Capitolo III

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La stanza era veramente molto grande.

Di certo non poteva competere con gli alloggi dell'Imperatrice a Shinobi, ma era molto spaziosa e confortevole.
Almeno per le comodità, gli occidentali ci sapevano fare.

Tornare in quel castello era stata come una rimpatriata con un vecchio amico.
Erano passati diversi mesi della sua missione, ma aveva notato che le mura erano ancora annerite in diversi punti. Ovviamente, nessuno sapeva chi lei fosse in realtà, se si faceva eccezione per l'Imperatrice e i suoi collaboratori più stretti.

Shizumi era ancora impegnata nella visita del castello, guidata dal Gran Duca e seguita da vicino dall'onnipresente Shogun Uchida.

Lei era stata mandata lì per verificare che la stanza fosse sicura e che non vi fosse alcun pericolo al suo interno.
C'era soltanto una porta, e un piccolo balcone che dava sul cortile interno, lo stesso che lei aveva attraversato in quella fatidica notte di diversi mesi prima. V'erano tre stanze.

La prima, la più grande, era occupata dall'enorme ingresso che fungeva anche da salone. Era occupato da una serie di mobili sfarzosi, come poltrone e tavolini di vetro, mentre le pareti erano tappezzate da quadri ed altre opere d'arte di vario genere.
In quel momento la luce del sole, leggermente attenuata dal cielo nuvoloso, entrava dalla finestra che dava sul piccolo balconcino, illuminando perfettamente tutto il locale. Per la notte, l'illuminazione sarebbe stata fornita da un'ampia gamma di candele e candelabri sparsi qua e là.

La seconda stanza consisteva nella camera riservata all'Imperatrice. V'era un enorme letto a due piazze con tanto di baldacchino, ricoperto da delicatissime lenzuola ricamate in seta rossa e dorata. Una accortezza che di certo avrebbe fatto piacere a Shizumi. Il resto del mobilio era costituito da un paio di comodini, uno specchio enorme e una sedia imbottita.

La terza e ultima stanza, infine, era nient'altro che un piccolo alloggio per la servitù. La sua stanza. Non v'era altro che un paio di letti, che comunque avevano un aspetto piuttosto comodo, e un baule.

Oltre al balconcino, c'era soltanto un'altra finestra, nella stanza da letto dell'Imperatrice.
Entrambe si trovavano ad un altezza di almeno quaranta passi dal suolo, e le pareti di marmo scuro non avevano appigli per consentire una scalata.
Calcolando che l'unica porta sarebbe stata sorvegliata giorno e notte da sentinelle dell'Ordine della Luna, poté concludere che quegli alloggi erano sicuri.

Si, lo erano senza alcun dubbio.

Finalmente rilassata, raggiunse il baule all'interno della sua stanza.
Il lucchetto era ancora al suo posto, dunque nessuno poteva aver sbirciato al suo interno. La sua copertura era al sicuro.
Tirò fuori una piccola chiave da una piega della lunga veste che ancora indossava, spalancando il baule e iniziando a rovistare al suo interno.
La prima cosa che afferrò fu una veste simile a quella che già portava, ma molto più corta e comoda, senza gli sbuffi e gli strascichi blu che non facevano altro che intralciare i suoi movimenti. Si cambiò velocemente, piegando l'altro vestito e riponendolo ordinatamente nel baule.

Poi, prese tra le mani la leggera corazza. Subito un lieve senso di nostalgia la assalì. Erano settimane che non la indossava.
Era un'armatura molto diversa da quelle ordinarie: pesava poco, ma le sottili placche metalliche inserite all'interno di un rivestimento di lino pressato le garantivano una difesa efficiente contro tutti i colpi più leggeri. Purtroppo, copriva soltanto il busto, le spalle e la parte alta delle cosce, ma era un prezzo da pagare, se si desiderava sostituire una più ampia mobilità ad una mera difesa passiva.
La ripose nel baule, trovando infine l'oggetto che cercava fin dall'inizio.

Avvolta in un drappo seta, afferrò la sua spada: una corta katana, per l'esattezza.
Saggiò il piatto della lama con un dito, trovandolo perfettamente liscio come l'aveva lasciato. Quell'arma, se usata a dovere, poteva essere devastante. Progettata per colpire si di punta che di taglio, doveva essere utilizzata con velocità e destrezza. La potenza dei colpi contava poco, quando con un leggero e preciso fendente si poteva facilmente mozzare un arto dell'avversario.

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