“Not a good time, dude...” accenna Alex portandosi il cellulare all’orecchio e per un attimo le sue labbra si fermano sull’incavo del mio collo, lasciando che la mia pelle reagisca rapidamente al contatto con lui. Prima che io possa aver davvero compreso l’ affermazione in inglese, però, la sua voce si interrompe bruscamente:
“What’s wrong?”
Normalmente la domanda dovrebbe mostrare una qualche traccia di interesse verso il suo interlocutore, eppure, mentre chiede al fratello cosa non vada, il tono del ragazzo di fronte a me sembra assolutamente privo di affezione: quando giunge prontamente una risposta che non mi è concesso sentire, Alex serra la mascella e i suoi muscoli, ancora in contatto con il mio corpo, sembrano contarsi sotto un’ondata di tensione.
“Call your girlfriend...”
Resto immobile cercando di non respirare troppo rumorosamente nel patetico tentativo di sentire cosa dice il fratello dall’altro capo della comunicazione; tutto quello che riesco a cogliere, però, è un vago fruscio in cui non distinguo alcuna parola di senso compiuto.
Alex tace per qualche secondo, accarezzando distrattamente l’incavo del mio collo con la punta del naso e prestando attenzione a ciò che Adam borbotta.
Espira con impazienza contro di me, scaldando la mia pelle per pochi istanti, costringendomi a rabbrividire non appena l’aria fredda torna a avvolgermi l’epidermide: al mio sussulto lui solleva il viso, incrociando i miei occhi e aggrottando la fronte confuso. Mi limito a stringermi nelle spalle non sapendo come spiegare a gesti la mia reazione, facendolo ridere: ma il divertimento si smorza nella sua gola quando torna a concentrarsi sulla conversazione con il fratello e lo vedo rabbuiarsi.
“Is this a sick joke? Of all the people you know, I’m the one you call for this shit?”
In silenzio ascolto mentre Alex chiede al fratello perché abbia chiamato proprio lui per il problema che, apparentemente, Adam da solo non sa risolvere e cerco di immaginarmi in che sordida situazione il fratello del mio coinquilino si trovi al momento, ovviamente senza alcun successo.
Il viso del ragazzo di fronte a me è duro e seccato proprio come il tono della sua voce, il che mi eccita in modo del tutto sconveniente, considerato che mi sembra evidente che lui e suo fratello siano sull’orlo di una lite.
Io il fratello di Alex non ho idea di che faccia abbia ma, più penso ai geni che possono condividere e sento il mio coinquilino adirarsi, più mi trovo a considerare seriamente l’idea di un ménage à trois. La qual cosa, nello specifico, mi porta a sentirmi grandiosamente maliziosa e accaldata alla splendida prospettiva dell’unione di due fratelli arrabbiati, americani e piacevoli all’occhio.
Devo aver assunto un’espressione demenziale perché, mentre mi perdo nel mio sistema di pensiero perverso e assolutamente inadeguato, Alex inizia a sventolarmi una mano davanti agli occhi, scrutandomi dubbioso.
“Hold on a sec...” comunica nel ricevitore del telefono prima di rivolgersi a me.
“Che problema hai? Sei in trance?”
“Testa di cazzo.” borbotto dandogli un pizzicotto sul fianco, provocando l’insorgere dell’ennesimo sorriso beffardo sulle sue labbra.
“A che diavolo stavi pensando?”
Se glielo dico potrei ottenere due risultati ben differenti.
Nell’opzione A, quella in cui io sono particolarmente fortunata, alla mia confessione Alex si mostra incredibilmente entusiasta e si offre di invitare il fratello a raggiungerci. Il che ha, persino nella mia testa malata, qualcosa di vagamente sbagliato. E utopico, me ne rendo conto.
L’opzione B, ben più probabile, vedrebbe la sottoscritta risalire le scale da sola, essendosi del tutto bruciata ogni possibilità di consumare con il coinquilino e dovendo incassare qualche epiteto che possa apostrofare le mie evidenti perversioni e turbe psichiche.
Se fossi una persona religiosa, forse, ora mi confesserei.
A fronte degli scenari possibili, realizzo che l’unica strada percorribile è quella di sviare la sua attenzione da me e riportarla sulla sua conversazione telefonica.
“Al fatto che dovresti concludere la telefonata con una certa rapidità: io avrei un paio di cose in mente.”
"E che vuoi da me?” scherza lui, assolutamente consapevole del genere di cose a cui mi riferisco.
“Sono cose che richiedono la tua presenza...”
“Ah, sì?” sussurra facendo scivolare una mano fino al mio fianco con fare languido e spocchioso, ammiccando compiaciuto quando non riesco a non liberare un impaziente sbuffo.
Sembra in procinto di proseguire la sua discesa lungo il mio corpo, assolutamente determinato a provocare altre reazioni in me, ma la sua attenzione viene prontamente catalizzata dalla voce del fratello che chiama insistentemente il suo nome.
Alex fa schioccare un bacio veloce sulle mie labbra, seguito da un “Later” sussurrato e torna a interloquire con Adam. Segue un lungo minuto di silenzio in cui Alex si limita ad ascoltare con interesse misto a disappunto; i suoi occhi si muovono sbadatamente sul mio viso e le sue mani tornano ad intrappolarsi nei miei capelli in un movimento distratto e regolare.
In realtà vorrei fargli sapere che, se prosegue, mi ritroverò aggrovigliata come il filo degli auricolari del mio iPod o, cosa forse ancora più possibile - e mortificante - pelata, ma la storia sembra seria e il linguaggio del corpo del mio coinquilino tende ad essere molto più comunicativo di quella sua bocca tanto carina ma così poco convincente.
A confermare la tensione sempre più palpabile, dopo l’ennesimo morso auto inflitto al proprio labbro inferiore (gesto che ho imparato compie in situazione di particolare irritazione), la sua voce, ora profonda e tagliente, ribatte a una probabile provocazione:
“Yeah, I’m your fucking brother! Why don’t you keep that in mind next time you choose to tell on me?!” che, in parole povere vuol dire che Adam ha rivelato qualche segreto di Alex, che gli rinfaccia il loro legame di sangue - al quale sembra appena essersi appellato il fratello - condito da un bel fucking, che non fa mai male.
La sua rivelazione di sputtanamento fraterno attiva le rotelline del mio cervello e alimenta la mia sete di informazioni: nascondo il volto contro la sua spalla nella speranza che non sia del tutto conscio della mia presenza e provo a mettere insieme qualche pezzetto del puzzle che Alex sta rivelando di essere.
Adam deve avergli fatto un torto: fin qui non ci piove. Uno sgarbo che, riflettendoci, potrebbe avere a che fare con la telefonata che Alex ha ricevuto dai suoi genitori qualche giorno fa. Se non rimembro male il nome di Adam era stato fatto nella discussione.
Mi perdo nel mio ragionamento investigativo, inspirando a pieni polmoni il ricordo di Armani Code rimasto debolmente vivo sulla pelle del ragazzo che, immagino sovrappensiero visti i toni della discussione, fa scorrere il palmo della mano su e giù lungo la mia schiena.
Nel frattempo gli animi tra i due fratelli sembrano scaldarsi ulteriormente quando Alex prosegue nella sua missione di rispondere per le rime, rinfacciando a Adam realtà che io ignoro.
E la curiosità mi divora parola dopo parola.
“An eye for an eye, big bro... yeah, well, apparently I’m not the smart one. Yet, somehow, I end up being the responsable one to call for help when you...”
Sulla considerazione di essere reputato il fratello responsabile su cui contare quando c'è qualcosa di cui occuparsi e non quello intelligente, l’inflessione della sua voce subisce un colpo di rammarico e, anche se l’intera conversazione continua ad essere priva di logica alle mie orecchie, vorrei potermi intromettere nel tentativo di sedare il conflitto in atto o, quantomeno, di tranquillizzare il mio coinquilino.
Parliamoci chiaro: ha avuto più sbalzi umorali lui nell’ultima ora di quanti ne ha Jules in sindrome premestruale. Tutto ciò non può essere salutare. Forse è una forma di disturbo ormonale anche la sua? Potrebbe causare ipertensione?
Alt, l’ipertensione che effetti ha sulla libido e sulle capacità amatoriali? Perché se rischio di rimetterci io, mi sento in dovere di intervenire in difesa di Alex.
Ma lui sembra del tutto in grado di combattere le proprie battaglie e, sfortunatamente per me, pare essere tornato sulla scia della riservatezza perché, sollevando il mio viso dalla sua spalla, lascia la frase a metà, evidando di rivelare cosa abbia combinato suo fratello e aggiunge con una punta di astio:
“Anyway, I’m with someone right now.”
Oh, sono io quel someone con cui è adesso! Sono io il suo passatempo.
Mi sento importante: insomma, se un ragazzo scarica il fratello per fare del salutare sesso con te devi per forza avere un certo peso, no? E io quello ce l’ho a prescindere!
“I don’t have time for you.”
Non ha tempo per il fratello perché deve - finalmente - mettersi nudo di fronte a me!
Evvai!
Certa di aver vinto il mio Alex-pacchetto-regalo-da-spacchettare-fino-alle-mutande, però scopro il suo viso rabbuiarsi ancora una volta: resta in silenzio ad ascoltare le parole che provengono dal fratello; appoggia la fronte alla mia, socchiudendo gli occhi e sospirando prima di bisbigliare:
“Mi dispiace, Med.”
Svanite le possibilità di spacchettarlo fino alle mutande ed oltre.
Sono una pessima ragazza e una donna insensibile? Immagino di sì, ma penso che sarei molto più propensa all’empatia dopo aver avuto accesso a una mezz’oretta di fuoco con Alex.
Ogni donna è più sensibile dopo un orgasmo. È biologia, credetemi.
Provo un irrefrenabile desiderio di rispondere “Mi dispiace un cazzo!”, ma riesco a deglutire la mia protesta, riprendendo a farmi gli affari di Alex che nomina qualcuno di nome Andie, affermando che correrà in aiuto del fratello per il bene di tale Andie.
Ora, chi cazzo è Andie? È maschio o femmina? È figa? Oddio, non è che è tipo l’oggetto dei desideri di entrambi? Come quella Elena in The Vampire Diaries?
Sono in procinto di farmi sommergere da un sentimento che mi rifiuto di identificare come gelosia - del tutto infondata, tra l’altro - quando Alex, riposto velocemente il cellulare nella tasca posteriore dei jeans, poggia entrambi i palmi contro le mie guance e, ammiccando, domanda:
“Perché sei tutta rossa?”
Poggia piano le labbra sulle mie, impedendomi di confessare il mio ennesimo quanto ridicolo viaggio mentale e catturando la mia incondizionata attenzione. Mia e dei miei ormoni, si intende.
Ma è un bacio troppo breve, interrotto dalle sue dita che scivolano un paio di volte sulla mia bocca.
“Devo andare...”
“L’avevo capito.” sussurro cercando di nascondere il mio disappunto, conscia del fatto che sarebbe sconveniente mostrarsi capricciosa di fronte a un probabile problema di famiglia.
La verità è che non vorrei fare la persona matura: vorrei dirgli che io aspetto da quattro giorni e che ora che abbiamo parlato, non può andarsene un’altra volta. E vorrei che non ci spostassimo da qui se non per tornarcene a casa nostra. Che vorrei andare avanti nella simpatica esplorazione che avevamo intrapreso poco fa, possibilmente a porte chiuse, vestiti levati e telefoni spenti.
E, se non fosse per le sue mani contro la mia pelle che continuano a distrarmi, forse lo farei, incurante del fatto che ciò mi farebbe apparire per la tronfia egoista che, in questo preciso istante, avvinghiata ad Alex, so di essere.
“Vuoi che ti accompagni?” suggerisco accarezzandogli la pancia e, per un attimo, un flash dei suoi succulenti muscoletti si insinua nei miei ricordi e la mia salivazione aumenta.
“Non è il caso...”
Ovviamente.
Sarei tentata di forzare la mano e proporre un Do ut des a riguardo, ma temo che con Alex le questioni di famiglia siano tasti troppo delicati per tentare di strappargli informazioni quando non è ancora disposto a condividerle.
Mi guarda a sorride, con quel suo sorriso pungente che mi fa attorcigliare l’ombelico: il mio viso ancora tra le sue mani e il suo petto premuto contro il mio che si muove impercettibilmente ad ogni respiro.
“Ma tu stai bene?” provo a chiedere, nella speranza di non risvegliare la bestia isterica che ogni tanto sembra impossessarsi di lui.
“Starò bene quando sarò tornato a casa.”
Affonda i polpastrelli nella la mia nuca e guida di nuovo la mia bocca sulla sua, facendo schioccare una serie di baci veloci e rumorosi sulle mie labbra, rendendomi difficile articolare le parole. Immagino sia il suo patetico tentativo di zittirmi. Illuso.
“Ma...” Bacio.
“Tu e...” Bacio.
“Alex, aspet...” Bacio.
“Mmmhh... Shh!” Bacio. Bacio. “Sto cercando di baciarti!”
Bacio. Bacio con lingua.
Esasperata quanto combattuta, scosto il viso dal suo, porto una mano sulla sua bocca, ignorando il grugnito di protesta che si fa sentire nella sua gola, e lotto per porre la mia logorante domanda.
“Ma tu e la tua famiglia parlate sempre in inglese?”
“Che ne sai di come parlo con il resto della mia famiglia?” chiede ammiccando vittorioso, liberandosi della mia mano e ridendo di fronte al mio evidente imbarazzo.
Beccata!
“Origliare non è da signorine...”
“Mai stata una signorina.”
La mia risposta lo diverte incredibilmente e, non so per quale motivo, sembra scatenare in lui l’ormone impazzito perché, pochi secondi dopo, preme con prepotenza il suo corpo, tutto il suo corpo, contro il mio, sussurrando sul il mio collo:
“Beh, sì, siamo americani...”
“Allora non invitarmi mai a casa tua!” annuncio quasi disinteressata, ormai completamente concentrata su una sola meta: portare i miei adorabili palmi delle mani sul suo culetto d’oro!
“Credevo capissi l’inglese.” puntualizza sfiorando la punta del naso sulla mia clavicola mentre la mie dita si fanno strada lungo il bordo dei suoi jeans.
“Lo capisco.” sussurro mentre la sua bocca si sposta sulla mia “Ma se mi trovo in mezzo a voi che comunicate in inglese, rischio di ritrovarmi eccitata per ore...”
Mordo delicatamente il suo labbro inferiore, i suoi occhi sorridono per un istante, prima che le sue pupille si dilatino di colpo per lo stupore.
Meta, ladies! Mano destra di Med in F5, che identificheremo come “il sedere di Alex”.
“Sei una svergognata!” sghignazza in risposta al mio gesto audace, sospirando scocciato quando gli ricordo che non lo scoprirà mai se non si sbriga ad andare ad aiutare il fratello.
Un ultimo bacio leggero e sorridente e lo spingo lontano da me: se non me ne vado lo spoglio in mezzo alla strada tra 4 secondi.
“E tu che fai intanto?” chiede mentre io apro il portone di casa con la rapidità di un bradipo sotto formalina.
“Andrò a sostituirti con un sacchetto di Lindor.” rispondo riuscendo nell’impresa di fare ruotare le chiavi nella serratura e voltandomi verso di lui per salutarlo con la mano.
“Ti ci vorrà molto di più di un po’ di cioccolato per supplire a ciò che ti avrei fatto io...”
“Le parole se le porta il vento, mio caro. Quelli hanno la scioglievolezza...”
“I’ll show you la scioglievolezza...” ride allontanandosi e estraendo le chiavi della macchina dal giubbotto.
Io lo osservo mentre se ne va e solo due pensieri si fanno strada dentro di me:
Perché aveva le chiavi della macchina in tasca? E, a questo punto, vorrei avere un pacchetto di cioccolato da due chili o essere Jules e possedere un vibratore?
Salendo le scale, però, l’unica risposta che mi sovviene è: nessuno dei due. Vorrei Alex.
Stupidi problemi di famiglia!
Mi ricordo quando io e Michele avevamo un rapporto orribile: io gli dicevo che gli volevo bene e lui, simpaticamente, mi rispondeva:
“Io invece ti odio”.
Mi chiamava Palla. Diceva che si faceva prima a saltarmi che a girarmi attorno. Detto tra noi: aveva ragione.
La sua battuta migliore era: “Il volume di Palla sai qual è? Quattro terzi, pi greco, r tre.” Insomma, il volume della sfera.
Io, a quel punto offesa, gli davo del Callacalla: parola priva di un vero significato ma che, se pronunciata con vocina acuta e stridula, in unione al caratteristico viso piangente con bocca spalancata da deprivazione totale di ossigeno, sembrava causargli un fastidio incomparabile.
Quindi la cosa proseguiva: lui mi chiudeva nell’armadio più alto e mi diceva di lanciarmici giù sparando ragnatele dai polsi e proclamandomi Spiderman. Il tutto finiva quando io sceglievo di sparare le ragnatele dalla bocca sputando sui suoi capelli corvini.
Poi arrivava madre Eleonora che, borbottando, si chiedeva cosa avesse mangiato in gravidanza per partorire due animali da trifola e, prendendomi in braccio, mi portava in cucina dove, di fronte ad un panino alla nutella (o al salame, o a quello che offriva la casa) io mi placavo placidamente e tornavo serena, completamente inebriata dagli zuccheri e dei grassi fluttuanti in me.
Overdose d’amore, altro che ciccia!
Se anche Alex e suo fratello fossero capaci di risolvere i problemi bene come me e Michele, ora non sarei sprofondata sotto il mio piumone da sola, azzannando una scatola di Grizbì e ascoltando “Straight to number one” per simulare un virtuale rapporto sessuale.
Ma la vita è ingiusta. Quindi, con astio, dopo aver inviato un sms a mio fratello con scritto “Siamo una cazzo di potenza.”, mi accascio tra i cuscini e, tempo due minuti, russo come un facocero.
Non so se sia merito della frustrazione sessuale o semplicemente della stanchezza accumulata negli ultimi giorni ma, per una volta, il mio è un sonno così profondo che giurerei di essermi addormentata da pochi minuti quando sento una cascata di pizzicotti e morsetti leggerissimi precipitare sul retro del mio collo.
È qualcosa di così delicato e fresco che, per una volta, non vengo avvolta dall’istinto omicida che mi accompagna ad ogni risveglio ma, al contrario, mi riscopro a ridacchiare con la faccia affondata nel cuscino quando Alex, che come un ninja è salito a cavalcioni sulla mia schiena, soffia contro la mia pelle per fare una pernacchia.
“Molto maturo, Alex...”
“Svegliati!” protesta lui quando non mostro alcun desiderio di sollevarmi dal letto ma mi limito a sghignazzare al suo tono infantile.
Mostrando la sua tenacia, però, il mio coinquilino muove piano le ginocchia sul materasso e le fa scivolare lungo le mie gambe fino a che non si sdraia completamente sul mio corpo: intrufola le mani sotto il cuscino in cerca delle mie e riprende la sua deliziosa tortura alternando ai morsi baci leggeri.
Vivo con un alieno, è ovvio.
“Sofia, apri gli occhi.” mormora sfiorandomi la nuca e ridendo di fronte alla mia ostinata negazione.
“Dai, alzati. Ti porto a fare colazione...”
Mi porta a fare colazione? Dove?
“Se pensi di potermi sollevare fino alla cucina, sopravvaluti i tuoi muscoli o sottovaluti il mio peso.”
“Non sottovaluterei mai il tuo peso, Scintilla.”
Ecco tornato in tutto il suo splendore il mio coinquilino faccia di guano.
“Quando sei tornato?”
“Poco fa... c'mon, get up!” borbotta solleticando la mia scapola, ma io sono ancora piuttosto titubante all’idea di sollevarmi dal letto, tanto più che sotto il suo corpicino si sta una meraviglia: lui non sembra condividere la pigrizia che aleggia in me, però. Intreccia le dita con le mie sotto il cuscino e trascina le nostre braccia allo scoperto; poi, con una mossa che conferma il mio sospetto che sia un ninja in incognito, mi fa rotolare così che, inaspettatamente, mi ritrovo supina accanto a lui.
“Buongiorno!”
E io ribatto con una sorta di grugnito.
“Sensuale, molto.” sussurra con quel suo sorriso compiaciuto e gli occhi colmi di entusiasmo.
“Ma che ti prende?”
“Voglio che andiamo a fare colazione fuori!” mi spiega scendendo dal letto e tirando le mie mani verso di sè; quando riesce a costringermi a mettermi in posizione verticale, picchietta l’indice sulla punta del mio naso un paio di volte e mi annuncia:
“Hai quindici minuti per renderti presentabile e per raggiungermi in macchina.”
Io in quindici minuti forse mi sposto dal letto al water. Questo si è pippato un barattolo di zucchero a velo se pensa che io possa cambiarmi in un quarto d’ora.
“Ma che ore sono?”
“Le 8:30...” risponde lui uscendo dalla mia stanza e l’impulso assassino che latitava pochi minuti fa sale come un’onda devastante dentro di me.
“Ma vaffanculo, Alex! È l’alba!”
“Quindici minuti, o la colazione la paghi tu.” lo sento ridere dal salotto prima che chiuda la porta d’ingresso dietro di sé.
Resto imbambolata qualche secondo cercando di capire dove io possa trovare una Giratempo così da potermi travestire da essere umano prima di andare a fare colazione ma, nel bel mezzo della riflessione, mi rendo conto di un fatto assai più importante che si articola in due rilevanti sottoproblemi: prima di tutto, io non sono mai stata portata fuori a colazione da nessuno che avesse un pene.
Cosa diavolo ci si mette per andare a colazione con un ragazzo?
E, dilemma numero due, questo è una specie di primo appuntamento tra me e Alex?
Perché se lo fosse dovrei probabilmente chiamare Bet o Jules e chiedere istruzioni.
Attanagliata dal dubbio, dunque, mi sollevo rapidamente dal letto e corro alla finestra, aprendola e spalancando con pochissima cura le imposte: mi sporgo e scruto attentamente il marciapiede in cerca di Alex.
Appena poso gli occhi sulla sua testolina bionda mi metto ad urlare il suo nome come la peggiore piazzista e il mio coinquilino, precedentemente appoggiato al cofano della sua macchina, sussulta - non saprei se per il volume della mia voce o se per la sorpresa - per poi guardare nella mia direzione.
“Med... che stai facendo?!” domanda con un tono che potrebbe risultare di rimprovero, cosa che io ignoro volutamente.
“Ma questo è un appuntamento?”
“Che cosa?”
“La colazione. Tu che mi porti a colazione, intendo. È un appuntamento?”
Non lo posso vedere dal terzo piano, ma azzarderei che Alex sia appena arrossito a causa delle mie parole: forse era una cosa sottintesa e chiederlo è stata una mossa idiota? O è stata una domanda da ragazzetta appiccicosa e ora lui pensa che io lo stia pressando?
Perché giuro che non è così: io punto al sesso e al muscoletto.
“Med, ti dispiace?!”
“Cosa?”
“Potresti non urlare i fatti nostri dalla finestra?”
“Perché, io e te abbiamo dei fatti in comune?”
Poi, senza rispondermi, si mette a camminare verso il portone: ho appena il tempo di sporgermi come una giraffa dalla finestra per cercare di capire se è effettivamente entrato nel nostro palazzo o meno prima di sentire la porta d’entrata che sbatte e la sua voce che mi intima di “ritirare il mio stupido corpo all’interno della nostra proprietà prima che un piccione mi caghi in testa”.
Alex è uno sciocco: questo appartamento è della signora Riposi, non nostro.
Rientro e chiudo la finestra sbuffando quando lo vedo entrare in camera mia con uno sguardo scocciato:
“Ti sembra il modo?”
“Che modo?”
“Il tuo!”
“Quale mio modo?”
Sembriamo due aborigeni che comunicano come tacchini gloglottando e credo che Alex si sia appena pentito di avermi proposto di uscire a colazione. Fa un respiro profondo e si avvicina all’ armadio di fronte al letto a cui sono appoggiata, gli occhi fissi su di me.
“Stai per ritirare il tuo invito?” chiedo un po’ preoccupata.
Io ora ho fame! Pregustavo un cornetto alla marmellata.
“Prima di tutto vorrei che il resto del mondo non sapesse se e quando porto qualcuno ad un appuntamento. E, in secondo luogo, chiamalo come ti pare: io volevo solo che uscissimo insieme a fare colazione. Non c’è bisogno di dare un’etichetta ad ogni cosa...”
“Questo lo so, imbecille...” borbotto sottovoce, incurante della sua risatina che segue la mia protesta.
“Quindi?”
“Che ne so! Pensavo che se fosse stato un appuntamento mi sarei dovuta acchitare come si deve. Insomma, non è così che si fa?”
“Scintilla, io ho un lavoro da raggiungere tra non molto e, onestamente, le formalità le trovo frustranti...”
“Io pure...” confesso ridendo e ripensando alla mia inadeguatezza sociale.
“Mettiti quello che avevi addosso ieri sera.”
“Perché?” chiedo ammiccando e avvicinandomi a lui.
I suoi occhi ricominciano a sorridere e, quando i miei rovinano sulle sue labbra, lo sento inspirare. Fa scorrere le mani sui miei fianchi e intreccia le dita dietro la mia schiena, chinandosi lievemente su di me.
“‘Cause it was sexy as hell...” e libera l’aria sulle mie labbra, quasi sfiorandole con le sue.
Poi, senza preavviso, mi tira un leggero sculaccione, spostandosi da me, e mi ordina:
“Ora muovi il culo.”
Con gli occhi fissi sulle sue spalle che abbandonano la mia stanza e la mandibola a penzoloni per il tiro mancino appena incassato, constato di essere affamata in tutti i modi possibili: il dubbio è se ho più fame di cornetto o di Alex.
Sto per abbandonarmi ad una fantasia perversa su Alex con addosso solamente un grembiule da cucina che mi prepara brioches alla marmellata e la cosa mi intriga in modo quasi grossolano; poi sento l’oggetto della mia fantasia urlare “Sbrigati, Scintilla!” e, ormai rotta la magia, finalmente mi decido a vestirmi.
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L'imbarazzante piacere del TuttoTondo
RomanceMed ha 24 anni e porta avanti una relazione di sesso con un soggetto di discutibile fascino, è 2 anni fuori corso ad una facoltà che non ha intenzione di terminare, è sovrappeso ed è un po' stronza. O forse è solo socialmente inadeguata. All'apice d...