Fragole e vongole

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Quando torno a casa, appena metto piede nell’appartamento, vengo avvolta da un calore insopportabile. L’afa e il caldo di città sono insostenibili: casa mia, con le finestre chiuse e il sole che batte quasi tutto il giorno sulla facciata principale, sembra un forno.
Lascio cadere la borsa vicino all'ingresso e mi affretto ad aprire ogni vetro, nella speranza di fare entrare qualche flebile alito di vento e far girare un po' l’aria.

Marcio dritta nella mia stanza per liberarmi dai vestiti umidi di sudore e che odorano di erba: li lascio cadere incurante a terra e mi affretto a sostituirli col primo abito estivo che individuo nell'armadio. È qualcosa di impresentabile: indubbiamente fresco e svolazzante, di quei tessuti leggerissimi che paiono impalpabili, ma ormai la stoffa è lisa e, lisciandomelo addosso, constato che la fantasia pop che lo decora è davvero anni '90. Ma è comodo e sufficientemente morbido per farmi aria con la gonna mentre mi aggiro per casa scalza, in cerca di refrigerio.

Avviandomi verso la cucina, sento il telefono squillare e sono costretta a fare una deviazione per afferrare il cordless abbandonato sul tavolo del salotto: leggendo il numero di Bet, scelgo di lasciarla attende un po' mentre estraggo una ciotola di fragole dal frigorifero.
Mi arrampico maldestramente sul bancone, sedendomi a gambe larghe e appoggiando la frutta alla mia destra e mi decido a premere il tasto verde per avviare la conversazione.

“Che vuoi?”
“Come sapevi che ero io?” chiede lei stupita; una punta di fastidio colora la sua voce.
“Ho un telefono molto avanti che mi dice chi mi chiama.” ribatto fiera.
“Almeno il telefono ce l'hai avanti...”
“Bet, sono accaldata e ho fame. Dimmi che vuoi, così mi posso liberare di te.”

“Roby e Leo hanno detto che vengono con noi... però non possono prima di domenica.”
“E quando vorremmo partire?”
“Noi partiremmo sabato. Io l’ho chiesto anche a J, che sabato ha un gruppo di studio per un progetto di non so che esame. È perfetto!” cinguetta lei contenta e io aggrotto la fronte confusa.
“Che vuol dire perfetto? Hanno praticamente detto tutti no!”
“Vedi? É per questo che io sono la mente e tu....il nulla.”
“Se fossi qui ti affonderei la faccia in una cacca... Oh, aspetta! Quello l'hai già fatto da sola” ridacchio felice eppure la mia battuta va a vuoto perché lei ignora la frecciatina e si concentra sulla ragione del suo entusiasmo. Più o meno.
“È tutto okay perché, visto che nessuno dei tre può muoversi prima di domenica, io ho appena ideato un piano C!”

“Ma non dovrebbe esserci un piano B, prima?” chiedo ridendo.
“Sì, ma fa cagare, quindi passiamo subito al C.”
“Okay, credi che lo condividerai con me questo geniale piano C?” domando insistente addentando una fragola e lasciando che il succo scorra lentamente sulla mie papille: un dolciastro senso di freschezza si diffonde tra i miei denti, alleggerendo lievemente la calura che ancora sento premere sul mio viso.
Non sono una fruttofila, preferisco la roba che ingrassa, ma le fragole sanno sedurmi in modo inspiegabile: mi abbandono al gusto intenso dell'ennesima fragola, sospirando per un semino che sembra incastrarsi tra i miei denti e provando una ridicola soddisfazione quando riesco a schiacciarlo tra gli incisivi; nel frattempo Bet mi spiega che il suo piano geniale prevede che noi tre partiremo un giorno prima, mentre i ragazzi ci raggiungeranno di domenica.
Il che, stranamente, ha senso.

“Ah, sai che non sei stupida? Allora non è vero che le bionde sono tutte cretine.” ridacchio deglutendo a fatica, prima di addentare con foga un'altra fragola e rendermi conto che ne sto trangugiando come una balena filtra il krill. Ma è frutta, quindi non vi è traccia alcuna di senso di colpa in me.
“Perché non lo chiedi anche ad Alex?” domanda Bet eccitata e io rischio di strozzarmi con i semini che, fino a poco fa, mi davano tanta soddisfazione.
“Perché dovrei?”
“Perché sì. Dai, sarà divertente!”
“B, non sono sicura che sia una buona idea.”

Giusto per non sfatare il mito del parli del diavolo e spuntano le corna, in quel momento la porta di casa cigola, annunciando l'arrivo del mio coinquilino. Coinquilino che io non vedo da ieri sera, aggiungerei. E che, col suo faccino tutto accaldato, mi ricorda perché abbandonarmi alla lussuria sia stata un'ottima idea.
Appena mi individua, appollaiata come un tacchino sul bancone della cucina, i suoi occhi si spostano sul ripiano, prima di incrociare i miei e di ammiccare malizioso.
La sua evidente allusione a ciò che abbiamo fatto qui sopra, mi fa chiudere lo stomaco per una frazione di secondo, mentre il suo sguardo va a posarsi sulla gonna che mi accarezza leggera le cosce. Senza spostare gli occhi da lì, sbatte la porta di casa con un calcio, lancia la giacca per terra e comincia a marciare verso di me con aria decisa; poi raggiungendomi si china per darmi un bacio veloce sulle labbra.

“Quanto rompi! Non capisco perché devi sempre polemizzare su tutto!” si lamenta nel frattempo Bet, riportandomi alla nostra conversazione: scanso appena il viso da quello di Alex, lanciandomi un pezzetto di frutta tra le labbra.
“Perché le tue proposte sono troppo spesso idiote.”

Mentre parlo Alex resta immobile di fronte a me: gli occhi sono ancora fissi sulle mie cosce e i pugni stretti attorno alla mia gonna.
Alzo la testa e gli rivolgo uno sguardo interrogativo.

Quando l'ha afferrata?

Sul suo viso prende vita un'espressione indecifrabile che ricorda quella di un bambino in procinto di fare qualche dispetto; gli zigomi si sollevano quando la sua bocca si increspa appena e i suoi occhi riflettono qualche pensiero curioso che non so interpretare.
Sento Bet spiegare i motivi per cui dovrei assolutamente invitare anche Alex, ma la sua voce sembra d'un tratto lontana quando le labbra del mio coinquilino si avvicinano alle mie, rubandomi la fragola dalla bocca.

Di fronte al mio stupore lui sorride in modo quasi arrogante; lo sguardo fisso nel mio mentre mastica lentamente il frutto e gioca con pigrizia con la stoffa del mio abito.
Ricordo a malapena che sono al telefono con Bet: in realtà sono divorata dalla curiosità di sapere cosa stia architettando la testolina del mio coinquilino.

Quando lo vedo chinarsi nuovamente verso di me, le sue mani premono impercettibilmente il tessuto della gonna contro la mia carne mentre il suo respiro precede la sua bocca contro la mia: non c'è delicatezza, non ci sono sospiri. Fa scivolare il pollice sotto il bordo della gonna e, lasciando scorrere l'unghia contro la pelle della mia coscia, ordina sulle mie labbra:

“Join me, will ya?”

Join you? Unirmi a te? C'è bisogno di chiederlo? Limonami come se fossi una bambola gonfiabile. Guarda, puoi anche picchiarmi: non sono un'estimatrice di quella roba, ma se me lo chiedi così, mi faccio pure incatenare alla marmitta della Circe.

“Med, ho bisogno della tua abilità culinaria” sento Bet divagare e, da pessima amica, penso che potrei brutalmente interrompere la telefonata; ma la lingua di Alex scorre insistente contro il mio labbro inferiore e parlare smette di essere una priorità.

Pomiciare, invece, assume un ruolo cruciale. Pomiciare. Solo pomiciare con Alex.

Bet blatera frasi che neppure capto, concentrata solo sull'improvviso disappunto causato dall'inattesa distanza della bocca di Alex che rompe il bacio, ridacchiando.

La stessa espressione furba presente nei suoi occhi provoca in me un piacevole pizzicore all'altezza dell'ombelico: non sapere cosa progetta, non riuscire ad anticipare le sue azioni, la sua costante imprevedibilità, attivano una stranissima voglia di capire lui e i suoi pensieri.

È in piedi di fronte a me, si è fatto strada in mezzo alle mie gambe e le sue mani si appoggiano sulle mie ginocchia, trascinando la gonna verso l'alto mentre le sue labbra si muovono impercettibilmente contro la mia spalla.
Cerco in ogni modo di trattenere il respiro e al contempo di sussurrare con voce ferma risposte coerenti alle domande di Bet, nella speranza di non farle capire che in realtà il mio cervello in questo momento è annebbiato da quello che le mani e la bocca di Alex stanno facendo al mio corpo.

Poi, senza preavviso, lui si allontana; con un po' di delusione mi convinco che il nostro incontro sia giunto al capolinea e, schiarendomi la voce, torno alla conversazione con Bet aspettando che Alex si allontani del tutto.

Fortunatamente pochi secondi dopo scopro che mi sbagliavo e mi trovo a benedire il ripiano della cucina di casa mia.
Alex spinge con decisione contro le mie spalle, costringendomi a inarcare la schiena all’indietro e a cercare di sostenere il mio peso mentre lui mi solleva velocemente il vestito fino alla vita.

Raccogliendo una fragola, incrocia brevemente il mio sguardo, appoggiando il frutto nel mio ombelico, il sorriso ora enorme e il viso completamente rilassato.
La mia prospettiva sul potere seduttivo delle fragole diviene più consistente quando lui si premura di lasciare baci leggeri e umidi sulla strada che va dal mio collo fino alla pancia; un rapido movimento e recupera la fragola con la lingua, affondando per un attimo la punta al centro dell'ombelico e accarezzandone il contorno con i denti. Le mie dita scorrono sul suo collo, come un ringraziamento silenzioso a cui lui risponde massaggiando più intensamente la mia pelle.

“Che stai facendo?” mi chiede a quel punto Bet, possibilmente insospettita dal mio respiro che si sta facendo più profondo e rumoroso.

“Una cosa che non bisognerebbe fare.” rispondo con la voce che mi si strozza in gola, mentre sento la pelle d’oca formarsi sulla pancia, grazie a qualunque magia Alex stia facendo contro il mio ventre.
“Sarebbe?” chiede la mia amica curiosa e la sua voce echeggia dal ricevitore che lascio cadere per un secondo sul torace.

Alex mi sorride di nuovo e, tenendo la fragola tra le dita, la fa scorrere dalla fossetta dove si incontrano le mie clavicole, fino al torace, il suo viso a un respiro da me, sussurrando:
“Sì, sarebbe?” prima di chinarsi e, finalmente, mordere il frutto.

Dio benedica le fragole. E i coltivatori di fragole. E il loro potere di seduzione innato. E pure i semini.

“Giocando col cibo.”
Osservo Alex risalire verso il mio volto e lasciar cadere metà della fragola tra le mie labbra separate: la premo con la lingua contro il palato, ansiosa di sentire ancora il suo sapore quasi stucchevole espandersi nella mia bocca. Quando il succo si scioglie, ha un sapore più intenso, meno fresco. Più pungente.
Forse sa un po' di Alex, o forse i miei sensi sono diventati più attivi e capisco che non morderò più una fragola allo stesso modo.

Bet sembra soddisfatta della mia risposta, perché ricomincia a chiacchierare:
“Che faccio con le vongole?”
“In che senso?” domando distratta dalla lingua di Alex che è tornata ad assaggiare la mia pelle.
“Sono chiuse. E poi avranno la sabbia:” spiega lei dubbiosa.
“Oh, vuoi sapere come pulire le vongole?” chiedo con voce vuota, completamente disinteressata e più che altro intrigata dall'idea di rovesciare le fragole rimaste e spalmarci sopra Alex.

Sono una persona malata.

Lui sorride sulla mia pelle, sposta le labbra vicino al mio orecchio e sussurra:
“Dille di metterle in acqua e sale per una notte.” Poi mi morde il lobo delicatamente.
“Oh Gesù!”

“Che c’entra Gesù! Non mi sembra di aver chiesto chissà che cosa!” si lagna la mia amica, sempre più coinvolta dal suo progetto culinario. Progetto al quale io non sono per nulla interessata, essendo sulla buona strada per pianificarne uno mio che vede Alex e le fragole come ingredienti principali.

Sono gravemente disturbata. Cibo e sesso. Ora penserò per sempre al cibo con ancora più entusiasmo. Non sarò mai magra.

Ripetendo distrattamente a Bet le parole di Alex, provo ad allontanarlo, nella speranza di non perdere del tutto il controllo sui miei pensieri: sfortunatamente, però, l'unico scopo nella vita di Alex sembra quello di eccitarmi e farmi fare una figura di merda.
Sento i suoi polpastrelli accarezzarmi l'interno coscia con la stessa intensità con cui le sue labbra scorrono contro la mia spalla. Premono. Sfiorano. Succhiano. Salgono lungo il collo, seguendo la corsa del mio sangue che pulsa nella giugulare: e lui traccia anche quella con la lingua.

“Riattacca.”
“E una volta che le ho fatte aprire che faccio?”

Eh, ma che cazzo! Non sono multitasking! Una richiesta alla volta.

“Le cucini.” rispondo semplicemente io, bloccando Alex nel suo tentativo di ripartire all’attacco e ammonendolo con lo sguardo.
“E come? Aspetta, perché si muovono?” chiede la mia amica inorridita.
“Come si muovono?” dico io confusa, abbassando la guardia per un attimo.
Il ragazzo di fronte a me, che sfoggia orgoglioso un'espressione famelica, ne approfitta per afferrarmi il polso e iniziare a mordicchiarmi le dita. Poi, tra le risate, mormora:
“Si muovono perché sono vive.”

“Come sono vive?!”
Bet, sentendo le mie parole, va nel panico:
“Che cosa? Sono vive? Oddio, che schifo! Quindi devo ucciderle?”
“Sì, devi ucciderle. Che cosa macabra.”
Il nostro disgusto non pare colpire Alex più di tanto che, imperterrito, si accanisce per l'ennesima volta sulla mia spalla: la mordicchia, la bacia ancora, soffia divertito sulla mia pelle e sta a contemplare un attimo la pelle d'oca che si forma.

Se non fosse per la constatazione che le povere vongole vengono cucinate vive, probabilmente mi lascerei scappare qualche suono lussurioso, ma la voce inorridita di Bet mi distrae e la sua isteria mi fa sorridere:

“Ti rendi conto che sto per fare una strage? Oh Gesù, magari faccio fuori un’intera famiglia di vongole. E le brucio vive. Oddio, sono l’Hitler delle...che specie sono?”
“Bivalvi, credo.”
“Che nome del cazzo! Comunque, ti rendi conto? Vuoi che diventi l’Adolf dei bivalvoli?”

Mentre la mia amica si dispera, Alex mi tira verso di sé con prepotenza, lasciando scomparire le mani sotto il mio vestito fino a raggiungere la mia vita e avvicina l'orecchio alla cornetta per ascoltare la conversazione; il mio sguardo di rimprovero per essere il solito impiccione non ha alcun effetto, se non quello di farlo sghignazzare ancora un po'.
“Bivalvi, non bivalvoli. E poi non è che puoi farci molto. Vuoi tenerle per sempre nel lavandino?”
“Potrei metterle in un acquario e fare una specie di parco dei divertimenti per le vongole!”

Il respiro di Alex conto di me mi fa venire i brividi e la sua risata alle parole di Bet mi solletica la pelle, mentre sorride strofina ripetutamente le labbra sulla mia clavicola: a quanto pare non è per nulla intenzionato a fermarsi.

“B, ma che cavolo stai dicendo?” ma la mia voce trema quando avverto i polpastrelli di Alex scivolare dalla mia vita verso il basso, accarezzarmi impercettibilmente la pancia per poi scorrere un po' più in giù.
Per un attimo accantono Bet; allontano la fronte dalla spalla di Alex e stringo il suo mento tra le dita, costringendolo a incontrare i miei occhi prima di borbottare sotto voce:
“Sei un porcello!”

Lui trattiene una risata e muove in modo suggestivo le sopracciglia in modo così ridicolo che, nel tentativo di sopprimere una risata, emetto qualcosa di molto simile ad un grugnito.

Lui sorride scuotendo piano la testa ma premendo i palmi contro le spalline del mio vestito, le fa scivolare lungo le mie braccia: Bet sembra aver dimenticato il problema della morte di gruppo delle vongole, perché credo stia facendo da sola la lista degli ingredienti con un entusiasmo molto simile a quello che pervade me quando Alex raccoglie l'ultima fragola e la posa con cura sul mio torace.
“Che stai facendo?” mormoro cercando di non farmi sentire e di nascondere il tremore della mia voce.
“Chi sta fecendo cosa?” chiede Bet confusa.
“Mmm... niente, B.”
Ma Alex si china ancora su di me e morde la fragola, premendola sulla mia pelle con la lingua,  un patetico gemito sfugge alle mie labbra:
“Riattacca, Scintilla.” mormora premendo il mio corpo contro il suo.

Ok, la situazione mi sta sfuggendo di mano.

“Chi è quello?” sento la voce di Bet lontana, chiedere curiosa.
“Quello chi?” le vibrazioni della mia voce sono evidenti nel momento in cui Alex solleva il più possibile il mio vestito.
“Quello che ti ha detto di mettere giù il telefono.”

E io taccio.

“Oh mio Dio! Stai facendo le cose sporche con Alex mentre parli al telefono con me? Med, sei una deviata!” urla lei e Alex sospira una risata silenziosa contro la mia pelle.
“Ma che dici! Non farei mai una cosa simile!” mugolo senza speranza sentendo le mani ruvide di Alex sollevare il mio vestito oltre la vita.

Oh. Cacchio.

“Invece sì! Ecco perché ansimi. Sei una porca senza vergogna!” ribatte Bet a metà tra il divertito e l’indignato.
“Direi che questo abitino ha bisogno di una lavata.” suggerisce silenzioso il mio coinquilino, tirando più su il tessuto che mi copre.
“Med, ma che razza di perversione è scopare con la tua migliore amica al telefono?” chiede Bet severa.
“Non sto scopando.”
“Non ancora.” mormora Alex sollevandomi le braccia piano per levarmi l'abito, lasciandomi tristemente in biancheria intima. Dell'orrida biancheria intima, aggiungerei.

“Amica, siete due sgualdrine, tu e Alex.”
“Scintilla...”
“B, ti devo lasciare. Potrei dover fare la lavatrice.”
“Cazzo, sei una porno star!”
E la risata di Bet è l'ultima cosa che sento prima che riattacchi.

Finalmente contenta di poter ricambiare le attenzioni di Alex, allontano le sue labbra dalla mia carne, mormorando:
“Troppi vestiti. Io sono nuda e tu completamente coperto.”
Lui sorride e lascia che io afferri il collo della sua maglia e faccia scontrate la sua bocca contro la mia, tracciando l’incontro delle sue labbra con la punta della lingua; non so bene perché, ma d'improvviso sento di volere il pieno controllo.
Le mie mani graffiano i lati del suo torace, scendendo fino ai fianchi e sento le sue labbra tremare sulle mie. Prendo tra le dita di una mano il lembo della sua maglietta, mentre con l’altra gli slaccio i pantaloni, e in un secondo, lo libero dall’indumento superiore, per concentrare entrambe le mani sui bottoni dei suoi jeans.

Poi lo osservo. Lo studio con attenzione e con immensa soddisfazione, consapevole di essere la causa del suo stato accaldato.

Le sue labbra sono rosse e un po' gonfie a causa dell’irruenza dei nostri baci; gli occhi sono scuri e le guance lievemente arrossate. Le sue spalle si sollevano in modo irregolare e affannato seguendo i suoi respiri veloci.
Lascio andare i lembi dei suoi pantaloni, mentre le sue mani restano appoggiate al mio collo;
“Ci spostiamo di là?”
“Camera da letto?”
“No...”
“Che avevi in mente allora?”
“Mi ispirava di più l’idea della doccia.” ridacchia malizioso, accarezzandomi la schiena.
Sorrido sulla pelle della sua spalla, mentre faccio ruotare il viso contro di lui e inalo il suo odore.
Lui non risponde ma allenta la presa e intreccia le mie dita con le sue, e mi accompagna verso la porta del bagno. Solo nel momento in cui lo vedo allungare la mano dentro da doccia e far scorrere l’acqua, mi rendo conto di quanto esposta io sia.
Alex si volta e mi individua proprio mentre studio un modo per schermare le mie pudicizie: è oggettivamente una mossa poco ragionata, ma mi sento una cretina a starmene qui con la mercanzia all'aria.

“Non farlo.” mi dice sorridendo.
“Che cosa?”
“Non coprirti. Perché ti copri sempre? Pensavo avessimo risolto con la storia dell'insicurezza.”
“Oh, abbiamo sicuramente fatto un passo avanti, ma mi ci vorrà un po' per abituarmi a scodinzolare per casa a culotto nudo.” scherzo e lui ride avvicinandosi a lunghi passi, sfoggiando il suo inconfondibile sorriso.
Le sue dita mi avvolgono i polsi, costringendomi ad allargare le braccia per dargli accesso alla visuale del mio corpo: ogni mio tentativo di non arrossire o di mostrarmi indifferente alla sua analisi va a farsi benedire quando i suoi occhi corrono su di me e lo vedo leccarsi le labbra impercettibilmente
Quando sospira, tutto l'autocontrollo che avevo cercato di sfoggiare viene annientato da un'incontenibile voglia di marchiarlo come mio. Devo ricordarmi di farlo prima o poi: prima o poi, adesso non posso. Adesso, se non proseguiamo, credo che potrei andare in autocombustione.

“Alex, piantala di fissarmi. Sembri un maniaco.”
“Non ne hai idea.” ride lui e mi spinge nella doccia.
L'acqua che scorre tra di noi e su di noi annulla ogni rumore e ogni immagine al di fuori di Alex.

In poco tempo diventa troppo calda per essere piacevole e il vapore che si solleva avvolge il mio corpo in modo opprimente: eppure lo scroscio costante e intenso sembra delimitare tutto a me e lui. Solo i miei baci, le sue mani sul mio corpo e noi, accarezzati dall'acqua che lava via l'idea di ogni altra cosa. Di ogni altro problema. Di ogni altro ricordo.
Sotto questa nebbia calda e dentro questa cabina, non penso a niente: solo che io sono qui con lui. Pervasa da un forte impulso di sentirlo e vederlo mio, lo spingo con un po' troppa forza contro il muro della doccia e, stringendo le sue spalle tra le dita, non riesco a trattenermi dal succhiare la sua pelle fino a che non lascio un segno.

Lì, in quello spazio, scopro ancora Alex: sono più intraprendente di ieri, più prepotente e immensamente più compiaciuta quando lui, per tutto il tempo della nostra doccia, mi segue senza proteste, quasi respirando secondo le mie istruzioni.
E per il tempo in cui il vapore scalda la nostra doccia, per la prima volta da quando ho una vita sessuale, si fa come dico io.

Più tardi, disteso nel mio letto, dorme. Noi abbiamo appena fatto del bellissimo sesso sotto la doccia, saranno passati al massimo venti minuti, e lui dorme. Se ne sta appallottolato dietro di me, praticamente avvolgendomi e seguendo il mio corpo sdraiato in posizione fetale, con il petto premuto contro la mia schiena, un braccio sotto il mio cuscino e l’altro che giace morbido sull’incavo della mia vita. Le sue dita che mi sfiorano la pelle mi solleticano, ma stranamente ora non mi imbarazza più la consapevolezza che lui possa sentire o vedere le mie imperfezioni.
I nostri capelli ancora bagnati hanno inzuppato i cuscini e la mia pelle protesta per il fastidio, ma sento il suo respiro regolare soffiarmi sul retro della nuca e questo fa venire voglia di dormire anche a me. Ma non mi capita spesso di avere tra le mani un Alex inconscio e incapace di rispondere. E allora rotolo piano su me stessa, facendo attenzione a non svegliarlo e a non spostare le sue mani da me, fino a che non mi ritrovo faccia a faccia con lui. E lo osservo.

Studio ogni linea del suo volto, memorizzo ogni neo o piccolo segno sulla sua pelle – soprattutto quello che ho lasciato io, provando un moto di orgoglio verso me stessa - e cerco di immaginare la sua storia. La sua vita.

Ha un’espressione tranquilla e pacifica ed è come se riuscissi a succhiare la sua serenità. Solo ora mi accorgo di una minuscola cicatrice che ha sotto il labbro inferiore e cerco di immaginare come se la possa essere procurata.

Questo ragazzo è ancora così pieno di segreti per me. Ho come l’impressione che in poco tempo lui sia riuscito a disegnare un quadro dettagliato di me e del mio passato, unendo i piccoli punti che ha potuto segnare mano a mano che raccoglieva informazioni sulla mia vita. Eppure, io di lui continuo a sapere troppo poco.

È un cuoco. Un cuoco come mia madre, aggiungerei.
So quello che è quando è con me. Conosco la sua persona, ma non conosco la storia di questa persona.
So come prende il caffè, che cosa mangia a colazione e le posizioni in cui dorme. Mi accorgo quando è a disagio o pensieroso perché si passa la mano tra i capelli a ripetizione e si mordicchia l’unghia del pollice sinistro. So quando è nervoso perché non riesce a controllare il tic della gamba.
Conosco il colore dei suoi occhi quando si sveglia o è eccitato per qualcosa, perché sembrano più scuri.
So che è intelligente e acuto. Protettivo e allo stesso tempo facile all’ira.
Ma di chi era Alex prima di mettere piede nel mio condominio, so poco o niente.
 
E mentre osservo il suo viso rilassato, mi domando se sia davvero importante conoscere il suo passato. E forse la verità è che non lo è. Non è quello che è stato che conta davvero; è chi mi trovo davanti oggi che è rilevante. Forse vorrei sapere la sua storia per pura curiosità, o per equità. Perché vorrei sapere tutto di lui. Magari perché la mia cotta per lui si sta facendo sempre più grande e consistente; il che potrebbe causarmi diversi problemi.
Noi donne siamo una specie meravigliosa: masochismo e autoflagellazione sembrano essere il nostro passatempo preferito quando si tratta di ragazzi. Soprattutto se sono ragazzi che amiamo o abbiamo amato. E che abbiamo perso. E che non abbiamo capito.
Non si può pretendere di decifrare la mente di un uomo con il cuore di una donna.
Come spesso si dice, quando si tratta di ragazzi, la risposta è sempre la cosa più semplice che ti salta in mente.

Ma le femmine sono esseri incomprensibili e, forse, di base provano un malato piacere nel mal d’amore: però facciamo tutto con molto sentimento, eh! Li detestiamo e amiamo allo stesso tempo con una passione quasi incomprensibile.

I miei pensieri vengono interrotti dal suo corpo che si muove piano mentre inspira a pieni polmoni e i suoi occhi si aprono, incontrando il mio sorriso: il suo odore attorno a me e il tepore del corpo rendono ogni cosa così reale che, a dispetto delle sensazioni del mio corpo, mi concentro su come le cose siano cambiate in poche ore.

Quando ieri sono entrata nel mio appartamento avevo il cuore pesante e la coscienza sporca e nella mia mente viveva solo il pensiero del mio futuro e dei miei errori.
Ora i miei sensi sono tutti su Alex e su come mi sento quando lui scandisce i miei minuti: non importa se ciò che risveglia in me sia irritazione, passione, eccitazione o divertimento. Quello che conta è che con Alex io sento, vivo tutto ad un livello più alto. Reagisco.
Mentre penso a quanto le cose siano cambiate, vedo le sue palpebre sollevarsi con pigrizia e i suoi occhi stanchi incrociare i miei.
“Ciao.”
“Ciao... Ti ho svegliato?”
“Non credo... Hai fatto qualcosa per svegliarmi?” accusa ammiccando, ottenendo una risatina e un sicuro no in risposta. “Allora mi sono svegliato da solo.”

Restiamo in silenzio pochi secondi, lui sbattendo velocemente le palpebre e strofinandosi gli occhi; io affascinata da quanto più piccolo sembri ogni volta che si addormenta. Poi lo vedo diventare brevemente pensieroso, un dubbio evidente sul suo viso:
“È un problema se mi sono addormentato qui?”

Stranamente non lo è.
Questa volta non ho neppure pensato al fatto che lo stavo facendo entrare nel mio letto: non ho provato disagio all'idea di condividere con lui il mio spazio. L'ho fatto. Ho lasciato che lo facesse; che si sdraiasse accanto a me e che diventasse parte di quello spazio.
Non c'è stata esitazione perché non è proprio sopraggiunto alcun pensiero a riguardo: è successo spontaneamente e in sordina. Invece di provare fastidio come credevo, ho provato tranquillità.
Lui era lì, perché era l'evoluzione naturale di noi e di quello che avevamo vissuto: e, stavolta, io volevo che fosse proprio lì.
Muovo piano la testa per fargli sapere che, no, non è stato un problema; lui in risposta mi fa l'occhiolino e spinge il lenzuolo lontano dal suo corpo.

“A che pensi?” domanda accarezzandosi con pigrizia la pancia ancora nuda e esaminando il mio viso; la sua naturalezza arriva dritta al mio stomaco e, incontrando il suo sguardo, penso che il suo fascino risieda proprio in questa sua semplicità. Alex non è comune in modo spiazzante: è ciò che non vedi nella perfezione e, proprio per questo, è reale. Non è qualcosa che sogni, è qualcuno che puoi avere, con tutti i suoi odiosi difetti e le sue contraddizioni.
“Alex, chi è Andie?”

Non so perché gli faccio proprio questa domanda e non è esattamente ciò a cui stavo pensando, ma le parole prendono forma da sole, dando voce a uno dei misteri che ancora velano il mio coinquilino.
La sua reazione è di stupore, confuso probabilmente dal fatto stesso che io abbia nominato quel nome.
“Ne hai parlato con tuo fratello l’altra sera.”
Per un momento temo che eviterà per l’ennesima volta di parlare di sé, ma il suo viso si distende e i suoi occhi sembrano addolcirsi all’improvviso; in risposta sento lo stomaco contrarsi e una punta di gelosia annebbia i miei pensieri fino a che la sua risposta non giunge leggera e delicata.
“Mio nipote.”
Sentendogli svelare l’identità di chi si cela dietro ad Andie, mi sento vagamente idiota, ma non meno desiderosa di saperne di più; eppure lui non aggiunge altro, il che - chiaramente - mi obbliga a giocare sporco.

“Do ut des...” bisbiglio nascondendo una mano sotto al cuscino e pregando che per una volta si attenga alle regole del nostro gioco. Lui sorride e si volta sul fianco per guardarmi meglio.
“Non vedevi l’ora, vero?”
“Io ho condiviso con te un sacco di cose negli ultimi giorni. Tu, invece, continui a fare il bel tenebroso che nasconde segreti...”
“Med, la mia vita è una noia. Non ho segreti.”
“Quindi non avrai problemi a raccontarmi di tuo nipote.”
“Non c’è nulla da dire. È il figlio di mio fratello...”
Per quanto cerchi di mostrarsi indifferente, però, la sua voce lascia trapelare una punta di irritazione, facendomi intuire che ho toccato un tasto dolente. Se io fossi una persona migliore, a questo punto opterei per concedergli la sua privacy e cambierei argomento; ma essendo io femmina e, nello specifico, piena di curiosità riguardo a diversi argomenti che Alex evita con maestria, decido che è quantomeno equilibrato che - per una volta - sia lui a parlare di sé.

“Okay... E allora dimmi che problema hai con tuo fratello.”
“Non c’è modo di farti mollare la presa?”
“Non questa volta.”
“Perché ti importa tanto?”
“Perché abbiamo fatto un patto... Dobbiamo conoscerci per capire se possiamo piacerci o se devo tornare ad odiarti. Ma fino ad oggi l’unica che ha condiviso intimi segreti sono io.”
La mia insistenza potrebbe essere rischiosa considerando che, alla fine, Alex ha spesso reagito male alle mie pressioni, ma se non lo spingo a raccontarmi qualcosa di sé rimarremo incastrati in questo limbo dove lui si fa strada nella mia vita, evitando di farsi conoscere e usando il sesso per distrarci l’uno dall’altra.
Lui resta in silenzio, probabilmente riflettendo sul da farsi: ho paura che ora che abbiamo consumato si sentirà in diritto di fare un passo indietro, sfruttando un’intimità diversa per mantenere le distanze.

“Alex, non fraintendermi, fare sesso con te ha superato di gran lunga le mie aspettative ed è stato divertente.” mormoro mettendomi a sedere accanto a lui, un po’ oppressa dall’atmosfera tesa che si sta creando “So che sono stata io a spingere per darci dentro a prescindere dalla nostra compatibilità...”
“Sono commosso.” mi interrompe lui, cercando di distrarmi ancora una volta da ciò che vorrei sapere.
“Alex, io ho bisogno di sapere qualcosa di te.”
“Tu sei solo curiosa.”
Mentre parla le sue labbra si increspano in un sorriso appena accennato, come se questa cosa lo divertisse:
“Ovviamente! Perché non vuoi parlarne?”
“Perché è complicato. Ed è personale.”
“E le cose che racconto io sono di dominio pubblico, invece?”
“È diverso...”
“Certo, tu sei speciale; io, invece, sono la povera stronza che deve renderti partecipe di tutto.”

La mia strategia non funziona e non funzionerà: Alex mi manipola e io glielo lascio fare. Ogni conversazione è magistralmente guidata da lui, dove e come vuole.
L’irritazione nella mia voce è evidente e comincio a perdere la pazienza; non dovrebbe essere così difficile. Alex voleva che ci conoscessimo, quando - a dirla tutta - a me sarebbe bastato farci sesso e levarmi lo sfizio; ma lui ha fatto resistenza e l’ha portata su un piano diverso e, senza saper bene come, ho iniziato a voler esplorare quel livello di intimità anche io.
Ma le sue proteste cominciano a spazientirmi: se non è disposto a raccontarmi di sé, non vedo perché io dovrei farlo con lui.
“Fammi capire: stai cercando di litigare?”
“Sto cercando di parlare...”
“Di me...”
“Perché? È vietato? Si può parlare solo di me, dei miei problemi e dei miei disagi?”
I suoi occhi si allontanano dal mio viso e si concentrano sulla parete di fronte.
“Non è quello...”
“E allora dimmi tu che cazzo è!”
“Mio fratello è un tasto delicato, Med...”
“Alex, con te tutto è un tasto delicato. Devo tirarti fuori tutto con le pinze.”
Lui torna a guardarmi e, con il viso che d’improvviso si contorce in un’espressione furba, ribatte:
“Non tutto.”

Allusione sessuale. Ovviamente. Ora che l’abbiamo fatto il sesso diventerà un escamotage per non rispondere.

“Veramente anche lì ho dovuto faticare, Mr. Sono troppo sensibile quindi mi si intimidisce il pisello!”
Lui scoppia a ridere e, senza preavviso, mi scaraventa un cuscino in faccia.
“Ma come ti vengono?”
“Non lo so, è un dono naturale.”

Lentamente si mette a sedere e, dandomi le spalle, mi invita a seguirlo in salotto.
Sarei tentata di chiedere perché non possiamo parlarne qui, ma lui si dirige verso la porta senza aspettare una risposta e io mi trovo a seguirlo in silenzio; dall’ingresso della mia stanza lo osservo aprire il frigorifero per estrarne una Coca-Cola e una bottiglia d'acqua.
“Mio fratello è un pessimo padre.”
Lo dice con una voce così naturale, come se mi avesse appena detto che è pronta la cena, che un brivido mi percorre lo stomaco e mi chiedo se mi sono davvero avventurata in un territorio troppo difficile da gestire.
“Perché?”
“Perché Andie non è al centro del suo mondo. Adam è al centro del mondo di Adam. Nessun’altro.”
Mentre parla i suoi occhi evitano i miei; spinge piano l'acqua verso di me e attende che mi metta a sedere su uno degli sgabelli.
“Essere egocentrici non è necessariamente un crimine genitoriale, Alex...”
“No. Ma quando ti perdi la nascita di tuo figlio perché sei troppo occupato a festeggiare una promozione e troppo ubriaco per portare la tua compagna in ospedale, lo è.”

Oh, che bella merda d’uomo.

“Non credi di essere troppo duro?”
“No.”

Memo per me stessa: Alex potrebbe essere un moralista. Forse un mormone.

“Io avevo 21 anni quando Andie è nato e mi sono ritrovato in una sala parto ad assistere alla nascita di un bambino non mio, semplicemente perché mio fratello non sentiva la necessità di crescere... Il giorno dopo mio padre è dovuto andare a svegliarlo e a comunicargli nuovamente che era diventato papà perché lui era così ubriaco la sera prima che non se ne ricordava neanche.”
“D’accordo, te lo concedo. È da stronzi, però...”
“Med, senza offesa, ma non ho chiesto un tuo parere. Hai voluto sapere del rapporto tra me e Adam, e io te ne ho parlato.”
“Parlato... che parolone. M’hai detto due frasi in croce.”
“Tu non ti accontenti mai?”
“Che è successo la sera in cui ti ha chiamato e mi hai mollato per andare da lui?”

Alla mia domanda, lui si irrigidisce, forse cogliendo erroneamente un’accusa nelle mie parole.
“Suonava meglio nella mia testa.”
Alex sorride appena, concentrandosi sulla linguetta della lattina che sembra non volersi aprire: io ne approfitto per godermi un po’ la visuale del suo petto nudo e il ricordo della sua pelle sulla mia poche ore fa torna a girovagare nella mia mente. E per qualche secondo fatico a capacitarmi di averci finalmente fatto sesso. Due volte. Il che attenua i dubbi di essere stata mediocre.

“Aveva bisogno di uno strappo a casa...” si limita a borbottare prima di incontrare il mio sguardo insoddisfatto e reagire con una leggera risata.
“Non vorrai che ti sveli tutto in un colpo solo? Perderei il mio fascino...”
“Alex...”
“Aveva promesso ad Andie di guardare il basket con lui, ma se ne è ricordato troppo tardi e non era in condizioni di guidare.”
“Perché?”
“Festeggiamenti per l’ennesimo contratto concluso. Alcool...”

Improvvisamente ho la sensazione di capire perché non ho mai visto Alex ingerire neppure una goccia di vino: o è quello, o è una questione religiosa.
Gli Amish bevono? Magari lui è la Amish che aspettavo sotto mentite spoglie. No, forse è Sikh; ma io che cazzo ne so di Sikhismo? Nulla. I Sikh vietano l'alcol? Esistono? O è una religione che mi sono inventata? Potrebbe essere: so a malapena la storia di Gesù e l'ora di religione l'ho sempre prontamente saltata. Non mi volevano neanche cresimare, figuratevi.

“Sei Sikh?”
Chiaramente la sua reazione è di confusione; non volevo chiederglielo davvero. Ora penserà che il sesso mi rende instabile e non ne faremo più.
“Che cosa?!”
Sono un’imbecille: ero riuscita a fargli sputare qualche rospetto e ora lo confondo. Devo avere una malattia autoimmune che mi disattiva l’intelligenza o qualcosa del genere. Non posso essere così cretina di natura.
“Lascia perdere... Quindi la colpa di Adam è di festeggiare i suoi successi professionali in momenti sbagliati?”

“No, è di essere un cazzaro. È di non aver imparato nulla dai suoi errori. È di essere un padre assente. È di essere un papà e di comportarsi ancora come un ragazzino... hai un figlio di sette anni e ti concedi ancora di ubriacarti troppe volte? Sei una testa di cazzo.”
“Alex, sei troppo duro.”
“No, per nulla. Sono solo un cretino che ancora gli dà una mano quando quello si comporta come un egocentrico e insensibile coglione.”
“Qualcosa in comune forse l’avete, se ripenso a certe tue reazioni passate.” borbotto sottovoce, sperando che non mi senta, prima di chiedere:
“Pensi sia un alcolizzato?”
“No... Il suo vero problema è di essere un irresponsabile.”

Ecco, e adesso? Cosa devo dire? Perché, perché ho dovuto parlare di cose serie a tutti i costi? Ora io dovrei dare una risposta intelligente, saggia, imparziale; invece penso solo che non c’è niente di male in un goccetto ogni tanto e che Alex è un giudicone.

“Okay...” Bisbiglio appoggiando la bottiglia d’acqua che non ho neppure aperto e ,aggirando il bancone - al quale ormai sono legati i ricordi più impuri della mia vita - lo raggiungo: le sue spalle sono tesissime e il suo sguardo mi evita con cura. Dalla sua posa capisco che, effettivamente, mi sono addentrata in un argomento molto delicato per Alex e, anche se non sono sicura di capire o condividere fino in fondo le sue ragioni, sono contenta che si sia deciso a mostrarmi qualcosa in più di sé. Benché non sia stata esattamente una decisione spontanea.

D'accordo, ho particolarmente forzato la mano e non ne sono fiera, ma stavamo finendo in una spirale infinita di déjà-vu che non portavano a nessuna progressione.
Cercando di essere delicata, stringo le dita attorno alla sua vita e lo invito a voltarsi, accompagnando i suoi fianchi contro il bancone e intrappolandolo tra le mie braccia, come ha fatto più volte lui con me. Capisco perché i maschi lo facciano; ti fa sentire in una posizione di dominanza, come se la persona che hai di fronte si stesse abbandonando a te.

Lui porta i palmi delle mani sul mio collo e strofina un paio di volte le dita sulle mie guance, studiandomi: vedo nei suoi occhi che vorrebbe mandarmi a cagare e non posso certo biasimarlo. Eppure, per qualche ragione, ingoia l'evidente rancore che le mie pressioni hanno causato. Mentre lo contemplo di rimando, ripenso a quello che mi ha detto, a quello che è successo nelle ultime settimane e a ciò che mi ha detto Bet.
Quindi, senza frenare la lingua e in modo assolutamente insensato, gli domando:

“Vieni in montagna da Bet con noi due giorni?”
Sembra per un secondo stupito dalla mia idea; io non ho ancora avuto il tempo di rendermi conto delle implicazioni di questa proposta quando lui, sorridendo, risponde:

"Quando?"
"Domenica e lunedì..."

“Devo controllare i miei turni, ma il lunedì siamo chiusi, quindi non vedo perché no.”

Oddio.

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