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“Dobbiamo portarlo via”

Quelle parole fecero scattare impercettibilmente l'orecchio di Gerard. Prendendosela comoda, permise alla fioca luce della prigione di oltrepassare le sue palpebre, e aprì gli occhi.

Il sole non era ancora irrotto al massimo della sua violenza, anche attraverso quella piccola finestra sopra il suo capo. Non era ancora mezzogiorno, dunque aveva dormito solo poche ore.

Quasi non sentiva le proteste delle palpebre, insoddisfatte da quel breve riposo: era abituato a dormire poco, o anche per niente talvolta. Ma, d'altronde, come avrebbe potuto dormire ieri notte, con un nuovo compagno di giochi così divertente?

Si era fatto mettere in gabbia non poche volte nella sua vita, eppure era convinto che il modello di soldatino nevrotico e permaloso fosse solo uno stereotipo, lo spassoso personaggio delle storie per bambini. Era pur vero, però, che a dei bambini nessuno avrebbe mai detto cosa aveva intenzione di fare Red Crow con un sempliciotto del genere.

Nessuna delle guardie di quel covo di damerini sembrava granché sveglia. Eppure, dopo una sola notte con quello là, Iero, Gerard decise che sarebbe stato lui la sua vittima. Lui, nessun altro. Durante il suo turno di notte sarebbe scappato, avrebbe raggirato solo e soltanto il soldato Iero. Esibirsi in uno dei suoi giochi di prestigio con chiunque altro sarebbe stato noioso, troppo facile, preferiva provare qualcosa mai fatto prima: sedurre un soldato. Sarebbe stata la sua impresa più epica, probabilmente.

Il giovincello vispo della guardia diurna guardò stralunato i due colleghi d'armi che aveva davanti.

“Deve essere trasferito?”

“Nah, il commodoro lo reclama solo per qualche ora. Il tempo sufficiente, e lo riportiamo qui”

Per qualche motivo, quelle parole mirate unicamente a spaventare Gerard, non lo spaventarono affatto.

Nella penombra del punto più lontano della cella, luccicò l'oro dei suoi denti. In quel sogghigno, Gerard abbassò di nuovo la testa e chiuse gli occhi per un altro istante, almeno finché non sentì le guardie aprire la sua cella.

Venne scortato da quegli uomini con freddezza, senza una parola. Attraversò il forte assieme a loro, ammanettato, guardato da qualunque altro soldato incrociassero sul loro cammino. Infine, arrivò ad una cella che somigliava vagamente alla sua, solo con una vera porta e un arredamento differente: notò due colonne di legno non molto distanti tra loro, erette al centro di quello spazio.

I soldati lo posero in mezzo a esse, gli tolsero le manette solo per mettergliene di nuove, queste incatenate ai pilastri.

Solo allora l'ospite d'onore lo degnò della sua presenza: entrò nella stanza quell'uomo, il commodoro Hamilton. A seguirlo, un individuo che tutto sembrava tranne un militare, con vestiti sgualciti e un gatto a nove code tra le mani.

“Se posso permettermi, commodoro, mancate decisamente di originalità. A Porto Rico avevano intenzione di appendermi per i pollici” disse Gerard.

“Possibile. Ma c'è da dire che la nostra città vanta ben altre doti, a discapito dell'originalità”

“Ad esempio?”

Il commodoro si avvicinò a lui, costringendolo ad un contatto visivo a cui Gerard non si sarebbe opposto ugualmente. “L'efficacia”

Passarono diversi secondi a guardarsi negli occhi, prima che il prigioniero stesso sembrasse interessato ad arrivare al punto del loro incontro:

“Immagino che dovrei chiedere perché sono ancora vivo, ma penso di saperlo già”

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