Capitolo 36

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La cena fu un totale strazio. L’atmosfera era pesante e non si sentiva nemmeno il ronzio di una mosca, siccome tutti eravamo piombati nel silenzio.

Mia madre e mia sorella si lanciavano strani sguardi, come a chiedersi cosa potesse essere successo fra me e mio padre.

L’unico momento dove c’era un po’ di movimento era solamente quando arrivava Catrina e le altre domestiche a servire diverse portate.

Non rivolsi nemmeno un’occhiata verso mio padre. In quell’istante lo odiavo più che mai, sentivo accrescere in me una sensazione di disgusto nei suoi confronti.

Come si poteva essere così meschini e senza cuore verso il proprio figlio? Perché doveva essere così maledettamente egoista? Io non ero come lui. Doveva capirlo!

La cosa che più mi devastava non era tanto il rapporto con il capo famiglia in quel momento, ma il pensiero di Zahra e della sua reazione quando avrebbe saputo in che casino mi trovavo, anzi ci trovavamo.

Mi avrebbe tirato un pugno o forse uno schiaffo? Si sarebbe messa a urlarmi contro o a maledire mio padre? Magari avrebbe pianto come una fontana o semplicemente non mi avrebbe più rivolto la parola?

Troppe domande mi assillavano e troppe poche risposte. Un peso mi schiacciava il petto. Un peso che mi toglieva quasi il respiro a causa dell’ansia.

Non appena finii di mangiare, senza un accenno o una misera parola, me ne andai in camera e mi buttai esausto sul letto.

Afferrai un libro sul comodino e provai a leggerlo per distrarmi un po’. Niente. Ogni parola che leggevo la dimenticavo in fretta.

Sbuffai frustrato più che mai e mi alzai dal letto. Tirai un calcio al mio zaino e grugnii disperato.

Afferrai il bordo della mia maglia e me la sfilai gettandola a terra. Feci lo stesso con i pantaloni e mi avvicinai verso l’armadio. Estrassi gli indumenti da sport e, anche se era tardi per fare esercizi e pesi, mi cambiai e mi diressi in palestra.

Arrivato nella stanza sportiva, accesi le luci, infilai gli auricolari e pompai la musica al massimo. Cominciai ad alzare peso dopo peso, fino a quando non sentivo la stanchezza e le fitte di dolore. Non ci feci caso e continuai ad allenarmi, mentre il sudore mi scendeva lungo la fronte.

Mi stesi sulla panca e cominciai ad alzare, come un dannato, il bilanciere. D’un tratto la testa di mia sorella Lydia comparì sopra di me, facendomi quasi mollare la presa sulla sbarra per lo spavento.

Misi via l’attrezzo e mi tirai su con il corpo, nervoso di essere stato interrotto in quella maniera.

Lydia allungò una mano e mi strappò via gli auricolare, facendomi innervosire ancora di più. Non era la solita burlona, nei suoi occhi vedevo riflessa la preoccupazione,-Cosa vuoi, Lydia?-.

Appoggiò entrambe le mani sui piccoli fianchi e alzò un sopracciglio, indispettita,-Mamma mia, che tono d’arrogante che hai, fratellino. Non è da te…-, girai la faccia dall’altra parte e usando l’asciugamano, mi pulii dal sudore che m’imperlava la pelle.

-Scusa, ma non è giornata-, risposi, dispiaciuto per la mia scortesia. Non potevo sfogarmi su di lei, in fondo non era colpa sua se mio padre era una testa calda.

-Vuoi spiegarmi cosa succede fra te e papà? La tensione che c’era a cena era quasi tangibile-, mi alzai dalla panca e gettai nel cesto dei panni sporchi l’asciugamano appena usato,-Niente di che-.

-Non prendermi per il culo, Austin!-, i suoi passi si fecero vicini e percepii il lieve tocco della sua mano sulla mia spalla,-Parlami. Dimmi qual è il problema…forse posso darti una mano-.

FASHION OF HIS LOVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora