Capitolo X

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Higdrasyl non era una città. Non era un edificio, un palazzo, una costruzione. Non era un oggetto costruito dalla mano dell'uomo.
Era un'isola.

A dirla tutta, era poco più che un grande scoglio. Per visitarla tutta occorrevano meno di due ore.
Ma non era la sua grandezza a renderla un punto di ritrovo, quasi un santuario, per tutti gli uomini del nord. Non erano i suoi frutti, nemmeno le risorse che si potevano minare dalla bassa montagna che torreggiava nel centro.
Era il suo significato.

Lì, sotto quella alta cascata e di fronte all'ampia baia, le leggende narravano che i Primi Uomini era sbarcati dopo un lunghissimo viaggio dalle Terre Lontane, per poi disperdersi in tutto il nord.
Era lì che Sigma, il progenitore della loro razza, aveva scelto i migliori tra di loro e li aveva nominati Jarl, ovvero Guide del popolo.
Ed era lì, sotto la cascata dai riflessi argentei, che in quel giorno era raccolta un ampia folla.

La baia invece era gremita di navi lunghe. Gli equipaggi rimasti a bordo li osservarono con aria truce, mentre facevano il loro ingresso all'interno dell'insenatura.
Sigurd ne contò almeno un centinaio, mentre la loro imbarcazione ultimava le procedure di attracco. La prua in legno della nave si arenò per alcuni metri sulla spiaggia di ciottoli, emulata poco dopo dalle altre quattro  che la scortavano.

Frejya fremeva. Non appena la nave giunse sulla spiaggia, balzò a terra scavalcando il parapetto. Con sé aveva soltanto l'armatura, eccetto l'elmo.
Non recava armi, in rispetto dell'antica legge che impediva di portare armi sull'isola sacra di Higdrasyl.
Se quella donna non rispettava nessuno tra i mortali, quantomeno aveva rispetto per gli antichi.
Lui si affrettò a sganciare il fodero della spada dalla cintura, e poi balzò a terra a sua volta, cercando di non rimanere troppo indietro. Non aveva alcuna intenzione di provocare l'ira del suo Jarl.

La folla non si era minimamente accorta di loro. Se ne stavano tutti intorno ad una bassa collina, ascoltando in silenzio le parole di un uomo.

«...e questo non può essere tollerato. È dalla battaglia di Yarolekl, in cui lo Jarl Sigfrida perse la vita, che non vi sono più Jarl donna. Centocinquant'anni sono passati da quel giorno. E poi, cos'ha fatto Frejya per salire al potere? Io considero il suo potere del tutto illegittimo!»

«Ha rispettato le leggi del nostro popolo!» urlò una voce anonima tra la folla.

«Questo è vero. Ma se ogni uomo decidesse di assassinare il proprio Jarl per prenderne il posto, dove andremo a finire? Basta infilare un coltello nella schiena di un uomo, per rendere capo un assassino? Allora tutti noi siamo in pericolo, sbaglio? Saremmo costretti a tenete costantemente le spalle attaccate ad un muro, ad indossare una corazza giorno e notte...» l'uomo aveva ripreso a parlare di buona lena, ma quasi si pietrificò quando scorse la donna.

Frejya era rimasta in silenzio fino ad allora, e non parlò neanche in quel momento.
Per alcuni secondi, si beò del silenzio sgomento della folla, che la osservava terrorizzata.

Lui temette che la donna potesse lanciarsi in uno dei suoi atti sconsiderati, come ad esempio strozzare l'oratore a mani nude.
Non ne sarebbe stato per nulla sorpreso.
Ma, contro le sue previsioni, non accadde nulla di simile. Fortunatamente.
Frejya si limitò a sorridere al suo solito, e poi fece un passo avanti in direzione della collina.

********** 

Si crogiolò negli sguardi di terrore degli uomini lì riuniti, che come un branco di pecore si scansavano al suo passaggio. Nessuno osò bloccarle la strada, mentre procedeva verso lo Jarl Arne, che sembrava avere più paura di tutti.
Infine, quando giunse soltanto a pochi passi di fronte all'uomo, si fermò, osservandolo con un largo sorriso.
Arne era un debole, e lei lo avrebbe trattato come tale.

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