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"Grazie. Sono stata davvero bene." Lo ringrazio, mentre ci rivestiamo. È quasi ora di pranzo ed il mio stomaco brontola.
"È un piacere, amore mio" risponde.
"Ti posso chiedere una cosa?".
"Ancora con queste domande? Avanti, una sola e poi basta" replica.
"Perché mi chiami amore mio?" Ed ecco ciò che più mi preme di sapere.
"Perché sei il mio amore. Come altro dovrei chiamarti?" Risponde convinto.
"Ti ho detto che ti amo, tu non hai risposto. Andare a letto insieme ed amare qualcuno sono due cose diverse" ribatto.
"Credi che sia stupido? So' benissimo la differenza. Ti amo è solo uno stupido termine per definire qualcosa. Un sentimento che non può essere definito, imbrigliato in sciocche etichette. Amore, pazzia, odio. Tutte forme della stessa sostanza, a cui non voglio assoggettarmi e piegarmi. Sai che provo qualcosa per te, dell'affetto. Non ti basta?" Dichiara.
"Affetto? J non sono un cane, un animale da compagnia, a cui dai una casa e qualche coccola sul divano. Tu hai la tua visione delle cose e dai per buono che sia quella giusta. Non ti domandi cosa voglio io. Se questo va bene per me e cosa comporta. Tu prendi, tu decidi ed il resto del mondo deve piegarsi al tuo volere" Sbraito.
"Ma che cazzo ti prende?" Dice sbigottito.
"Ti ho detto che tengo a te, stupida! E tu ti offendi! Ti porto qui, nel mio mondo, ti concedo il privilegio e tu, tu, tu, ti rivolti come un cane rabbioso, perché non ti faccio le coccole o non ti porto i fiori! Sei stupida come tutte le altre" sibila. La mia mano scatta, prima che riesca a fermarla.
"Scoparmi, non ti dà il diritto di mancarmi di rispetto hai capito, pazzo squilibrato?" Mi volto e senza aspettare altro, me ne vado. 

"Charly, rispondimi!" Urlo disperato. La sera è calata e di lei nessuna traccia. Ho quasi distrutto la casa, le voci sono impazzite di nuovo senza di lei. Portandomi ad avere una crisi. Era da tempo che non mi accadeva, lei tiene a freno il mio lato cattivo. Ma la psicosi è tornata, fino a che la parte razionale di me ha iniziato a preoccuparsi. Sono uscito a cercarla, deve essersi persa. Prego solo che sia sana e salva.
"Charlyyyy" la torcia trema, così come la mia mano.
Poi un rumore strozzato.
"J?" Mi chiama. Corro verso il suono e la trovo seduta, spaesata e terrorizzata.
"Charly, non farmi mai più una cosa simile!" La sollevo, sento che scotta.
"Scusa non volevo colpirti" mi dice.
"Dimentica, non è importante. Ti porto a casa" le rispondo.
"Casa... è l'unico posto dove voglio andare. Se ci sei tu, tu sei la mia casa" vaneggia, ha la febbre. La deposito a terra e la scruto alla luce della torcia.
"Cosa hai mangiato Charly?" Le chiedo con la paura che mi serpeggia nelle vene.
"Erano buoni, succosi. Avevo fame J. E poi" Non finisce, un conato la spezza in due ed un fiotto rosso le esce dalla bocca.
"NONONONONONO dannazione Charlize!" Urlo. La prendo di peso e corro verso casa, entro, la butto sul tavolo e accendo la luce. Lei continua a vomitare, io apro il pensile con gli antidoti e le siringhe.
Aspiro la dose e torno da lei. Le stringo il braccio ma non sta ferma. Così mi costringe a...
Le lascio andare un manrovescio, così forte che si placa. Trovo la vena e senza pietà inserisco l'ago. Spremo tutto il liquido e getto la siringa.
"Charly, dannata ragazza! Ehi, svegliati Charly, ti prego" Ma non mi sente.
Non posso fare nulla, se non sollevarla e mettermela in grembo.
Pregando che non sia stato così stupido da uccidere l'amore della mia vita. Alzo la testa e grido tutto il dolore e la paura, dondolando, con il suo corpo esanime stretto al petto.  

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