Capitolo 13

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Le carrozze sfilavano lungo il sentiero varcando per la prima volta, dopo anni, i cancelli de castello dei Duval. Ogni dama e gentiluomo osservavano affascinati le mura del castello, molti incuriositi da ciò che un tempo era stato e ancor di più vogliosi di rivedere l'uomo che era riuscito a sopravvivere all'inferno che erano stati per anni quelle stesse mura. Un anno fa, la notizia dei ritrovati figli del precedente duca era arrivata a Parigi in un brevissimo tempo, seguita da tutto il resto. Per un intero anno l'alta società era stata in continuo fermento e i giornali avevano compiuto il loro lavoro cercando di riferire ogni succosa informazione che potesse dare luce all'oscurità e ai misteri che invadevano i Duval. Per anni Lucien Duval, con la scomparsa dei due nipoti ereditieri, aveva governato le proprietà e preso il titolo nobiliare ducale. Chi l'ho aveva conosciuto poteva descriverlo come un uomo freddo e superficiale e, quando la Camera dei Pari fu istituita, saperlo alleato con il Re Luigi era stato motivo di perplessità e di preoccupazione per molti nobili. Le sconvolgenti rivelazioni avvenute in seguito erano state solo conferme dei loro pensieri ma fortunatamente con la sua morte ciò che poteva essere messo in pericolo non l'ho era più. Con la scoperta della Duchessina Crystal ancora viva, divenuta da breve tempo Contessa di Vumont, tutte le curiosità e le perplessità della nobiltà erano rivolte al nuovo giovane Duca che per anni era stato rinchiuso nelle celli sotterranee del castello, ignaro di tutti gli avvenimenti accaduti. E proprio quest'ultimo fissava dalle sue stanze il via vai delle carrozze con sguardo apparentemente assente. La sua mente in realtà era un via e vai di sentimenti contrastanti, tra determinazione e paura allo stesso livello. Era già passato un anno eppure sembrava essere passato solo un giorno da quando aveva deciso di mostrarsi per la prima volta dopo anni di reclusione alla società. Non sapeva come avrebbe reagito la nobiltà, ma avrebbe cercato di affrontare il tutto con maestria e saggezza. Lo doveva alla sua famiglia, all'onore del padre. Un lieve bussare interruppe i suoi pensieri e dopo aver accordato il permesso, la porta si aprì, continuando a tenere lo sguardo alla finestra. Pascal entrò cautamente, non sapendo come avrebbe reagito il Duca vedendolo. Non si erano visti per i due giorni restanti prima del ballo. Richard restando in assoluto riposo, raccomandato dal dottore, e il valletto a fare continui giri nelle terre con la speranza di rintracciare l'uomo che aveva sparato all'amico. "Hai scoperto qualcosa su l'uomo?" Domandò Richard. Pascal sorrise dal fatto che lo avesse riconosciuto, del resto c'era stata fin da subito sintonia tra loro. "Ho seguito le tracce di sangue ma sono scomparse dopo aver percorso qualche chilometro a cavallo. Sono molto furbi." Dovette ammettere, infastidito. Richard, strinse le mani a pugno ascoltando quell'informazione. "Sai qual è il peggior difetto di chi si crede furbo, Pascal?" Al silenzio dell'altro, Richard continuò. "E credere gli altri inferiori a lui." Infine si voltò verso il valletto, con uno sguardo deciso. "Voglio che il castello venga sorvegliato, sia di notte che di giorno. Discrezione, Pascal, non voglio che i miei ospiti sappiano cosa stia succedendo." Il valletto annuì. "Sarà fatto." Richard non ne dubitava. Si voltò di nuovo alla finestra, con un altro pensiero fisso. "Tutta la servitù adesso sa cosa sta succedendo e probabilmente lo sa anche il traditore." Richard strinse le mani in pugno, al pensiero che una persona a suo servizio possa tradirlo. "Potrebbe darsi che il traditore sia qualcuno entrato in questo breve tempo al tuo servizio." Cercò un'altra soluzione Pascal, comprendendo la rabbia dell'amico perché era uguale alla sua. Dopo ciò che avevano passato insieme, sembrava inverosimile pensare che qualcuno di loro potesse accoltellare alle spalle tutti loro, soprattutto il duca che si era dato tanto da fare per dar loro un minimo di stabilità dopo tanti anni di ingiustizie. Alle parole dell'amico, la fronte di Richard si appiano. Non era così insensato, pensò speranzoso, poteva benissimo essere qualcuno di loro che magari non considerava giusto il suo ritorno o magari era semplicemente qualcuno assolto dal bandito e anch'esso aveva un odio profondo verso la nobiltà. Eppure anche se tutto ciò aveva un senso, c'era qualcosa che non andava, qualcosa che non quadrava, ma in quel momento non poteva pensare e riflettere sulla questione in modo più approfondito. Aveva degli ospiti da dare il benvenuto e il nome della sua famiglia da rialzare. "Pascal, occupati di ciò che ti ho appena detto di fare. Vedremo in seguito come agire." Lo congedò. L'altro annuì, voltandosi verso la porta e ringraziando il cielo sentendosi fortunato dato che il Duca non aveva fatto presente ciò che era successo due sere fa. "Pascal." Lo richiamò. Quest'ultimo s'irrigidì sul posto, voltando lentamente il viso verso l'uomo. "Sì." Disse cauto per incrociare poi uno sguardo accigliato e più irritato che altro. "Se ti azzardi un'altra volta, giuro che ti strangolo con le mie mani." Avvisò secco, per poi voltarsi di nuovo verso la finestra. "Ti ringrazio." Pronunciò subito dopo, quasi un bisbiglio.
Pascal sospirò dal sollievo e sorrise mentre apriva la porta per uscire. "E' sempre un piacere, Vostra Grazia." Rispose per poi chiudere la porta dietro di sé. Richard scosse la testa, divertito e allo stesso tempo irritato dalla sua impertinenza. "Non sarò mai un bravo Duca, come lo era mio padre, se il mio valletto si prende gioco di me." Sospirò per poi voltarsi anche lui verso la porta per uscire e andare incontro agli ospiti. Improvvisamente fu colto da un acceleramento del battito cardiaco. Richard si sentì spezzare improvvisamente il respiro. "No maledizione." Riuscì a bisbigliare. Sentì la schiena e la fronte umida mentre un'improvvisa debolezza lo invadeva, facendogli piegare le ginocchia a terra e sostenendosi con un braccio mentre con l'altro si toccava il petto, sentendo il suo cuore battere all'impazzata. Chiuse gli occhi sentendo le vertigini e si sforzò di fare piccoli respiri. C'era abituato a quegli attacchi ormai, ma quello sembrava uno dei più potenti avuti e al solo pensiero si sentì male. Passerà. Cercò di far entrare quel pensiero nella sua mente offuscata, mentre istintivamente la sua mano andava alla ricerca del suo anello, sotto la camicia, in cerca di qualcosa, anche se in quel momento non avrebbe saputo dire cosa. Dopo circa sei minuti, che per lui furono un'eternità, il tremore cominciò a diminuire e anche i battiti dandogli modo di respirare più agevolmente. Dovette rimanere ancora per qualche minuto sul pavimento per riprendersi prima di potersi rialzare e sedere sulla sua poltrona con un gemito, domandandosi se veramente tutto ciò sarebbe mai passato.

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