richiamò l'attenzione dei miei compagni,-Ragazzi, questo è il nuovo arrivato, Austin Richardson. Spero andrete tutti d'accordo!-

Mi fece segno di andare a sedere e con passo incerto mi misi alla ricerca di un posto libero. Cominciai ad arrossire quando notai che mi guardavo tutti con delle strani espressioni. Alcuni di loro ridevano, altri bisbigliavano e altri ancora mi squadravano.

Feci per sedermi vicino a un ragazzo, ma subito appoggiò il suo zaino sulla sedia, ignorandomi completamente. Diversi di loro dissero che il posto era già occupato per qualcun altro, e fui così costretto a sedermi in fondo alla classe da solo.

Sapevo bene che quello che avevano appena detto non era vero, perchè la classe era al completo.

Estrassi dalla mia borsa il necessario per scrivere e cercai di concentrarmi sulla lezione, non potevo perdermi a pensare a tutte queste baggianate. L'importante in quel momento, non era piacere agli altri, ma era riuscire ad andare bene a scuola.

Dovevo raggiungere il mio obbiettivo, ovvero accedere alla grande università di Harvard e diventare, come mio padre, un noto chirurgo. Fin da piccolo lui mi aveva spronato a studiare duramente e mi aveva obbligato a frequentare corsi in più, al di fuori delle ore scolastiche. Sosteneva però, che un gran cervello aveva bisogno anche di un fisico in salute e forte, e quindi fece costruire nella nostra abitazione una palestra, dove potevo allenarmi tranquillamente. Oltre a questo, mi fece seguire persino un corso di karate privato, sport che non avevo ancora cessato di fare.

Spesso mi capitava di essere stanco e di rischiare di crollare per lo stress, ma cercavo sempre di ricompormi e continuare tutta quella routine incessabile. Dovevo ottenere i voti più alti di tutta la scuola, così avrei potuto accedere più facilmente al "mio" sogno.

-Guardalo, si veste peggio di mio nonno...-, sentii dire da una voce davanti al mio banco e alzai curioso la sguardo, scoprendo due ragazze a fissarmi. Appena notarono che le avevo beccate a parlare di me, si voltarono subito in avanti ridacchiando.

Spinsi su per il naso i miei occhiali e cercai di non farci caso. Sapevo benissimo di dare nell'occhio con quegli abiti terribili e con qulle grandi lenti, ma il look non poteva essere il mio primo pensiero e non avevo nemmeno tempo per stare in giro per la città a fare shopping.

Avevo 19 anni, ma mi sentivo così vecchio e serio, rispetto a tutti gli altri mie coetanei. Qualche volta ammetto, che mi sarebbe piaciuto andare alle feste, avere degli amici e trovarmi una ragazza con cui passare il tempo, ma non potevo distrarmi per nessun motivo.

Al pensiero di avere una fidanzata, sentii le guance diventare rosse. In fondo ero anche io un uomo e certi pensieri non potevo evitarli, anche se avrei voluto. Una volta, all'età di 16 anni, incuriosito dall'aspetto femminile, mi recai in un'edicola e con tutto il coraggio che avevo, comprai una rivista di playboy. Appena arrivai a casa, mi chiusi in camera mia e sfogliai le pagine velocemente. Mi sentii così in imbarazzo di fronte a quei corpi seminudi, che corsi di sotto e, senza farmi vedere da qualcuno, la buttai nel camino. Sapevo benissimo, che con la professione che avrei fatto più avanti, avrei visto molte donne nude, ma lì sarebbe stato completamente diverso, perchè quello era il mio lavoro.

-

Per tutta la giornata, molti studenti della scuola non fecero altro che fissarmi, come se fossi stato nudo o vestito da "superman". Odiavo sentirmi tutti quegli sguardi addosso e spesso arrossivo, abbassando lo sguardo sui miei piedi.

Fui così sollevato quando finalmente era ora di tornare a casa, davvero non ne potevo più. Avrei dovuto aspettare ancora diverso tempo, prima che la gente si abbituasse al mio stile, diciamo, particolare.

Schivai alcuni studenti e riuscii a varcare il grande portone della scuola. Socchiusi gli occhi a causa del sole e cominciai a camminare verso la mia macchina. Mi soffermai un attimo a osservare la bandiera americana, appesa al palo che stava in mezzo al cortile, svolazzare fiera nell'aria.

Scesi di nuovo con lo sguardo sulla stradina che stavo percorrendo, e notai una piccola figura familiare, poco più avanti di me, muoversi verso i parcheggi.

Riconobbi chi era, grazie alla giacca borchiata che indossava. Era Zahra, quella piccola ragazza alta circa 1.65, a cui piaceva provocarmi. L'ammirai camminare con passo deciso, mentre la sua gonna si muoveva incessantemente.

Zahra Mason, era stata la prima ragazza a trattarmi in quel modo, anzi la prima persona. Di solito la gente mi osservava e scherniva da lontano e basta, invece lei si era avvicinata a me e mi aveva parlato, anche se in modo al quanto scortese. Il suo comportamento mi aveva davvero messo molto a disagio, ma in fondo quella ragazza era gentile, anche se aveva un modo di fare brusco e poco femminile.

Notai, su un muretto lì a fianco, un gruppetto di maschi osservarla. Non lo si poteva negare, Zahra era davvero una bella ragazza! Non era la classica bionda che facevq girare la testa a tutti gli uomini, lei era diversa, era una bellezza "particolare". Aveva dei capelli lunghi e mossi, che le cadevano fino a metà schiena, la pelle era abbronzata e non aveva alcun tipo di brufoli o altro. Il suo fisico aveva le curve al posto giusto, per quanto potessi vederlo, e aveva un bel portamento. I suoi abiti non erano molto il mio genere, quelle borchie mi ricordavano tanto quelle che si trovano sui collarini dei cani, ma in qualche modo le si addicevano.

Quando passai di fronte a quel gruppetto, sentii qualche parola del loro discorso, probabilmente riferito a Zahra.

-Quella me la porterei a letto...-, disse un di loro, scoppiando a ridere.

-Anche io ci farei un pensierino, dicono che le stronze sono le migliori quando si parla di sesso!-, Li guardai schifato. Come potevano parlare così superficialmente di una ragazza, che magari neanche conoscevano?

Continuai dritto verso la mia "mercedes ml" nera, un regalo che mi aveva fatto mio padre.

Vidi Zahra salire sulla sua jeep rossa, vecchia e malridotta. In quel momento, lei mi notò e piegò la testa di lato. Le mie guance avvamparono e distolsi subito lo sguardo, fermandomi davanti alla mia macchina.

Il rumore di un clacson mi fece sobbalzare dallo spavento, facendomi cadere dalle mani le chiavi della mercedes. Mi voltai verso la jeep rossa e corrugai la fronte vedendo Zahra ridere.

Abbassò il finestrino per potermi parlare, mentre raccoglievo le chiavi della macchina,-Ehi, ti ho fatto paura?-

-Mi hai fatto prendere un colpo-, ammisi, giocando nel frattempo con le chiavi della mia auto.

-Bella macchina! Non ti si addice proprio...ti ci vedrai di più con una bicicletta arrugginita!-, Notai che cercava di trattenere una risata, mentre la mia agitazione saliva.

Feci spallucce rassegnato, non sapevo cosa dire, mi sentivo troppo in soggezzione di fronte a quella ragazza.

-Vieni un attimo qui-, con l'indice mi fece segno di avvicinarmi, e con riluttanza lo feci.

Spalancai gli occhi, quando un suo braccio passò dal finestrino e mi catturò la stoffa della camicia, facendomi piegare in avanti, finchè i miei occhi non furono all'altezza dei suoi. Mi sentii sudare avendo il suo viso così vicino al mio, il mio cuore non faceva che battere come un pazzo. La sua bocca rossa, continuava ad attirare la mia attenzione, così cercai di guardare altrove.

-Me lo dai adesso un bacio?- I miei occhi schizzarono a guardare i suoi e le mie guance diventarono bollenti e rosse come pomodori. Cercai di dire qualcosa, ma avevo perso completamente la voce.

Un sorriso comparve sulle sue labbra e mi lasciò finalmente andare,-Ah, proprio non capisci quando scherzo. Ci vediamo domani quattrocchi!-, detto questo, mise in moto la macchina e se ne andò, lasciandomi lì come un imbecille.

FASHION OF HIS LOVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora