Prologo

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Mio padre ha sempre cercato di farmi appassionare a ciò che lui ha sempre amato: le moto, o comunque tutte le cose che possiedono due ruote. Io, invece, sono sempre stata un'appassionata di film e serie tv; sarei stata a casa tutto il giorno pur di non perdermi l'ultimo episodio delle mie serie preferite.
Mio padre, al contrario, ha sempre amato stare all'aperto e ha sempre cercato di coinvolgermi in quello che faceva.
La prima delusione arrivò quando io avevo solo sei anni. Come tutti i bambini, anche io dovevo imparare ad andare in bicicletta. Mi mise un caschetto rosa per farmi contenta e, quando mi fece sedere sul sellino della mia bici, anch'essa rosa, non mi trovai a mio agio. Iniziai con le rotelle, come la maggior parte dei bambini di sei anni, ma quando me le tolse iniziai a piangere. Non volevo assolutamente andare in bici. Avevo paura, nonostante mi fidassi di mio papà, ma andare su due ruote era contro il mio modo di essere. Mi costrinse a salire di nuovo sulla sella e ci provai comunque, nonostante i lacrimoni che scendevano dagli occhi. Quando caddi, mi levai il caschetto e lasciai tutto lì a terra correndo in casa in cerca di conforto dalla mamma. Lei parlò con mio papà dicendogli che non era strettamente necessario imparare ad andare in bicicletta e che sarei sopravvissuta lo stesso, anche senza questa capacità.
Lui era testardo e spesso mi rinfacciava il fatto che non sapessi andare in bici. Piano piano iniziò a farlo sempre di meno, ma ogni volta che conosceva uno dei miei amici o delle mie amiche, che già erano pochi, doveva sempre tornare su questo fatto. Quelli che ora non sono più miei amici ridevano di me, ma io non ci trovavo niente di divertente; ed è per questo che non lo sono più. I miei attuali amici hanno resistito agli inutili tentativi di mio padre di allontanarli da me usando questi giochetti da bambini ed ora lui non ci prova nemmeno più a rinfacciarmi la mia incapacità sulle due ruote.
Ad ogni modo, quando c'erano delle gare di corsa delle biciclette, la domenica, lui occupava sempre il divano e stava quasi tutto il pomeriggio a seguire la gara. Se non erano le bici, erano le moto, perché lui seguiva tantissimo il motomondiale, molto di più che delle biciclette, e "conosceva" un sacco di piloti. Quando occupava la televisione ero obbligata a guardare quello che voleva lui perché non avevo la tv in camera mia.
E fu così che, senza volerlo, imparai i nomi dei piloti e, dopo parecchio tempo, imparai a riconoscerli anche senza casco e senza la tuta. Questo rese felice mio papà, ma non me, perché io continuavo ad odiare qualsiasi mezzo di trasporto a due ruote.

Ami più lei che me||Fabio Di GiannantonioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora