Capitolo II

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«Mi serve una formazione da parata, non un'accozzaglia di idioti come voi. Avanti, in riga!» sbraitava il capitano delle guardie, mentre i soldati del picchetto d'onore facevano il possibile per soddisfare le richieste del loro superiore.

Lui osservava divertito la scena.
Molti di quei soldati erano molto giovani, non superavano i diciotto inverni. Erano stati scelti per bellezza e statura, per fare impressione sulla delegazione che stavano per accogliere. Ma non aveva dubbi che, se quegli stessi soldati fossero stati schierati in battaglia, avrebbero fatto una pessima fine.

Un corno risuonò dall'alto di una delle torri. Mancava poco.
Coloro che ancora non avevano preso posto si affrettarono a raggiungerlo. Tutto doveva essere perfetto.

Lui se ne stava in piedi, alla destra del Gran Duca Delinard, sovrano del granducato di Tyravia nonché suo fratello maggiore. Quest'ultimo, vestito della sua armatura dorata e scintillante, attendeva la delegazione con aria da vero regnante, a testa alta e lo sguardo fiero. Nonostante non fosse esattamente una visita di piacere quella da parte dell'Imperatrice del Tramonto, non poteva assolutamente mostrarsi debole di fronte al suo popolo.
Ne sarebbe andato del suo onore, e della sua dignità di regnante.

Robert, il capitano delle guardie, si affrettò per raggiungere il suo fianco destro, lanciandogli uno sguardo d'intesa. Proprio in quel momento, il corno suonò per una seconda volta, e lui vide un gran movimento sulle mura, nei pressi del meccanismo di apertura della porta: la robusta grata di metallo nero si sollevò con un cigolio, e una squadra di guardie si affrettò per aprire manualmente la porta. Erano necessari almeno sei uomini per sollevare la pesante barra di legno che teneva il portone saldamente chiuso, e altrettanti per aprire fisicamente i due battenti.
L'intera operazione, condotta da una dozzina di soldati, durò un minuto buono.

Nel frattempo, la tensione era palpabile. Tutti, all'interno di quel cortile, erano ansiosi di osservare la delegazione del lontano oriente e di verificarne le intenzioni.
Nessuno parlava, e tutti tenevano lo sguardo fisso verso il portone di legno.

Si girò verso suo fratello. I lunghi capelli castani erano lasciati liberi, mentre gli occhi verdi scrutavano attentamente un punto indefinito di fronte a lui.
Gli era capitato più volte di vederlo in situazioni simili, così impettito nella sua armatura da parata. Ma quella volta percepì qualcosa di diverso. Un pizzico di ansia, forse.
Riportò lo sguardo verso il portone, assumendo anch'egli una posizione più formale. Dopotutto, lo stato d'animo del fratello era comprensibile. Non conoscevano ancora le reali intenzioni dell'Imperatrice, ma senza ombra di dubbio il Gran Duca Delinard avrebbe dovuto prostrarsi ai piedi della sovrana orientale, implorandola di non imporre termini troppo duri per la pace.
Il tutto era reso tramite eufemismi, ovviamente, ma la situazione sarebbe stata senza dubbio quella appena descritta, a grandi linee.

Finalmente, il portone si aprì. I primi a fare il loro ingresso furono dei soldati in alta armatura, perfettamente schierati in formazione a quadrato. Marciavano a passo cadenzato dietro il portabandiera che esibiva lo stemma dell'Impero del tramonto, un sole d'oro in campo rosso, ma senza il bisogno di tamburi o flauti.Si bloccarono a pochi passi dalla sua posizione e, senza nemmeno un ufficiale ad urlare l'ordine, si separarono in due colonne al grido di "Kyahi", lasciando uno spazio al centro sufficientemente largo per poter passare.
I loro visi erano completamente coperti da particolari maschere variopinte, indossate sotto degli elmi anch'essi molto pregiati, sui quali erano fissati fregi in oro a forma di sole. Le corazze di chiara fattura orientale erano state verniciate completamente in rosso e oro.

Notò divertito Robert, al suo fianco, mentre gettava uno sguardo di sdegno ai suoi soldati in cotta di maglia e lancia alla mano, schierati in due file per tenere a distanza la folla.

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