Capitolo XIII

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Le banchine erano gremite di uomini impegnati a caricare e scaricare equipaggiamenti dalle navi lunghe ancorate nel porto. Visti da quella distanza, assomigliavano molto ad un gruppo di industriose formiche alle prese con le scorte per l'inverno.
La frenesia della Grande Razzia stava contagiando un po' tutti. Quasi tutti gli Jarldom e le tribù del nord avevano acconsentito a prendervi parte, e ogni giorno nuove flotte di navi entravano all'interno del porto, o venivano tirate in secca lungo il litorale della città.
Mai aveva visto la sua città così viva, così fremente per qualcosa.

«Una vista impressionante, eh?» disse suo fratello, raggiungendola sulla balconata del palazzo.

«Duecentoquindici navi e più di diecimila uomini, provenienti da ventiquattro tribù» ripeté meccanicamente lei.

La stima era stata fatta da un raggiante Gudmundur, decisamente eccitato dall'essere il secondo in comando di un esercito così grande.

«Notevole, Frejya. Davvero notevole. Fortuna che hai avuto me al tuo fianco» fece Ragnar, bevendo un sorso di birra dal corno che teneva tra le mani.

«Non montarti troppo la testa. Ricorda sempre che il comandante in capo sono io, e mi basta urlare un ordine per farti mozzare la lingua» rispose lei, sorridendo maliziosamente al fratello.

Lui ricambiò l'espressione, inclinando la testa da un lato.
«Devi urlare un ordine perché non avresti il coraggio di farlo tu stessa?» provocò Ragnar, inarcando un sopracciglio ed osservandola con aria di scherno.

«Non ti consiglio di tirare la corda. Non con me»

«Oh, se no cosa fai, mi prenderai di nuovo urlando come una vergine in calore?» insistette suo fratello.
Poi assunse un aria divertita, soffocando una risata.

Lei si girò, fulminandolo per un momento con lo sguardo. Ma poi scoppiò in una fragorosa risata, puntando un dito accusatore verso l'uomo di fronte a lei.
«Ricordati che tra di noi non c'è alcun legame di sangue, Ragnar. Potrei ucciderti senza provare alcun rimorso» minacciò goliardicamente, senza smettere di ridere.

«Ma non lo farai»

Era così. Tra loro non v'era alcun legame di sangue. Nonostante avessero passato l'infanzia e l'adolescenza assieme, Ragnar non era che il figlio della seconda moglie di Turon, nato prima che tra i due si consumasse il matrimonio.
Tra loro v'era stata sempre una solida amicizia, tanto da arrivare a considerarsi come fratelli nonostante fossero figli di genitori diversi. Qualche volta era andati oltre nella loro relazione, come in quel caso, ma ciononostante nessuno aveva nutrito dei veri sentimenti d'amore nei confronti dell'altro.
Qualcuno avrebbe potuto definirla come una "relazione senza impegni", ma era decisamente più complicata.

Ragnar rientrò nella stanza, accomodandosi su una sedia con l'onnipresente corno di birra tra le mani. «Sai, io sto ancora aspettando dei ringraziamenti per l'aiuto che ti ho dato a Hygdrasil. Credo che siano dovuti»

Lei, che lo aveva seguito all'interno, lo squadrò per un momento a quell'affermazione. Gli occhi azzurro ghiaccio dell'uomo erano sempre stati imperscrutabili per lei, fin da ragazzi, e neanche in quell'occasione riuscì a penetrare il suo sguardo, per capire cosa frullava nella testa rasata di suo fratello.

«Grazie, Ragnar» scherzò lei, scimmiottando il tono serio del fratellastro.
Poi si sedette di fronte a lui, appoggiando comodamente le gambe sul basso tavolo di legno. «Ma non pensare che il mio successo sia dovuto unicamente al tuo intervento. Avrei comunque convinto l'assemblea ad unirsi a me» aggiunse, mentre si riempiva di birra un grosso boccale.

«Tu credi? Non mi sembrava che le cose stessero così» rispose Ragnar, con una finta espressione pensierosa «Non quando lo Jarl Arne stava per screditarti di fronte a tutti. Cosa credevi di fare con lui? Squartarlo lì, davanti a così tanti occhi?»

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