(13.)

1.9K 113 3
                                    

 

Dakota.

 

“Che mal di testa” borbottai irritata una volta essermi svegliata. Ma perché ero a casa? Ieri ero in hotel con i ragazzi…Oh già, poi sono uscita con Adam. Adam. Adam.

Poi ricordo poco del resto. Me lo sarei fatta dire da lui.

Andai in cucina con passo trascinato. Lì trovai Alexa, Harry e Adam che facevano colazione.

“Oh, finalmente ti sei svegliata” mi salutò Alexa.

“Che ci fai qui?” mugugnai verso Adam, stranita. Trascinai una sedia del tavolo e mi ci sedetti a peso morto.

“Questa notte ti ha riaccompagnato a casa dopo che avevi bevuto un po’. E dato che lui aveva fatto lo stesso non mi fidavo a lasciarlo guidare, così ha dormito in salotto”.

I miei occhi guizzarono verso Harry, il cui sguardo però era basso sulla sua tazza.

“Perché tu sei così pimpante?” chiesi irritata ad Adam, che sembrava il ritratto della serenità mentre io mi sentivo a pezzi.

“Non ho bevuto molto” alzò le spalle.

“Tieni” Alexa mi porse un bicchiere d’acqua e un’aspirina. Strappai la bustina e la versai del bicchiere. “Tutto questo è stupido” mormorai. “Non mi sono ubriacata”.

“No, ma sappiamo tutti che dopo mezza birra sei partita” Alexa rise lievemente mentre intercettai lo sguardo di fuoco che le mandò il fratello.

In silenzio, Harry si alzò dal tavolo e se ne andò.

“Ma che ha?” chiesi con un velo di preoccupazione. Non avevo mai visto Harry così serio.

Adam mi guardò incerto e Alexa sorrise “E’ geloso” sorseggiò il suo caffè soddisfatta.

“Di me?” chiese Adam indicandosi.

“Di lui?” ripetei io. “Perché?” domandai poi.

Alexa alzò le spalle “Vai a chiederglielo.”

Sospirai e buttai giù la medicina. Mi alzai di scatto ma venni travolta da un lieve capogiro.

“Magari più tardi”.

Adam se ne era andato da un pezzo, agitato perché sarebbe arrivato in ritardo a lavoro.

Mi ero scusata ma non me ne aveva fatto una colpa. Mi accorsi che Harry era uscito solo quando lo cercai in casa per parlargli, ma non lo trovai.

Mi preparai ed uscii, sapendo esattamente dove andare.

“Harry” lo salutai con un sorriso. Lui non alzò nemmeno lo sguardo dal suo taccuino.

Mi andai a sedere vicino a lui, sotto l’albero.

“Dovremmo costruire una panchina, qui. Sarebbe molto più comodo” commentai pensierosa.

Lui non mi degnò della minima attenzione.

“Perché sei arrabbiato con me?” chiesi leggermente ferita dal suo comportamento.

“Non sono arrabbiato con te.” Finalmente aprì bocca.

“Non mi parli” continuai.

“Ora stiamo parlando”. Emisi un verso di frustrazione. “Sai cosa intendo” insistei.

Sun on my skin - h.s. - sequel.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora