(19.)

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Dakota.

 

Non riuscii a chiudere occhio, quella notte. Come avevo fatto ad arrivare fino a quel punto, a quella situazione?

Un giorno ero tranquillamente seduta a leggere “Cercando Alaska” di John Green e senza sapere perché i miei occhi erano saettati all’esterno, sulla strada. Un cappellino verde spiccava tra i volti grigi e cupi dei londinesi e aveva attirato la mia attenzione.

“Diverso” pensai subito del ragazzo proprietario  di quel cappello.

Era solo una sensazione, ma mi spinse a seguirlo. Più volte in seguito mi ero rimproverata di quella mia scelta irrazionale (e a dire il vero anche inquietante. Insomma, seguire uno sconosciuto così dal nulla) ma l’avrei rifatta altre mille volte. Grazie a Harry non solo avevo imparato ad amare (che lui ne fosse consapevole o no) ma anche a vivere.

“Che stiamo facendo?”

“Io” si indicò con l’indice “Sto aspettando che tu venga accanto a me.” E tu “ passò a me “Sei troppo insicura. E questo ti impedisce di vivere magnifiche esperienze e creare ricordi per quando, beh, non avrai più tutto questo a disposizione” allargò le braccia, per evidenziare ciò che ci circondava.

Continuai ad ascoltarlo in silenzio.

“Io non ti obbligo a fare niente. Se vuoi, puoi tornare a casa –anche se probabilmente ora non sai da che parte si trovi- o puoi stenderti accanto a me e…” si bloccò all’improvviso, nel mezzo del discorso.

“E?” lo stimolai, incrociando le braccia sotto al petto.

“E cominciare a lavorare su, ecco, quella cosa dei ricordi”.

 

“Prova anche tu” soffiò al mio orecchio. Lo guardai scetticamente. Scossi la testa e gli feci capire che non avrei mai fatto una cosa del genere.

“Noiosa” mimò con le labbra. Sbattei le palpebre irritata, alzai lo sguardo e urlai.

 

“Allora, com’è stato?” chiese con le guance arrossate per lo sforzo.

Risi. Risi forte, perché non mi ero mai sentita meglio in vita mia. E non c’erano parole per spiegarlo. Semplicemente lo guardai, e lui fece lo stesso con me. E rimanemmo lì, in una buia stradina, da soli. Con le guance rosse e i capelli scompigliati. Con poca voce nella gola e col cuore urlante.

E mentre osservavo tutto di lui, le lunghe ciglia, e alcuni riccioli che ora gli cadevano scomposti sulla fronte, notai crescere in me una nuova sensazione. Forse era amore, forse solo  adrenalina, ma ero perfettamente sicura di esserne appena diventata dipendente.

 

In quel momento mi sono odiata. Io, Dakota Johnson, la ragazza responsabile per eccellenza si era innamorata di uno sconosciuto.

Scossi la testa. Grazie al cielo ero troppo su di giri quella sera per mandare tutto all’aria.

“Allora, tu fai così con tutte le ragazze?”.

“Così come?” .

“Te ne scegli una, fai il misterioso e la porti sotto le rotaie di un treno. Non so…” Arricciai le labbra per evitare di ridergli in faccia.

Sun on my skin - h.s. - sequel.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora