Capitolo XI

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Il freddo pungente penetrava fin dentro allo spesso mantello di lana in cui era avvolto. Se ne stava accovacciato dentro una rada distesa di alti steli d'erba, affondato nella neve fino alle ginocchia.
Lo spettacolo da ammirare era sempre lo stesso: soltanto quel lungo muro che bloccava la valle nel suo punto più stretto, dove i due ripidi versanti delle montagne distavano soltanto cinquecento piedi l'uno dall'altro.
Vista così, quella strozzatura assomigliava molto più a una gola che a un comune passo montano. L'imboccatura era perfettamente dritta e allineata verso nord. Questo faceva sì che le mura fossero sempre in penombra, tranne eccezionalmente per un breve periodo intorno al mezzogiorno, durante il quale il sole faceva capolino tra le montagne.
Ma mezzogiorno era passato da un pezzo, e anche da un punto elevato come il loro si poteva vedere ben poco, oltre alle mura.

Ad occhio e croce, quel muro di mattoni non doveva raggiungere le venti braccia d'altezza. Paragonato alle mura dei normali castelli sembrava più che altro un modesto muretto, ma considerando la sua ubicazione a più di seimila piedi di quota, era un'opera degna di nota.
Inoltre, in caso di assalto, i quasi mille uomini della guarnigione avrebbero dovuto difendere un tratto di mura dalla lunghezza estremamente ridotta. Dunque, qualsiasi attacco diretto sarebbe costato moltissime perdite agli eventuali assalitori.
Questo però non voleva dire che fosse una fortezza inespugnabile. Non v'era alcuna torre, e il portone di legno non sembrava essere troppo robusto.

«Karl» lo chiamò Friedrich, facendolo sobbalzare.

Il gigantesco soldato si affiancò a lui, tenendosi sempre basso tra i cespugli per non essere individuato.

«Cosa c'è?» rispose lui, portando nuovamente l'attenzione alla fortezza.

«È quasi l'ora sesta del pomeriggio. Saremmo dovuti tornare già da un ora» fece il soldato.

Sembrava stranamente irrequieto. Lo osservò per un secondo, sorpreso di vedere il suo amico così agitato.

«Conosci il piano» disse, con tutta la calma del caso. «Non appena Mel e Talbert tornano, ce ne andiamo»

«Mel e Talbert sono fuori da quattro ore, ormai, e per compiere il giro completo della valle ce ne vogliono meno di tre. Deve essere successo qualcosa»

«Quei due sanno il fatto loro, sono esploratori esperti. Sono sicuro che stanno bene»

«Lo penso anche io. Ma siamo senza copertura, per quanto ne sappiamo i mesyani potrebbero aver attaccato il campo e sconfitto il nostro esercito...»

«Ne dubito seriamente» rise lui, cercando di liquidare le insistenze del soldato.

«In ogni caso dobbiamo tornare al campo, Karl. Rischiamo di essere colti di sorpresa, o chissà cos'altro»

«Rischiamo molto di più avventurandoci in campo aperto senza una ricognizione. Qui almeno siamo nascosti e al sicuro. Attenderemo il ritorno di Mel e Talbert. Se non arrivano, allora aspettiamo il calar del sole. Rischieremo di meno muovendoci con il favore dell'oscurità»

«D'accordo» capitolò Friedrich «posso fare qualcosa, nel frattempo?»

«Sì. Chiama gli orientali. Devo parlare con il loro capo per avvertirli del cambio di programma»

Il soldato annuì, allontanandosi poi nel cespuglio. Pochi secondi dopo udì il richiamo per uccelli che fungeva da segnale.
Gli orientali si erano presentati soltanto in tre, quel giorno. Lui aveva preso con sé cinque uomini, oltre a Robert e la sua agitata guardia del corpo. Era rimasto sorpreso quando, quella mattina, aveva scoperto che il capo della squadra alleata era nientemeno che l'enigmatica guardia del corpo dell'Imperatrice.
Non ne poteva essere sicuro, dato che il viso era sempre coperto dalla fascia nera, ma aveva riconosciuto immediatamente gli occhi. Neri, grandi e tondi, profondamente diversi da quelli dei due sottoposti che il soldato portava con sé.
L'uomo aveva detto di chiamarsi Nanako, o qualcosa di molto simile.

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