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"La prego basta così, sono ubriaca. Non voglio che qualcuno si approfitti di me" Sghignazzo, seguendo il corso dei miei pensieri.
Pensieri in cui, dopo avergli fatto una radiografia molto accurata, sarei più che disponibile a farlo approfittare di me.
"Nessuno sarebbe così sciocco da provarci, ma chérie. Lo sanno tutti che sono pazzo" ghigna. Butto giù l'ultimo sorso e lo osservo attentamente.
Mi sporgo e scosto la camicia per vedere meglio i tatuaggi. Beh, scosto è un po' riduttivo, quasi gliela strappo.
"Mi piacciono. Le stanno bene e sono molto particolari" affermo convinta.
"Davvero?" Chiede.
"Sì! La distinguono dalla massa, oltre ai capelli e gli occhi. Sono un tratto distintivo non comune, non c'è nessun altro che ha tatuaggi simili. Solo il Joker.
Posso chiederle perché ha scelto questo nome e questo trucco?" Mi accoccolo meglio, per sentire la spiegazione.
"Perché la vita è un gioco ma chérie, ed io sono il più grande tra i giocatori. Ma la vera domanda è, perché no? Cercare di distinguersi, amplificando al massimo è nella mia natura. Ogni cosa, situazione, relazione va' vissuta al massimo. E questo è ciò che rappresento, un'idea, questo sono io" racconta.
"Wow... lei non è pazzo! Tutti lo dicono ma io non ci credo. C'è intelligenza in queste parole, forza e saggezza. Ma non mi stupisce, non mi sarei aspettata nulla di meno".
Mi fissa, poi fa' quella buffa rotazione e si alza.
"Devo andare. Buona notte, ma chérie" si volta e sento una piccola stretta al cuore.
"La rivedrò?" Gli chiedo.
"Cercami, mia cara. E se non mi trovi, cercami nei sogni. Mi troverai lì." Picchia il bastone ed esce dal locale.
Me ne torno sconsolata al bancone, con la strana e dolorosa sensazione di non rivederlo presto.
Non sbaglio.

1 mese dopo.
"Lize non verrà, è chiaro ormai. Mi spiace dirtelo ma ha solo giocato con te" dichiara il mio collega.
"No, non ci credo! Ho guardato i suoi occhi, non mi ha mentito" mi rifiuto di crederlo.
"Santo cielo L, è pazzo da legare! Come puoi credere che non menta" insiste.
Volto le spalle e me ne vado in un angolo, per calmarmi. Quando riesco a farlo, riprendo il mio lavoro fino a chiusura.
"Vai a casa, pensiamo noi a sistemare" mi dicono in coro. Faccio un mesto sorriso e mi avvio allo spogliatoio. Raduno le mie cose, metto la giacca ed esco.
Non faccio che pochi passi, quando il cellulare inizia a suonare. Un numero che non conosco.
"Chi è?" Domando.
Silenzio dall'altro capo, poi la linea che cade. Qualcuno che ha sbagliato? Metto il telefono in tasca e proseguo. Passo dalla strada meno trafficata, si fa prima da qui.
Infilo le cuffie e mi lascio trasportare, anche se ogni canzone mi rammenta capelli verdi e occhi smeraldo.
Sono a metà strada, quando mi accorgo che una macchina, a fari spenti e vetri oscurati, mi segue. Mi impongo di restare calma, non cedere al panico. Quando la sento fermarsi, tiro un sospiro di sollievo. Continuo con il mio passo, anche dopo aver sentito lo sportello chiudersi.
Il telefono inizia a vibrare.
Un messaggio è appena arrivato. Mi fermo e leggo.
"Vola con me" dice soltanto. Ma la buffa immagine profilo del mandatario mi apre il cuore.
Ruoto su me stessa, sorridendo.
"Non dovrebbe fare così. Spaventa la gente" lo sgrido.
"La paura è bella, è salvezza amore mio. Come la follia, la mia follia è un dono, baby." Ghigna, allungando una mano.
La afferro, senza pensarci, mi tira vicino a sé, mettendo una mano sul mio fianco, mentre con l'altra mi accarezza il braccio.
"Mi piacciono i doni" replico.
"Allora vieni, seguimi e ti farò il più grande dono al mondo."
"Posso sapere che cosa ha in mente?"
"No, è una sorpresa e tale deve restare. Entra in auto." Non tergiversa, aprendo lo sportello.
Mi ci tuffo, come se fosse un'ancora di salvezza. Mi segue e siede al mio fianco.
Si volta, mette un dito sotto al mento e dice:
"Chiamami J. Questo è il mio nome, ma chérie" posa le labbra sulla fronte, e in un impeto dettato dall'istinto, mi appoggio a lui, stringendo la camicia tra le dita, annusando il suo profumo.
E miracolosamente succede qualcosa.

Mi sento a casa.

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