CAPITOLO 14: vieni con me

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Dopo la visita di Ellen, mi aspettavo che anche Abel avrebbe fatto la sua apparizione, invece ricevetti una delusione: ormai erano le cinque del pomeriggio e dopo di lei non si era più presentato nessuno. Peccato, avrei voluto che il mio ultimo giorno da ricoverata fosse passato in modo diverso, ma pazienza, tutti hanno i propri impegni e a tenermi compagnia c'erano i miei libri, che avevo letto e riletto nelle mie ore solitarie.

Non vedevo l'ora di alzarmi e uscire da questa stanza che mi soggiogava come una gabbia: avevo voglia di correre, scattare qualche foto, fare un giro con i miei amici, insomma divertirmi.

Vivere.

Tastai la gamba dell'iniezione: il dolore sembrava essersi attenuato abbastanza da lasciarmi camminare, ma per sicurezza chiesi al solito infermiere di portarmi una stampella per reggermi e fui accontentata, con tanto di sorriso smagliante: che infermiere gentile.

Mi trascinai fuori dalle coperte: ero tutta indolenzita, ma riuscivo comunque a reggermi in piedi, così presi i miei vestiti, mi cambiai e mi diressi verso il bagno per darmi una lavata al viso. Giunta davanti al lavandino trasalii: avevo un'enorme macchia viola che dalla tempia sinistra percorreva una buona metà della mia fronte, sopra il sopracciglio e oltre l'attaccatura dei capelli: <<Oh santo dio... Sono un mostro..>> mi dissi a voce più alta di ciò che pensavo, ma era la verità: potevo tranquillamente essere scambiata per un Erumpent sena problemi, come se non mi facessi già abbastanza complessi da sola.

<<Che palle>> sussurrai raccogliendo l'acqua che usciva dal rubinetto aperto nelle mani, per poi passarmele delicatamente sul viso: il livido doleva al tatto, ma perlomeno non era troppo gonfio, nulla che una buona dose di trucco non avrebbe potuto nascondere, se solo fossi stata in grado di usarlo: <<Dovrò chiedere ad Amanda di darmi una sistemata>> dissi alla mia immagine riflessa nello specchio, poi abbassai lo sguardo e feci un sorriso rassegnato: <<Mi sono appena messa a parlare da sola, complimenti Marzia Portville, una giovane Corvonero che si riduce a dialogare con la sua immagine riflessa, la botta ti avrà forse fatto diventare pazza?>> poi risi scuotendo al testa: <<Sono un caso disperato.>>.

Uscii dal bagno e mi diressi verso il mio giaciglio, ma vidi che era già occupato: Francis era seduto su un lato del letto e mi dava le spalle: le braccia pendevano lungo il busto le mani erano intrecciate, fissava un punto indeterminato fuori dalla finestra, aveva un'aria triste, come se gli fossero riaffiorati dei momenti poco piacevoli.

<Ehi>> lo salutai: <<Non ti ho sentito entrare, è tanto che aspetti?>>

Lui si voltò di scatto come destato da un sogno, si alzò e mi venne incontro, poi mi abbracciò: <<Sei meglio di quel che credi.>> disse: <<Ti ho sentita parlare in bagno e credimi se ti dico che nonostante tutto sei comunque straordinaria.>> non metabolizzai subito la cosa, ma ricambiai la stretta affondando nell'incavo della sua spalla: <<Abbiamo già parlato di questa cosa, Fran, non mi sembra il caso di tirar fuori il discorso ora, anche perché adesso più che mai sto pensando di girare con un sacchetto in testa.>> dissi risoluta, poi mi misi a ridere, ma lui non lo fece, anzi mi guardò con aria mesta: <<Non riuscirò mai a convincerti, non è vero?>>.

<<Sei il mio migliore amico, ma nonostante questo non riuscirai mai a convincermi.>> dissi allentando la presa e portando i miei occhi ad incrociare i suoi, gli accarezzai una guancia: <<Per dio, Fran, tagliati la barba, sembri uno scappato di casa!>> esclamai facendogli una boccaccia, lui mi concesse un sorriso e scosse la testa: <<Sei sempre la solita, Marzia...>> poi ci sciogliemmo dall'abbraccio.

&quot;Scrivi di noi&quot; e l'ho fatto.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora