Mi sporsi dalla tenda e guardai l'orologio, avevo circa un'ora per asciugarmi e uscire: fattibilissimo. Chiusi l'acqua, misi un accappatoio blu addosso e avvolsi i capelli in un asciugamano del medesimo colore, mi guardai allo specchio e fissai i miei occhi verdi riflessi nello specchio: erano probabilmente l'unica cosa che amavo veramente di me, ma era un aspetto a cui stavolta non potevo dare troppa importanza: Ellen mi aspettava.
Asciugai i capelli in un lampo, mi vestii, indossai la toga, feci saltare Merylin su una spalla e col braccio libero presi i libri: ero pronta.
Mi avviai verso il corridoio, ero vicinissima al porticato, ma mentre stavo parlando col mio barbagianni, sentii qualcosa di dannatamente duro colpirmi la testa: "cosa diav..", iniziai a barcollare, sentii la testa farsi pesante, i miei occhi non riuscivano a mettere a fuoco la sagoma che avevo davanti, caddi, accompagnata dai miei libri.
<<Marzia, Marzia guardami, stai bene?>> urlò la persona davanti a me, non riuscivo a vederlo bene, ma la voce era sicuramente di un ragazzo; mi grattai gli occhi, alzai la schiena da terra e mi massaggiai il cranio dolorante, finalmente mi si schiarì la vista e ciò che mi accolse fu la visione di un ragazzo che mi stava sopra, quando mi alzai si scostò e si sedette sulle ginocchia, davanti a me.
<<Cosa diamine mi è successo?>> chiesi con voce flebile, la testa che pulsava dolorosamente.
<<Lascia che ti aiuti ad alzarti, ti accomp...>> lo interruppi, sapevo che avrebbe blaterato solo un mare di parole buttate a caso:
<<Non mi interessa. S - sono in ritardo, devo andare.>>
La cosa che mi preoccupava era l'essere sicuramente in ritardo, la sola idea mi fece rabbrividire, così mi alzai di scatto e la stessa cosa fece lui, ma io barcollai e inevitabilmente caddi in avanti tra le braccia del giovane misterioso, che mi prese al volo: <<Ti accompagno in infermeria>> disse, ma no, non era quello che volevo, riuscii a districarmi dall'abbraccio del ragazzo ed ad acquistare un equilibrio precario: <<Senti, non è il caso, sto bene, lasciami andare per favore, ho.. ho lezione di magizzzzol..>>
Buio.
L'oscurità mi abbracciava, ma ogni tanto riuscivo a percepire delle voci: <<Datemi una man.. bol.. testa..>>, buio, silenzio, poi chiasso, voci, tutte cose che detestavo, ma che in quel momento mi cullavano in un dolce limbo di inerzia: "magari sto morendo" pensai, "se così fosse, dite ad Ellen che mi dispiace, a Thoris che è un'idiota e a Francis che gli ho voluto un bene immenso, anche se non sono mai stata in grado di dimostrarglielo" pensai un attimo a tutte le nostre avventure e a come non avessi mai saputo dirgli che era davvero il migliore amico che potessi desiderare "l'unica cosa che ho saputo fare è stata dargli la falsa speranza che non avrei bruciato i suoi origami", risi, o almeno pensai di averlo fatto, poi un'altra voce: <<Ci siamo, res...>>.
Ci fu come un bagliore in mezzo al buio che tramutò tutto il nero intorno a me in un bianco candido, ero in piedi, immersa nel nulla. Feci un giro su me stessa, ero tutta integra, o almeno così mi sembrava.
<<È troppo presto Marzia, troppo presto.>>
Lo vidi lì, davanti a me. Non volevo crederci: <<... Adam..?>>
Davanti a me, solo lui.
Doveva essere lui.
Sorrise e mi accarezzò la guancia, affondai la testa nella sua mano, gli occhi mi si riempirono di lacrime: <<Sono così stanca Adam, così stanca>>.
<<Lo so, ma non ancora, Marzia, non ancora, adesso non puoi, devi fare una cosa.>>
<<Non posso? Devo fare una cosa?>> dalla mia bocca non uscì un fiato, vidi Adam allontanarsi sempre più da me, gli corsi incontro, ma inevitabilmente la distanza tra noi non fece che aumentare.
E poi sparì. Mi lasciò sola di nuovo. In mezzo al nulla.
Fui come risucchiata da un vortice di luce, cominciai a sentire un sensazione di tepore che mi penetrò fino nelle ossa, sentivo il mio cuore battere, l'aria entrarmi nei polmoni, la testa che pulsava di nuovo:
<<ADAM?!>> fu un urlo silenzioso: <<Adam dove sei?... Ti prego, ti prego non... Adam... ti prego...>>
Era di nuovo tutto buio, io ero inginocchiata nel buio, le mani tra i capelli e le guance rigate di lacrime.
<<Svegliati, santo dio..!>>
Era una voce rotta a parlare, la sentivo di fianco a me, volevo aprire gli occhi e dire che stavo bene, che non c'era da preoccuparsi, mi sarei alzata e sarei andata da Ellen, mi sarei scusata per averla lasciata ad aspettarmi, ma non ci riuscii; mi faceva male ogni singolo muscolo del corpo, ma tentai comunque di stiracchiare le dita della mano, e stranamente la mia mano reagì: ad accogliere le mie dita fu qualcosa che assomigliava a dei capelli, ma non avevo la minima idea di chi fossero. Forse il ragazzo di prima? Non riesco a ricordare chi fosse, dai Marzia pensaci...
<<Marzia ti prego.. ti prego..>>
Continuava biascicare parole rotte dai singhiozzi, "Santo dio non sto morendo per davvero" pensai, gli grattai i capelli a cui ero riuscita dolorosamente ad arrivare, era uno sforzo disumano, ma quella persona mi sentì, non sentii più nulla fra le dita, probabilmente aveva alzato la testa, volevo aprire i miei dannatissimi occhi e vedere chi avessi davanti, dove fossi e cos'avessi.
Mi strinse la mano; la sua era calda e teneva la mia come fosse un tesoro: <<Sono qui, giuro sono qui, apri gli occhi>> i singhiozzi terminarono, c'era una luce di speranza in quella voce, la testa pulsava ancora, ma finalmente, dopo qualche secondo riuscii nel mio intento.
Aprii gli occhi: la luce del pomeriggio che avevo lasciato quando ero caduta aveva ceduto il posto alla timida luce di una candela, accompagnata dal chiarore della luna che filtrava dalla finestra chiusa.
Ero evidentemente in infermeria, la stanza era vuota al di fuori di me e la voce di prima, che finalmente acquistava un volto pallido, due occhi verdi, brillanti come l'erba dei prati in estate, labbra rosee che si aprirono in un sorriso: <<Sei sveglia.. Marzia sei sveglia.. >> il ragazzo si passò una mano sugli occhi:<<Professoressa Aeryth venga qui, è sveglia!>> sbraitò, le sue parole mi penetrarono in testa come un ascia in un tronco di legno marcio.
<<Perché sono qui?>> chiesi sottovoce, fu come un bisbiglio: non avevo la forza di parlare, ma avevo bisogno di sapere.
<<Ti ha colpito un bolide in testa, te la sei vista brutta: c'è mancato poco che ti sfondasse il cranio.>> rispose il ragazzo, visibilmente sollevato, poi continuò:<<È stato un Serpeverde a lanciarlo, è stato a guardarti un attimo e poi se n'è andato, avrei voluto corrergli dietro, ma ho preferito restare ad aiutarti.>>
Un bolide? Cosa diamine ci faceva una palla da Quidditch fuori dal campo? E chi era quel Serpeverde che l'aveva preso?
Soprattutto, perché l'aveva fatto?
La mia insegnate di magizoologia, la professoressa Malva Aeryth, entrò nell'infermeria come un ciclone, portando con sé il suo inconfondibile profumo di fiori freschi che mi inebriò le narici, era preoccupata, ma quando il suo sguardo incrociò il mio, il suo viso fu illuminato da un sorriso raggiante: <<Finalmente ti sei svegliata, come ti senti, adesso?>>
<<Mi pulsa.. la-la testa. Perché c'era un bolide nel.. oddio, ah, un bolide nel..>>
<<Sssshh. Non sforzarti, il bolide era stato liberato per mostrare ai ragazzi del primo anno come è fatto, non è stato intenzionale, nessuno voleva ucciderti.>> ripose Aeryth, poi rise della sua battuta. C'era ben poco da ridere, visto che ci era mancato davvero poco.
Mi voltai verso il ragazzo che era seduto vicino a me:<<Abel? Perché sei.. tu.. perché tu.. Ah..>> mi portai una mano alla tempia, sapevo che non sarei riuscita a formulare una frase di senso compiuto, avrei voluto svitarmi la testa e poggiarla sul comodino, in attesa che smettesse di dolere così, lui capì e mi rivolse un sorriso delicato, mi accarezzò i capelli:<<Ti ho vista lì, per terra, non potevo fare niente se non starti vicino. Speravo di rivederti in circostanze più tranquille, ma evidentemente non si può avere tutto dalla vita.>> sorridemmo entrambi.
Aeryth, si avvicinò a noi e disse che ci avrebbe lasciati soli un attimo, sarebbe tornata tra qualche minuto con una cosa. Annuii, mi grattai di nuovo i capelli, i muscoli avevano smesso di farmi male.
Io e Abel Menville ci conoscemmo quattro anni fa, lui era del settimo anno e io del sesto, avevamo caratteri molto simili, parlavamo volentieri, ma poi tra vacanze scolastiche, impegni di studio, amici, famiglie, eccetera, non eravamo riusciti a creare un rapporto duraturo nel tempo, ogni tanto ci incrociavamo per i corridoi e scambiavamo quattro chiacchiere, raramente capitava di sederci vicini nella sala mensa, ma il tutto finiva lì.
Eravamo comunque degli ottimi amici e a dimostrazione di questo era lì, vicino a me, mi aveva praticamente salvato la vita.
<<Io.. Abel non so cosa dire..>> mi tirai su coi gomiti, la testa mi faceva un po' meno male: <<Grazie. Non so dove sarei se non ci fossi stato tu lì con me, non voglio nemmeno pensarci... Tu come stai? Ti avrò fatto preoccupare un sacco>>.
Lui arrossì, era visibilmente a pezzi, ma di pronta risposta, abbassò lo sguardo: <<Sto bene, sono solo un po' stanco, sei rimasta qui otto ore>>
Otto ore. Non si era allontanato da me per otto ore. Santo cielo.
Qualcuno bussò alla porta, quel che ne entrò mi stupì non poco, era l'ultima persona a cui pensavo, ma certamente non era la meno gradita:
<<Ehi Marzia, cosa ti è successo?>>.
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"Scrivi di noi" e l'ho fatto.
Viễn tưởngUna ragazza, la su amata Harmstel, la paura del confronto con persone più capaci di lei. Un ragazzo, un insegnante e un'insegnante, la paura di deludere qualcuno. La fiducia nelle proprie capacità. Una sfida. Ma chi decide chi vince e chi perde?