L'eleganza del pigiama.

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Avete presente quelle scene in cui le stanze sono così silenziose che nelle orecchie cominci ad avvertire un ronzio e ti porti i palmi delle mani ai lati della testa premendo, quasi a cercare di chiudere quel fischio sordo fuori da te? E più premi, più il sibilo si fa forte. E allora cominci a chiederti se l’assenza totale di rumore non fosse meglio di quella sensazione di pressione che spinge contro i tuoi timpani. Tutto attorno a te sembra essersi paralizzato. Sembra che qualcuno abbia messo pause alla tua vita.

Ecco, in questo momento qualcuno si è alzato per andare a fare pipì e ha bloccato il film della mia esistenza.

Io, Bet, Jules e l’insopportabile sconosciuto restiamo fermi immobili e ci fissiamo.
Le sue parole mi rimbombano nella testa. Sento caldo. Il silenzio è diventato quasi troppo rumoroso. Non riesco a pensare. Che cosa vuol dire che questa da oggi è anche casa sua? Io devo vivere con la Amish puritana. Lei deve arrivare, bussare alla mia porta, portare dentro due pecore e staccarmi la corrente. Io devo scandalizzarla con i miei gemiti provenienti dalla camera da letto e girarle in biancheria intima per casa.

Non può dire sul serio. Io non posso vivere con lui.

“ Che…che…cosa vuol dire?” balbetto inebetita.
“ Vuol dire che da oggi io e te avremo tantissimo tempo per fare l’amore in ogni stanza della casa.” Mi risponde lui facendomi l’occhiolino.
Questo mi manda ancora più fuori di testa.
“ Tu sei tutto scemo! Io vivrò con la Amish che non si lava, non con uno la cui priorità è il proprio pisello!” urlo io.

“ La Amish?” chiede lui confuso, e per la prima volta assume un’espressione seria.
“ Lascia perdere. È un po’ nervosa. Sta avendo un piccolo attacco isterico, ma ora le passa. Ti consiglierei di aumentare la distanza di sicurezza comunque, se ci tieni al tuo apparato genitale.” Si intromette Bet, avvicinandosi a me e appoggiandomi un mano sul fianco.

“ Med? Med? Ci sei? Mi senti?” mi domanda sventolandomi la mano davanti agli occhi.
“ Toccale una tetta! Vedi come si riprende!” risponde Jules da dietro di noi.
“ Vuoi che ci pensi io?” chiede l’idiota, avvicinandosi.
“ Beh, sicuro preferisce essere palpata da te che da Bet “ scherza Jules di rimando.

Le lancio uno sguardo di puro e profondo odio, prendo fiato e mi volto verso l’uomo senza nome che ormai sta a un paio di passi da me.
“ Avvicinati ancora di mezzo centimetro e ti eviro, te lo giuro! Ora spiegami questa cosa!” dico sempre meno controllata, chinando la testa e facendo in modo che i capelli mi coprano il viso. Ma perché mi sto scaldando tanto?
“ Ok, tregua di dieci secondi, principessa” sospira lui fermandosi.
"Principessa ci chiami una tua chiappa." ringhio con livore, non facendo nulla per trattenere il mio astio.

Tutto questo non rientrava nei miei piani: la mia misantropia minacciava già di rendere difficile la convivenza con una ragazza, figuriamoci con un tizio cafone e arrogante. Senza contare che a mio padre potrebbe venire un embolo al pensiero che io condivida lo spazio vitale con un esemplare di maschio adulto, che risponde agli standard fisici di desiderabilità sociale e che sembra non aver conosciuto le regole della civiltà moderna in fatto di interazione.

“ Ci scusi un secondo…ehm…?” gli sorride Bet, schioccando le dita verso Jules per attirare la sua attenzione e indicandole camera mia.

“ Alex” risponde lui “ Mi chiamo Alexander. ”

“ Alexander? Ma che hai fatto di male ai tuoi per essere chiamato Alexander? I nomi belli li avevano già presi gli altri?” gli chiede Jules con gli occhi larghi.
“ I miei sono Americani. Ci siamo trasferiti in Italia quando avevo otto anni.” Risponde lui con voce seria e un po’ imbarazzata.
“ Oh…. Americano!” sorride Jules verso di me, con lo sguardo di chi sta elaborando una teoria tutta sua, e vedo gli angoli della sua bocca arricciarsi verso l’alto.

 Oh, no. Che cosa starà progettando?

“ Sì, ok Alex. Piacere, io sono Bet, la riccia con la battuta pronta è Jules e la furia accanto a me, non che inquilina di questo appartamento, è Med. Ora,  ti dispiace se scambiamo due parole con la nostra amica psicopatica in privato?” continua Bet tirandomi per un polso verso la camera da letto, preceduta da Jules e dal suo ghigno malefico, e chiudendo la porta alle mia spalle.
 
“ Ditemi che è uno scherzo. Ditemi che siete due infami e avete architettato tutto questo come punizione per la mia acidità” le supplico appoggiandomi alla porta e lasciando che la mia nuca vi sbatta contro.
“ Secondo me è la cosa migliore che ti potesse capitare!” afferma Jules mentre si siede sul bordo del mio letto e, con indifferenza, afferra un cioccolatino dal mio comodino e se lo appoggia tra i denti.

Mangia anche il mio cibo, quella stronza.

“ La cosa migliore? Ma io non posso vivere con quel tipo! Ma l’avete visto?”
“ Certo che l’abbiamo visto! È un succulento giovane ed è Americano. Americano, Med! È perfetto per te! Tu adori tutto ciò che viene dagli USA!” prosegue lei entusiasta.
“ Sì, uno statunitense con l'educazione di una pianta carnivora. Non avete visto cosa ha fatto?” domando io voltandomi verso Bet, augurandomi che almeno lei mi dia ragione.
È impensabile che io possa vivere con quel troglodita e Jules è troppo selvaggia per capire il problema. Le mie speranze vanno necessariamente riposte nella mia amica bionda.

Sfortunatamente, però, lei mi sorride e risponde:

“ Med, l’unica cosa che abbiamo visto è stata tanta tensione sessuale da scaraventarci fuori dal palazzo!”
“ Io mi sono quasi eccitata” ride Jules dal letto, rubando un altro cioccolatino.
“ Jules…” la apostrofa Bet sfoderando la sua voce da maestra dell'asilo, ma lei alza solo gli occhi al cielo e persevera nel divorare i miei cioccolatini.

Io le guardo incredula e penso che vi sia qualcosa di terriblmente malefico che aleggia nelle loro anime. O è quello, oppure sono due grossissime idiote.
“ Voi siete serie! Voi credete davvero che dovrei accettare di condividere casa con lui! Con un tipo che mi ha ricoperta di frasi offensive da quando mi ha visto e che, probabilmente, è un maniaco?” chiedo con gli occhi spalancati, sbalordita.
“ Oh piantala! Capirai che grossi insulti! E poi non è che rischi che si prenda la tua virtù! Quella l’hai persa prima di incontrare lo zuccherino dal passaporto a stelle e strisce” mi fa notare Jules.
“ Dai Med, in fondo che alternative hai? È la padrona di casa che sceglie gli inquilini. E lei ha già affittato la stanza a lui. Tu non hai voce in capitolo. Quindi, a meno che tu non voglia perdere la caparra e cercarti una nuova casa, devi accettare che lui sarà il tuo nuovo coinquilino” Bet sorride mentre mi dice queste cose. Sta cercando di incoraggiarmi e Jules di sdrammatizzare la cosa e rendermela più accettabile.

“ A me piace questa casa. Mi  piace il mio piccolo buco di periferia” sussurro.
“ Ecco appunto, quindi basta lagnarsi. Vedrai che sarà divertente!” mi fa forza Jules.
Io le osservo con gli occhi sgranati e mi rendo conto che hanno ragione. C’è poco da fare. D’ora in poi dovrò vivere col Casanova dall' eloquio inopportuno .
 
Sconfitta, sconfortata e irritata apro lentamente la porta della mia stanza e faccio un passo fuori.

Alex se ne sta seduto sul margine del divano, dandoci le spalle, come se il resto del sofà scottasse. Se ne sta sul bordo tutto teso, quasi in ansia. Sembra in attesa di un verdetto.

E in effetti un po’ lo è.

Tiene i gomiti poggiati sulle ginocchia e le dita delle mani allacciate di fronte a lui. Vedo la sua testa voltarsi ogni tanto a destra e a sinistra per rubare un’occhiata furtiva a qualche angolo della casa. La sta studiando. Sta cercando di memorizzarne i particolari, i colori e l’ordine delle cose. Fa quasi sorridere come spia il salotto, muovendo appena il collo per poi riportarlo veloce nella posizione originale.  Scommetto che se gli stessi davanti in questo istante, lo vedrei far roteare gli occhi il più lateralmente possibile per vedere all’angolo estremo del suo campo visivo.

Continuo a fissare il retro della sua testa mentre mi avvicino a lui in silenzio, a questo punto,  molto poco conscia delle mie amiche dietro di me.

Vedere finalmente in questo tizio arrogante un po’ di insicurezza mi provoca un'enorme soddisfazione.
Sarà pur vero che non ho alternative e che dovrò condividere il mio microscopico spazio vitale con questo irritante soggetto, ma almeno potrò concedermi il lusso di vendicarmi rendendogli la cosa piuttosto spiacevole. Non mi dovrò sforzare più di tanto, data la mia poca piacevolezza caratteriale e, considerate le mie attuali condizioni psicologiche, suppongo che la cosa sarà ancora più spontanea.

Quando l’ho quasi raggiunto, Alex si volta di scatto verso di me e si alza in piedi. Mi fissa con uno sguardo interrogativo e si frega i palmi delle mani sulle cosce.

“ Sembra che la giuria abbia deciso che puoi restare” gli dico fredda. Le sue labbra accennano un sorriso, che io smorzo all'istante con l'ammissione del mio dissenso.

“ Non ti illudere, io ho votato contro.” concludo, con un tono privo di emozione, facendo riabbassare gli angoli della sua bocca.

“ Ah, ecco…giusto…senti io…” inizia lui insicuro e deluso.
“ Non provo alcun interesse nel sentire ciò che la tua mente fatica a produrre. Io non gioirei se fossi in te. Vivere con me non è per nulla piacevole, ma lo scoprirai col tempo.” Proseguo dirigendomi verso la porta accanto alla mia. “ Ora, il salotto l’hai visto. Lo stesso vale per la cucina. Se ti serve qualcosa, arrangiati. Il bagno è in fondo al corridoio. Questa è la tua stanza “ spiego, aprendo la porta “ C’è un letto singolo, un armadio, un cassettone e la scrivania. Internet è compreso nell’affitto, sempre che tu sappia usare un computer. Cosa di cui dubito.”

Mentre parlo sento all’improvviso il suo respiro solleticarmi il retro del collo.
“ E camera tua?” mi sussurra piano dalla sua posizione, a pochi centimetri dalla mia schiena.

Resto immobile, i miei polmoni smettono di funzionare per qualche secondo; la mano che ho sulla maniglia si stringe, cercando supporto. Separo le labbra e, per un solo istante, non riesco a pensare ad altro che al calore che proviene dal suo corpo. Poi mi risveglio bruscamente, la diffidenza ha dato una scossa ai miei sensi, ma mi rendo conto di non avere ancora il controllo della mia voce. Quindi, senza muovermi, bisbiglio di rimando:

“ Quella per te è off limits. Non ci puoi entrare, non ti ci puoi avvicinare, e non puoi neanche spiarci dentro. È come se non esistesse”
“ Fingere che non esista sarà la cosa più difficile al mondo, sapendo che sarai là, distesa nel buio, pensando a me.”

Che arrogante, tronfio idiota. Il sangue mi va alla testa per la rabbia. Ma questo che cavolo si è messo in testa?

Recupero il controllo di me stessa, mi volto e sorridendogli con sguardo malizioso, gli poggio le mani sul petto.  Gli occhi seguono le dita che disegnano cerchi sui suoi pettorali. Non so di preciso se sia il mio terribile ed incontrollabile orgoglio a guidare le mie azioni ma ho una irrefrenabile voglia di essere scorretta e rendergli pan per focaccia. Ma so di non possedere la vera arte della seduzione e di essere provocante come un treppiede. Eppure lui non deve essere molto scaltro perchè quando sposto lo sguardo sul suo viso, vedo che mi osserva compiaciuto. Mi lecco le labbra e  lo spingo con tutta la forza che ho.

 Lui traballa all’indietro, probabilmente colto alla sprovvista dal mio repentino cambio di atteggiamento, poi recupera prontamente l’equilibrio e mi fissa sconvolto.

“ Stammi a sentire, Alex l’imbecille! Piantala di farti viaggi mentali. Io e te non faremo mai nulla. Io con i perdenti non ci scopo” gli dico sicura, agitandogli un dito davanti al naso. Lui resta zitto e mi guarda: nei suoi occhi sono evidenti divertimento e curiosità.
“ L…” tossisce Jules dalla soglia di camera mia.
“ Non ora Jules” le risponde Bet per me.

“ Il fatto che sia costretta a dividere il mio spazio vitale con te, non implica che tra noi ci debbano essere contatti, ok? Fino ad ora non hai fatto nulla per dimostrarmi che tu sia degno anche solo della mia cortesia, e dubito che in futuro sarai in grado di smentirti. Quindi, fattene una ragione. Io sono una lunatica isterica che non sa controllare la rabbia. Sono facilmente irritabile, permalosa e non particolarmente socievole. Ora che sono stata così gentile da darti tutte queste informazioni, limitati alla tua porzione di appartamento e fai in modo di evitarmi, se ami il tuo fondo schiena e ci tieni a vedere il tuo prossimo compleanno!”
Ecco nuovamente calare il silenzio nella stanza. Sono così tesa che se mi sfiorassero probabilmente morderei. Non so perché lui mi dia così sui nervi.
Bet e Jules sembrano imbarazzate per me. Si scambiano un’occhiata complice e recuperano le loro cose.

Alex resta fermo per qualche secondo, guardandomi negli occhi. Sta cercando di leggermi dentro, lo percepisco. Con l’intensità del suo sguardo mi sento praticamente nuda. Non riesco a reggerlo troppo a lungo. Devo rompere la connessione che ha creato, prima di affogare nel blu elettrico di quelle iridi e ritrovarmi fottuta.
Distolgo lo sguardo e lui fa un passo verso di me.

“ Tranquilla Scintilla, non ti toccherò. Hai la mia parola” ribatte, cercando i miei occhi.

“ Bene. Siamo d’accordo allora” rispondo io tenendo il viso voltato, lontano da quei magneti blu.
“ Per ora direi di sì.” conclude lui, mentre mi sfiora il collo con un dito “ Per lo meno fino a che non sarai tu a chiedermi di farlo” aggiunge sicuro. La sua voce si è fatta più grave di un’ottava.

Ci metto qualche secondo per registrare le sue parole. Sto per aggredirlo nuovamente quando Bet mi ferma:
“ Sì, ok, d’accordo. Quando avete finito di flirtare senza pietà ditecelo così possiamo farci largo tra i vostri ormoni e salutare.”
Jules scoppia a ridere “ Non avrei potuto trovare parole migliori”

Che amiche di merda!
Io resto imbambolata a guardarle, poi apro e chiudo la bocca come un minorato pesce rosso alla ricerca di una risposta sufficientemente pungente e ad effetto.

“ Stai zitta Med, ti prego. È stato molto divertente vedere questo porno in proiezione astrale, ma ho un esame tra cinque giorni e me ne devo andare” mi ammutolisce Bet, avvicinandosi per darmi un bacio a schiocco sulla guancia.
“ Io devo andare a fare pace con Cucciolo, prima che la situazione degeneri. E poi vogliamo lasciarvi tempo per conoscervi” ridacchia Jules dandomi una pacca sul sedere e facendomi l’occhiolino.

“ E’ stato un piacere incontrarti, Alex. Trattamela bene, mi raccomando. Ah, e giusto per la cronaca, non so per quale ragione, ma a lei piace stare sotto” canticchia uscendo dalla porta d’ingresso.
“ Ahahah! E ha un punto erogeno sul basso ventre!” aggiunge Bet , seguendo Jules fuori da casa mia.
“ Stronze!” grido io alle loro spalle, ma se ne sono già andate.
Fisso la porta, conscia del fatto che Alex se ne sta in piedi accanto a me. Sento i suoi occhi che mi scrutano. Ma non mi voglio voltare; se lo faccio si accorgerà di quanto sono imbarazzata e non voglio dargli questa soddisfazione.

“ Molto interessante!” sussurra lui
“Non farti strane idee, impotente” dico marciando verso la mia stanza, ben decisa a porre una maggiore distanza tra me e l'atteggiamento strafottente e invadente di questo Alex.

“ Hey, ma non mangiamo?” mi chiede facendo qualche passo nella mia direzione.
“ Mangiamo? Perché il plurale? E poi non hai detto che sono grassa? Se hai fame ordinati una pizza. Non penserai certo che io abbia intenzione di dividere il mio cibo con te o di deliziarti con la mia cucina?”
“ Ah, sei una brava cuoca?”
“ Bravissima. Peccato che non avrai mai l’occasione di scoprirlo” fingo di sorridere mentre gli sbatto la porta in faccia.
 
Resto chiusa in camera per buona parte del pomeriggio. Leggo, scrivo, fingo di studiare. Cerco di fare qualsiasi cosa per distrarmi dal pensiero di Alex nella stanza accanto. Non so se mi attizza di più o se mi fa più incazzare. In ogni caso, lo voglio lontano da me. L’ho sentito muoversi per la casa, mentre portava dentro tutte le sue cose e riordinava la sua nuova stanza.
Oddio, questa giornata era cominciata male ed è finita in modo disastroso.
Sapevo dall’istante in cui ho aperto gli occhi che era uno di quei giorni in cui non mi sarei dovuta alzare dal letto. Perché quando c’è il giorno nero, te lo senti nelle ossa.

Apri gli occhi, annusi l’aria e ti guardi attorno. Afferri il cellulare e non trovi nulla. Ti alzi per fare il caffè e ti accorgi che ce n’è a sufficienza solo per riempire metà del filtro della moka. E allora sai che berrai acqua sporca.
Ti fai la doccia e, a metà resti senza acqua calda. Così esci infreddolita e con i capelli insaponati e te li sciacqui nel lavandino. Ma è una sensazione fastidiosa. Hai i polpastrelli rigati per il calore della doccia, e il contrasto con il getto freddo del lavabo fa solletico e ti fa venire voglia di morderti le dita. E poi ti sembra che i capelli non siano mai ripuliti completamente dalla schiuma.
Esci dal bagno e ti ricordi del caffè. Che ovviamente è già salito, debordato ed in fase di bruciacchiatura. Lo spegni, ti abbandoni a qualche parolaccia e vai ad asciugarti i capelli.
E stai sicura che ti verranno in modo orrendo. Se ne staranno spiaccicati sulla testa, tutti elettrici e con onde che non riesci a eliminare. E così assomiglierai alla Maga Magò tutto il giorno. E come ciliegina sulla torta magari hai anche un meraviglioso brufolo sul mento! Et Voilà! Tutti sintomi del fatto che stai per vivere una giornata infernale.

Mentre faccio questa riflessione, sdraiata a pancia in su sul letto, sento il telefono di casa che squilla. Salto in piedi e corro in salotto per rispondere.
 
Spalanco la porta di camera mia, salto sul divano e afferro la cornetta.
“ Accidenti che atleta! Mi ricordavi un ippopotamo con due zampe rotte!” ridacchia Alex dalla cucina.
Volto la testa e, portandomi il cordless all’orecchio, gli faccio una linguaccia.

“ Molto maturo, Med!” dice lui sorridendo e scuotendo la testa.

“ Pronto?” canticchio io nel ricevitore, continuando a guardarlo e portandomi un dito alle labbra per fargli capire di tacere. Lui alza gli occhi al cielo e ricomincia a imbottire il suo panino. Devo ricordarmi di chiedergli dove ha preso gli ingredienti. Se è roba mia, mi sente.
“ Che stai facendo?” sento rispondere dall’altro capo della comunicazione.
“ L!” esclamo un po’ troppo entusiasticamente io, tenendo lo sguardo fisso sul ragazzo nella mia cucina. 
“ L?” mi chiede lui confuso.

Ops, nome sbagliato. Distolgo l'attenzione da Alex e recupero il controllo della conversazione:
“ L... love, ovviamente!” Ah! Salvata in corner.
“ Love? Med, sai perfettamente che tra noi è solo un rapporto fisico. Siamo amici, io ti adoro, sei una persona fenomenale. Ma non sei il mio tipo. Io non me la sento di fidanzarmi con te.” Mi dice lui serio ed io, con un morso allo stomaco, non posso fare altro che alzare gli occhi al cielo.

Che delicatezza.

Pensavo di essermi salvata e, invece, mi sono tirata la zappa sui piedi.
“ Rallenta. Chi ti ha detto che stavo parlando d’amore. Era in senso lato. Nemmeno io voglio qualcosa di più”.
Grande bugia. Ma non farò certo la parte di quella debole.
In realtà il mio è uno sforzo superfluo: è abbastanza evidente a chiunque ci conosca chi dei due ha il coltello dalla parte del manico.
Il mio viso si fa più scuro per la vergogna e per la delusione: io ho piena coscienza di come stanno le cose. Ci ho messo tanto per accettarlo, ma so che questa è una storia senza futuro. Ma sentirselo dire non fa piacere.

Alex si avvicina lentamente al divano e, alzando la testa, mi rendo conto che mi sta osservando. I nostri occhi si incontrano e, per l’ennesima volta, realizzo che sta cercando di vedermi dentro. Non esiste. Non ora! Quando vedo che si piega verso di me per curiosare meglio, distolgo lo sguardo e inizio a giocare con il bordo dei jeans.
Le persone con gli occhi così magnetici mi danno sui nervi: godono di uno spregevole vantaggio, oltre che di uno spiccato favoritismo estetico, ovvio. Ma è abbondantemente scorretto usare il proprio potere stile Pokemon per fregare noi poveri inutili individui dagli occhi normali e, nel mio caso, pure un po' insulsi.
Penso che Alex se ne dovrebbe andare e, per farglielo capire, mi allontano e mi concentro su L che sta ripetendo il mio nome all'infinito; fa sempre così quando distogli l'attenzione da lui per qualche secondo. È un egocentrico patologico.

"Med? ... Med? ... Med?!" una vera e propria cantilena.
“Sì, ci sono. Dimmi, che c’è?” gli rispondo mettendomi ad accarezzare i dorsi dei miei libri stipati sulla minuscola mensola del soggiorno.
“Senti, ho bisogno di una mano. Lunedì ho l’orale di farmacologia, e non ho ancora studiato nulla. Mi aiuti?” mi chiede con voce gentile.
Farmacologia? Ma io l’ho data sei mesi fa!
“ Certo, come no.” Rispondo io con un po' di noia, senza voltarmi: so che Alex sta ascoltando e mi sta fissando e ritengo incredibilmente necessario fare il possibile per impedirgli di farsi gli affari miei. Tentativo vano visto che il salotto sarà sì e no 12 mq, ma almeno ci provo.

“ Solo se non è un problema.” Continua la sua opera di "corteggiamento" L, fingendo una cortesia che non gli appartiene. Sa benissimo che non so dirgli di no. E sa benissimo che lo aiuterei a prescindere. E lui non si fa certo scappare l’occasione.
“ Ma no, figurati, nessun problema.” Sussurro io, a questo punto assolutamente conscia di avergliela data vinta. Come sempre, d'altronde.
“ Ok, perfetto. Arrivo tra dieci minuti, ok?” cinguetta lui, soddisfatto.
“ Ok, ti aspetto...” ma lui ha già riattaccato. Che affettuoso.
 
Schiaccio il pulsante rosso del telefono e mi porto una ciocca di capelli dietro l’orecchio: lo faccio quando sono a disagio ma, fortunatamente Alex questo non lo sa.
“ Stiamo per ricevere visite?” mi domanda Alex ora comodamente affondato in una delle poltrone e addentando il sandwich.
“ No, io sto per ricevere visite. Tu stai per sparire dalla mia vista.” Rispondo con la giusta dose di acidità e dirigendomi verso la cucina con il chiaro intento di allontanarmi da questo sconosciuto.
Lui deposita il panino sul tavolino da caffè al centro del salotto e mi segue, per nulla scoraggiato dai miei modi scortesi.

“ E dai, non essere così scontrosa! Sto solo cercando di fare conversazione.” afferma restando in piedi di fronte a me, dall’altra parte del piccolo bancone della mia, anzi, nostra cucina, e posandoci sopra le mani a sorreggere il suo corpo.
“ Oh, che carino! Ma ti consiglio di smettere di provare.” Rispondo mentre appoggio la moka sul fornello e distolgo nuovamente il viso dalla sua traiettoria.
“ Avanti, Med! Dobbiamo vivere insieme, cerchiamo di rendere le cose più facili!” mi dice porgendomi una tazza e trovo la sua cortesia vagamente urtante: sono una stronza sensibile, io. Mi è difficile mantenere l'atteggiamento scostante con chi ha atteggiamenti educati. Ragion per cui mi auguro la smetta con una certa rapidità.

“ Alex, quale parte di stai lontano da me non hai capito?”
“ Oh, mi è chiarissima quella parte. Ma non sono bravo ad applicare le regole.”
“ Beh, ti consiglio di imparare. Io non ho alcuna intenzione di avere a che fare con un arrogante cafone che si permette di dire le cose che tu hai detto a me, ad una sconosciuta.”
“ Senti, mi dispiace, ok? Lo so che ho esagerato, ma non sono riuscito a controllarmi. Tendo a non pensare prima di aprire la bocca. E poi tu me l'ha servita su un piatto d'argento.”
“ Io neppure sapevo che tu fossi lì! E in ogni caso, conserva le tue scuse forzate per qualcuno che se le beva. Tu stai solo cercando di ammorbidirmi per poterlo usare a tuo vantaggio. Io quelli come te li conosco bene. Ve ne approfittate di tutti e di tutto, sfoderando charme e gentilezza quando sapete che andrà a vostro favore. Sei un ipocrita e un opportunista.”

Quante cazzate che dico: io questo tizio non so neppure come fa di cognome. Eppure mi piace millantare saccenza. Vengo da una famiglia di tuttologi: è un problema ereditario.

“ Come l’ospite che ci sta per raggiungere?” azzarda lui e devo ammettere che ha la giusta concentrazione di sfacciataggine.
“ Cosa? Tu non sai nemmeno di cosa parli, ok? Fatti gli affari tuoi Alex, o questa convivenza sarà ancora di più difficile del previsto”

“ Sai cosa penso?”

“ No, e sinceramente non mi importa nemmeno.” Dico tenendo la testa bassa mentre osservo il caffè salire nella moka. Anche senza guardarlo, avverto i suoi occhi su di  me e mi accorgo che si sta muovendo nella mia direzione. Cerco di ignorarlo fino a quando non vedo la sua mano accanto alla mia tazza, e non percepisco la sua presenza vicino al mio braccio sinistro.
“ Oh sì invece che ti interessa. Ma hai paura di ascoltare, perché temi che ti dica esattamente ciò che non vuoi sentire.” Mi sussurra piano.
Arrossisco per qualche strana ragione, ma lascio che i capelli mi ricadano attorno al viso, creando un muro protettivo e impedendogli di vedere l’effetto che mi sta facendo.
Avanti Med, piantala di comportarti come una scolaretta alle prime armi.

Non rispondo. Resto in silenzio, versandomi un po' di caffè per mantenermi impegnata, fino a che lui non ricomincia a parlare.

“ Perché ti chiamano Med?” bisbiglia, ed è talmente vicino che il suo respiro fa muovere una ciocca di quei capelli che mi proteggono dai suoi occhi.

“ Perché avrei voluto fare il medico.” Rispondo guardando dentro la mia tazza.

Med, stai zitta.

“ E che è successo?” mi domanda, senza allontanarsi.
“ La vita è successa” ribatto, cercando di nascondere l’emozione nella mia voce.

Med, che cazzo fai? Stai zitta!

“ Che cosa vorrebbe dire?” mi chiede.
Credo che i battiti del mio cuore stiano accelerando, e non so se la causa è la sua vicinanza o il fatto che questo è un tasto sensibile per me. Mi schiarisco la gola, poi alzo la testa e la ruoto verso di lui. Il suo viso è talmente vicino al mio che sento le guance andarmi a fuoco.
Ed ecco di nuovo quegli occhi intensi cercare di scrutarmi dentro: meledetti superpoteri da Pokemon.

Voglio distogliere la sguardo, ma non ci riesco. Ci fissiamo per qualche istante, poi mi accorgo che sto per rispondergli. E la cosa drammatica è che sto per dirgli la verità. Sono un'imbecille.
“ Vuol dire che…” vengo interrotta dal suono del campanello, che mi risveglia dall’incantesimo in cui i suoi occhi mi avevano intrappolata. Sposto il peso da un piede all’altro mentre lui solleva il viso e respira profondamente, irritato da ciò che ci ha interrotti.

Lui sarà anche infastidito, ma io ringrazio L per avere il tempismo migliore del mondo.

Gli tocco il braccio e faccio un po’ di pressione per fargli capire di spostarsi. Lui esita un secondo, guardandomi; poi fa un passo indietro e lascia libero il passaggio.
“ Forza Alex, vai in camera tua” dico dirigendomi verso la porta per aprire.
“ No grazie, mamma. Penso che resterò qui ancora qualche minuto. Credo che sarà interessante.” Sorride versandosi il caffè rimasto e portandosi la tazza alla bocca.
Io faccio una smorfia di disapprovazione mentre mi allontano da lui e mi dirigo verso l'entrata di casa, e lui ride. Afferro la maniglia e, abbassandola, dico:
“ Ehi, mi sembrava di averti detto di non toccare il mio cibo!”
Lui finge di non avermi sentito e alza le sopracciglia soddisfatto, spostando lo sguardo da me alla porta. Cazzo quanto è curioso!

L cammina dritto nell'appartamento, senza degnarmi di un saluto. Non mi guarda nemmeno, mi sorpassa come se non esistessi. È proprio un troglodita.
“ Ciao anche a te” sussurro tra i denti richiudendo la porta e riconsiderando la brillante idea di sostituirlo con un vibratore.
L si è fermato a qualche passo dall’entrata e vedo che fissa verso la cucina. Magnifico!
“ Ciao, tu chi sei?” domanda guardando sospettoso Alex.
Lui non fa una piega. Lo fissa e gli risponde:

“ Alex.”

L si volta nella mia direzione “ E chi è Alex?”
“ Puoi chiederlo a me, non sono scemo. So rispondere anche io alle domande” ribatte Alex mentre lo avvicina e proseguendo afferma con un sorriso smagliante:
“ Sono il nuovo coinquilino di Med.” Gli tende la mano “ Piacere.”

L abbassa gli occhi verso il suo braccio, poi li rialza  e risponde “ Ah. Piacere.” e riprende a camminare verso il salotto.
“ Educato il tuo amico.” Mi dice Alex sottovoce, alzando le spalle. Io cerco di nascondere un sorriso.
“ Beh, penso che vi lascerò studiare in pace. Vado a vedere se trovo un supermercato aperto. Devo fare un po’ di scorte” esclama afferrando il suo giaccone “ visto che non mi è permesso toccare il cibo già presente in casa” ride voltandosi verso di me e facendo l’occhiolino. Io lo ignoro e lo saluto con la mano.
“ Ok…ciao Alex…e se ci riesci, non tornare proprio” rispondo dirigendomi verso il salotto.
“ Cazzo, quanto sei cattiva” sghignazza lui aprendo la porta “ Ciao uomo che non ha un nome. È stato un piacere” grida richiudendosela alle spalle e, con la sua uscita, mi sembra d'improvviso che in casa ci sia più ossigeno. Questo ragazzo è estenuante, lo percepisco.
 
Sospiro e raggiungo L sul divano, già annoiata al pensiero di quello che mi aspetta e cercando di ricordarmi perché ho accettato di aiutarlo.
Mi rannicchio all’estremità destra del sofà e lo osservo mentre tira fuori i libri.

C’è poco da fare, L è proprio bruttino e più lo scruto, più cerco di capire perché tiro avanti questa pseudo relazione. La nostra non è nemmeno amicizia. Non è nulla. È un rapporto inutile, che va solo a suo vantaggio e che mi spinge ad accettare cose che, per il mio carattere e la mia morale, sarebbero fuori discussione. Eppure le rotelle del mio cervello smettono di girare quando si tratta di lui; il mio amor proprio va sotto le scarpe e accetto qualsiasi cosa. E la cosa mi fa incazzare con me stessa in modo non indifferente.
 
Siamo proprio una specie assurda, noi esseri umani: certe volte rincorriamo ciò che ci fa più male, ciò che non ci rende persone migliori, anzi. Impegniamo ogni nostra cellula nel conseguimento di quell’obiettivo, anche se siamo consapevoli che è fuori dal nostro controllo.
Forse lo facciamo perché la sentiamo come una sfida: cambiare e modellare l’oggetto del nostro desiderio, in modo da renderlo come noi lo vorremmo. Mera illusione. Ci convinciamo di riuscire a gestire situazioni che non dipendono da noi e, nel processo, la presa di coscienza del non riuscire nella nostra impresa, ci fa sentire peggio ogni secondo che passa.
Inseguire qualcosa che è sbagliato per noi, che lentamente ci distrugge e ci trasforma in ciò che non vogliamo essere. A quale scopo? Forse ci fa sentire vivi. Forse crediamo che la felicità sia un’utopia, e allora, qualunque cosa ci faccia sentire emozioni, persino il dolore, è meglio dell’apatia. È meglio del vuoto e dell’assenza totale sensazione. Perché se non provi nulla, hai l’impressione di vivere in una bolla di staticità. Di osservare il mondo da lontano e di non riuscire a seguire con lo sguardo le immagini che ti passano davanti.
E allora corri verso quel film, quell’insieme di fotogrammi, pieno di squallore, ipocrisia e egoismo; e ti ci tuffi dentro. Ti aggrappi alla prima scena che ti trovi a portata di mano e ti ci immergi. Perché non sentirti escluso è l’unica cosa che conta. Vuoi farne parte. Vuoi appartenergli, anche a costo di dover provare sofferenza. Perché sai che almeno sentirai qualcosa. Che non osserverai più da lontano, ma ci starai vivendo dentro.

Che splendida sega mentale sono appena riuscita a fare? E tutto usando la bruttezza di L come perno. Sono davvero una professionista.

“ A che pensi?” L interrompe i miei pensieri fissandomi.
“ Nulla di importante” rispondo con un sorriso e afferrando un quaderno. “ Allora, non hai proprio nemmeno letto nulla?”
“ No, speravo mi avresti aiutato tu a imparare le cose fondamentali”. Certo, come sempre. Non sforzarti troppo, eh?
“ Va beh, direi che ci conviene cominciare” rispondo sfogliando le pagine.
Inizio a ripetere ciò che mi ricordo, mentre lui mi osserva. Non sono sicura che mi stia ascoltando o che stia capendo le mie spiegazioni, ma proseguo comunque.

Dopo un’oretta di ipotetico studio, sento una delle sue mani sulla mia coscia, e mi blocco. Alzo gli occhi dal libro e incontro i suoi. Lui non dice nulla, accenna un sorriso e poi si piega verso di me e mi bacia.
“ Credevo dovessimo studiare.” mormoro contro le sue labbra
“ E’ quello che stiamo facendo...” mi risponde, facendo salire le dita verso la parte superiore della mia gamba “ ma credo che ci meritiamo una pausa.”.

Non sono neppure sicura di aver voglia di stare con lui, ma poi la sua bocca sfiora il mio collo e decido di bloccare fuori ogni pensiero razionale.
Lascio cadere il libro a terra e afferro il retro della sua nuca con entrambe le mani, e perdo la cognizione del tempo e dello spazio, abbandonandomi all’unica cosa che so non mi permetterà di pensare troppo. Perché se dovessi farlo, non ne verrebbe fuori nulla di buono.

Quando apro gli occhi e mi risveglio dal sonno, mi rendo conto che attorno a me tutto è avvolto dal buio e dal silenzio.
Cerco di scrutare la stanza, ma è talmente scuro che non vedo nulla. Chissà che ore sono. E che cavolo di fine ha fatto L?
Mentre la mia mente si attiva e la stanza attorno a me comincia ad assumere nuovamente consistenza e forma, percepisco una presenza immobile alle spalle del divano: per un istante penso sia L, poi mi ricordo che è un verme e che è impossibile che sia ancora qui.

Per un attimo, quindi, valuto la possibilità che si tratti di un fantasma: sono sempre stata convinta che nella mia vita ce ne fosse uno che mi segue ovunque. Io lo chiamo Johnny.

Poi sento una risatina soppressa e mi ci vuole qualche secondo per ricordarmi che da oggi non ho più il lusso di essere l'unica residente dell'appartamento 3B e rendermi conto che si tratta, in realtà, di Alex.

Oddio, sono vestita, vero?

"Sei sveglia, roomie?" la sua voce ha una punta di ilarità che gratterei via con una pietra pomice e, sfortunatamente per me, il mio tentativo di ignorarlo non lo scoraggia dal cercare nuovamente l'interazione.
"No" grugnisco.

Eh già Med, mossa geniale. I dormienti rispondono sempre.

"Lo sospettavo: erano un paio di minuti che non russavi più." ribatte lui chinandosi sullo schienale del divano e appoggiandovisi con tutto il peso.
Come si manda via un molesto gnocco Statunitense? Lo spray per gli scarafaggi non funziona, vero?

"Io non russo. Ho il respiro pesante.” puntualizzo nella speranza che, una volta percepito il mio distacco, si levi dalla mia presenza. Eppure la mia nota scontrosa sembra avere solo l'effetto opposto con Mr Invadenza che da oggi abita con me.
"Med, non puoi rimanere qui."
"Certo che posso. È il mio divano."
"Nostro divano. E non puoi perchè russi troppo e io non riesco a dormire." sento una delle sue mani sulla spalla scuotermi per assicurarsi che io resti sveglia.
"E come lo sai? Stavi lì a fissarmi al buio come un maniaco sessuale."
"Speravo di riuscire a fermare con la forza del pensiero il rumore che producevi." all'affermazione mi volto per guardarlo con aria indispettita "Turns out che sei molto più potente di me. Suppongo che la tua superiorità sia da attribuire alla tua possente cassa toracica." conclude abbozzando un sorriso fastidioso, mentre i suoi occhi si dirigono a sud e si posano sul mio seno.

Porco impudente.
Oddio, non ho verificato se sono vestita o no!

Velocemente abbasso le mani e controllo se porto una maglietta e, una volta appurato che ho - non so quando - indossato il pigiama, ammonisco il simpatico Alex:
"Come sospettavo. Sei un deviato."

Lui inclina la testa di lato e mi osserva curioso; il suo silenzio e questa mania di scrutare il viso altrui mi mettono a disagio.

"Che vuoi?!"
E sorride. Lui sorride. Io mi urto e lui sorride!
"Sembra che qualcuno ti abbia abbandonata sul divano. Che fine ha fatto il tuo amico?"
Sento una morsa di dispiacere attanagliarmi l'esofago alla sua domanda, perché le sue parole non fanno che ricordarmi come si è comportato L.
 Evito di rispondere e, levandomi la coperta di dosso, mi alzo dal mio posto sul sofà e mi dirigo verso camera mia.

"Oddio, quel coso che indossi è un pigiama?" mi domanda seguendomi fino alla soglia della mia stanza.
"Vaffanculo" borbotto sperando che si decida a lasciarmi in pace.
"Ci vado più volentieri con te" canticchia appoggiandosi allo stipite della mia porta e proseguendo con la sua opera di insulto libero nei confronti del mio abbigliamento notturno.

"Credo di non avere mai visto un pigiama più brutto. Ti hanno pagato i tizi del negozio per far sì che tu lo comprassi?"
A questo punto ho ampiamente superato il mio limite di sopportazione, ragion per cui mi volto e, regalandogli un sorriso inacidito, rispondo:

"E’ vintage, coglione!"

E, per la seconda volta nel giro di poche ore, gli sbatto la porta in faccia.
Lo sento sghignazzare mentre se ne torna in camera sua augurandomi una serena notte.
Ma proprio con un tipo del genere dovevo finire col dividere casa? Quel tizio peggiorerà la mia già labile stabilità psico-emotiva.
Sufficientemente provata dagli eventi della giornata, accarezzo il bordo del mio bellissimo pigiamino e, sospirando stanca, mi lascio cadere sul letto.

Che fatica essere un membro attivo del mondo!

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