Capitolo 1

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Mi stringo nel caldo ma consunto scialle, continuando ad affondare gli stivali nel terreno fangoso, bagnato da un violento temporale che ci ha colpiti meno di un'ora fa. Nell'aria si sente l'odore pungente e freddo della pioggia, i suoni riecheggiano indisturbati nello spazio aperto e vuoto di un campo incolto.
Con le dita sfioro i fili d'erba che sono cresciuti tanto da arrivarmi ai fianchi, che si piegano sotto le sferzate gelide del vento.

Si piegano ma non si spezzano.

Un po' come ho dovuto fare io.
Perché ho dovuto e perché non c'era altro modo di sopravvivere in un mondo dove la vita umana conta ben poco.
Seguo la direzione del vento e volto la testa indietro, guardando da lontano la grossa tenuta grigia che si erige su una piccola ed insignificante collina. Mi sembra di aver camminato per così tanto tempo, eppure eccola ancora lì, ad urlare la sua fastidiosa presenza, ad ammonirmi costantemente di tutto, di quello che sono, quello che ho causato e cosa non sono in grado di fare.

È un continuo rimprovero che ha la voce di mio padre.

Torno a guardare davanti, il cielo grigio che si confonde in lontananza con la terra, sperando, pregando, che qualcosa di migliore possa esserci anche per me. Cammino imperterrita delle pozze, del terreno umido e scivoloso, e inseguo vani pensieri infantili di felicità e libertà.
Controllo che non ci siano buche e chiudendo gli occhi, alzo il viso verso il cielo, verso quel sole che cerca di farsi spazio tra le spesse nuvole.

Sta per spuntare me lo sento sulla pelle, con quel leggero calore e quella tenue luce timida.

"Ehi! Ehi dico a te!"

Mi volto verso l'uomo che ha parlato, ritrovandomelo a pochi passi, in sella ad un cavallo. È uno dei tanti braccianti di mio padre.

"Tuo padre ti sta cercando." dice scontroso, aspetta con impazienza che io prenda le redini del secondo cavallo e se ne scappa al galoppo.

Non mi accompagnerà alla tenuta, né mi chiamerà per nome o sarà gentile con me per la troppa paura che io porti sventura a lui e alla sua famiglia.
Accarezzo il crine dell'animale, pensando al motivo per cui sono stata convocata.

Strano, lui non mi manda mai a chiamare.

Con questo triste pensiero mi accorgo con altrettanta infinita malinconia che pure quel timido raggio di sole è scappato via.
Salto in sella e parto al galoppo.
Non è saggio far aspettare mio padre, specialmente se la persona che lo fa attendere sono io.
Passo attraverso uno stretto sentiero in mezzo ai campi, una distesa verde che i suoi avi sono riusciti a comprare ed a far fruttare, nonostante il dominio di Vampiri e Licantropi. Arrivo all'interno dei confini della tenuta in pochi minuti e dopo aver lasciato il cavallo nelle stalle, mi affretto ad entrare e farmi ricevere. Sorpasso il grande salone decorato con arazzi della famiglia, tappeti morbidi e pregiati, per dirigermi in una seconda sala, più piccola e meno decorata, dove due uomini mi fermano con aria minacciosa.

E pensare che al di là della porta c'è la persona che mi ha messo al mondo.

Sospiro triste e gli avviso che sono stata chiamata.
Le due guardie mi lanciano uno sguardo dubbioso, poi decidono di farmi entrare.
Se non fosse per questa situazione mai capitata prima d'ora e che mi sa tremendamente di pericolo, sarei quasi emozionata dal vedere per la prima volta in tutta la mia vita, dove lavora mio padre.
Busso delicatamente per non indisporlo ulteriormente della mia presenza ed entro solo quando sento un ovattato "Entra".

Mi richiudo la porta alle spalle fermandomi in mezzo allo studio, in attesa e guardandomi in giro con aria curiosa. I mobili e la stanza tutta traboccano di eleganza antica, fascino e storia vissuta; la libreria in legno con qualche aggiunta in ferro alla mia sinistra, l'altro scaffale a destra, il tavolino con delle bottiglie e qualche bicchiere, comode poltrone rivestite, il tappeto e la grande scrivania dove un uomo sui quarant'anni sta scrivendo e mandando avanti il suo lavoro. È chino su alcuni fogli, li riempe con minuzia, inclinando sapientemente la sua stilografica, circondato da una lampada, un posacenere in cristallo, un grande mappamondo in legno ed una scatola in legno. Rimango ferma, respirando appena, spostando la mano solo per grattarmi urgentemente il naso, catturando purtroppo la sua attenzione.
Alza lo sguardo su di me per una frazione di secondo, impassibile, continuando a scrivere.

L'amante dell'alfaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora