CAPITOLO 11: altri ricordi così

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La vidi lì, sulla riva del lago che scattava foto con la sua Reflex, aveva un non so che di professionale nelle movenze, nel modo di regolare l'apparecchio e il cavalletto, ma ciò che mi colpì fu come guardava il mondo intorno a sé: si meravigliava di qualsiasi cosa la circondasse, scrutava il mondo che la circondava con gli occhi di un bambino che visita un posto nuovo per la prima volta, nonostante conoscesse il lago a memoria; ad un tratto appiccicò la faccia alla fotocamera e restò immobile.

Corsi verso di lei: <<Ehi Marzia! Sempre a caccia di nuovi soggetti?>>

Lei distolse lo sguardo dal mirino e mi puntò gli occhi addosso, l'avevo disturbata durante un momento critico, me lo sentivo.

<<Ah, ciao Abel, capiti a fagiolo, vieni qui>> mi rispose, mentre con aria soddisfatta mi faceva cenno di avvicinarmi a lei: <<Guarda nella macchina>> mi intimò, puntando il dito verso il mirino, mi avvicinai piano alla Reflex, una Canon per la precisione, e appoggiai occhio dove mi era stato detto: c'era, sul lato opposto del lago, un cerbiatto che beveva sotto gli occhi vigili di un cervo adulto.

<<Wow...>> dissi, ero senza parole: <<Come hai fatto a vederli? Il lago non è piccolo e da qui, senza guardare nell'obiettivo, non si notano.>> lei sorrise leggermente, si scostò i capelli blu dal viso: <<È merito dell'obiettivo, ha una distanza focale tale da permettermi di vedere parecchio lontano, data dal...>> si fermò, portò una mano sulle labbra come a tappare la bocca: <<E niente, li ho visti per caso, stavo cercando qualcosa che mi convincesse a fare una foto ed eccoli.>>.

<<Perché ti sei fermata mentre parlavi del tuo obiettivo?>> le chiesi: <<C'è qualcosa che non va?>>

<<Oh no, niente, è che sono cose che potrebbero annoiarti...>> rispose lei con una nota di imbarazzo mentre distoglieva lo sguardo, ora guardava il punto dove stavano i cervi di prima: <<Non dirlo nemmeno per scherzo Marzia, anzi ti prego spiegami cos'è che da la distanza focale al tuo obiettivo>> la vidi accendersi di entusiasmo, i suoi occhi avevano preso il colore dell'erba che ci circondava, una soffio di vento le spettinò i capelli lunghi e lisci che presero a dimenarsi nell'aria come cavalli impazziti.

<<Beh se la metti così, allora iniziamo, sarà un discorso un po' lungo e probabilmente difficile da capire, ma se davvero ti interessa, proverò ad introdurti al magico mondo della fotografia!>> disse mentre guardava in basso: era imbarazzata, ma allo stesso tempo fremeva dalla voglia di parlare.

Più la ascoltavo parlare di corpi macchina, ottiche, lenti, più mi accorgevo di quanto amasse quello che faceva, sentivo l'energia che scorreva nelle sue vene scorrere anche nelle mie; dalle sue labbra rosee non usciva una parola fuoriposto, tutte erano pesate e ponderate per cercare di farmi capire il più possibile e dio, quanto era bella mentre spiegava ciò che amava.

Era come un angelo. Il mio angelo venuto a strapparmi dal buio dell'ignoranza sul mondo fotografico. Sorrisi immaginandomi lei con le ali di un angelo che veniva a tirarmi fuori da un mare nero, per mostrarmi un paradiso fatto di diaframmi e tempi di scatto.

<<Mi stai ascoltando?>> si interruppe lei: <<Guarda che se non ti interessa smetto di parlare..>> la vidi rattristarsi, e subito ritornai coi piedi per terra: <<No, ti sto ascoltando, solo mi sono immaginato una scena divertente>> lei mi fissò con aria interrogativa: <<Ah si? E magari sono anche la professoressa vecchia e col cappello a punta che ti bacchetta>> poi scimmiottando un'insegnante: <<"Signorino Menville, a che punto siamo arrivati? Eh? Non sa forse rispondere? 10 punti in meno a Corvonero!">> e scoppiammo a ridere entrambi, tanto da cadere a terra, immersi nell'erba incolta che ci solleticava le caviglie.

Silenzio. Era un momento bellissimo. Lei era bellissima. Chiusi gli occhi per riempirmi le narici e il cuore di quell'attimo.

<<Guarda il cielo Abel>> mi guardò, poi mi smosse il braccio: <<Abel, ci sei? Abel non puoi esserti addormentato sul serio, Abel dai..>>.

Silenzio. Passarono alcuni secondi.

<<BUH!>> urlai, e vidi Marzia fare un salto, scoppiai a ridere mentre lei mi malediceva: <<Sei un emerito deficiente Abel Menville, ti odio!>> cominciò a prendermi a ceffoni: <<Ti sei spaventata davvero, non ci credo..!>> e non riuscivo a smettere di ridere, mentre lei continuava ad arrabbiarsi sempre di più, a sbraitare e ridere all'unisono.

Mi stava sovrastando, quando con una mossa la feci rotolare per terra, mi ci fiondai sopra: <<Come la mettiamo adesso, Marzia Portville?>> esclamai, mentre le tenevo i polsi per evitare ulteriori ceffoni.

<<Non mi avrai mai, viva!>> sentenziò fiera lei.

<<L'orgoglio non ti salverà, giovane Corvonero!>> dissi ridendo e presi a farle il solletico.

<<Ti prego Abel, fermati, oddio fermati ti prego!!>> le sue parole erano rotte dalle risate, continuava a dimenarsi senza riuscire a disarcionarmi.

"così mi uccidi, Abel piantala ti prego".

"Così mi uccidi".

...

Ed ora era lì.

Stesa sul letto. Immobile.

Dov'era finito il verde del prato, l'acqua chiara, i cerbiatti, quel momento?

Ero distrutto, ormai erano quasi otto ore che ero seduto di fianco a lei, ero stanco, le palpebre faticavano a stare su, ma niente era così importante. Niente se non lei.

<<Ho bisogno che ti svegli adesso, Marzia, piantala di far finta di dormire...>>

Niente. Non emise un gemito, non si mosse di un millimetro.

<<Marzia ho bisogno di vivere altri momenti come quello con te, ti prego...>>

Le strinsi una mano e la fissai per un attimo: era fredda, come suo solito.

<<Adam..>> emise un gemito impercettibile, ma non abbastanza perché non lo sentissi.

Adam...

Adam?

Portai lo sguardo sui suoi occhi chiusi: una goccia d'acqua le stava solcando le guance, Marzia stava piangendo. Lascia la sua mano e le asciugai il volto.

Le forze mi stavano abbandonando: <<... Marzia ti prego.. ti prego..>> gemetti un'ultima volta, prima di collassare sul letto, chiudendo gli occhi.

E poi successe.

Sentii qualcosa sfiorarmi i capelli, sollevai la testa di scatto e scoprii che erano le sue dita: <<Sei sveglia.. Marzia sei sveglia.. >> non riuscivo a crederci, esplosi in un sorriso e chiamai subito la professoressa Aeryth nella stanza vicina.

Subito la ragazza mi fece le classiche domande che ogni persona che si sveglia da un coma pone a chi ha davanti: "perché sono qui, chi è stato a ridurmi così" e simili, ma poi ad un tratto entrò un'orda di gente a me sconosciuta: in primis tre ragazze che avevo spesso visto con lei, erano le sue tre migliori amiche, gente a posto, le conoscevo solo di vista, ma erano brave persone e questo mi bastava. Scherzammo un po' tutti insieme, poi entrò un ragazzo, un certo "James".

Non aveva l'aria di essere una persona desiderata, ma quando gli occhi di tutte volarono su di lui, mi sentii decisamente di troppo, ma non potevo alzarmi come se nulla fosse, salutare ed andarmene, così girai lo sguardo verso la finestra finche Marzia non pronunciò le fatidiche parole: << Sei stanco, Abel, perché non vai a riposarti? Quando esco vengo a trovarti, promesso.>>.

Le sorrisi, sapevo benissimo che sarei tornato prima io da lei.

E poi le dovevo un favore. Dovevo ridarle le emozioni che lei aveva dato a me.

Dovevo riavere indietro la mia amica.

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