25.

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Ci spostammo nel cortile dell'ospedale, nonostante facesse freddo.
Avevo bisogno di prendere un po ' d'aria per riordinare le idee, perciò afferrai il giubbotto ed uscimmo.
I rumori delle strade di New York erano alti e leggermente irritanti, ma mi facevano sentire viva. Sapevo che c'era una vita,al di fuori dell'ospedale,  e non avrei dovuto dimenticarene.
Ci sedemmo in una delle panchine.
Il giardino era grande e leggermente inquietante per via delle mille ombre create dalla luce del tramonto.
Jesse prese dalla tasca il suo pacchetto di sigarette, ma io Scossi la testa.
-Ci sono le telecamere. -
Jesse sbuffó e le rimise sulla tasca della giacca.
Si passó infreddolito le mani su e giù sul tessuto dei pantaloni.
Le mie mani erano congelate, e un tempo,  Jesse le avrebbe prese fra le sue e le avrebbe riscaldate.
Ma le cose erano cambiate .
-Da quanto sei qui a NewYork?
-Due settimane. Pensavo fosse stato più facile, ma una volta qui ho avuto mille dubbi . Solo ora ho avuto il coraggio di venire qui. -
Feci un respiro profondo, trovando le parole adatte, sapendo che parole adatte per quello che dovevo raccontargli non esistevano.
-Non ho mai pensato di denunciare mio padre perché mi vergognavo.- Iniziai esitante. -Io mi vergognavo perché dentro di me, nonostante sapessi che quello che faceva era assolutamente sbagliato, pensavo fosse normale. Mi aveva fatto credere che lo fosse, che tutti i padri esprimessero i propri sentimenti in quel modo, che non ci fosse nulla di strano. È sempre stato un grande manipolatore, mio padre. È per questo che non l'ho mai detto ha nessuno. Mi facevo schifo perché non incolpavo mio padre. Io ero come lui.-
Jesse si passò una mano sulla fronte,  e si accese una sigaretta.

-Lo sai che non è così, vero?--Si, ora lo so

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-Lo sai che non è così, vero?-
-Si, ora lo so.-
Rimanemmo in silenzio per un po', un silenzio assordante, troppo pesante da gestire.
Jesse spense la chicca ancora intera e si passò una mano fra i capelli nervoso.
-Mi fa male sentire cosa hai dovuto sopportare per tutti quegli anni. Avrei voluto salvarti, avrei voluto che me lo avessi detto. Ma Kira, tu sei fottutamente importante per me, e non devi lontanamente immaginare che quando ti guardo vedo la mostruosità di Zach. Vedo solo Kira. E mi piace molto ciò che vedo.-
Sorrisi malinconica, torturandomi le mani agitate.
-Perché sei rimasto a Westerfield?-
Chiesi curiosa.
Lui alzó le spalle, guardando le macchine scorrere veloci al di là della rete.
-Non lo so. Tutto ciò che abbiamo fatto è avvenuto in quella città. Nonostante volessi dimenticare tutto quello che ci collegava, non sono riuscito ad andarmene. Non riesco ad allontanarmi da te, Kira.-
Dissi guardandomi finalmente negli occhi.
-Non farlo allora.- Dissi in un sussurro, stringendomi sul giubbotto.
Jesse non disse nulla, e riuscii a leggere chiaramente la confusione nel suo viso.
-Jesse, non ricordo nulla. Te lo giuro, se lo avessi saputo non ti avrei coinvolto in tutto ciò. Lo sai, vero?-
Lui rimase in silenzio a lungo, rimuginando su quello che avevo appena detto.
-Sì. Sei qui dentro.- Disse smettendo di guardarmi .
-Mi credi solo perché sono qui o perché te lo sto dicendo? -
Jesse sospirò, e non rispose alla mia domanda.
Avevo tradito la sua fiducia e sentivo che non avremmo mai potuto recuperare quel legame che ci univa un anno prima.
-Perché hai picchiato mio padre?-
Lui alzó gli occhi stupito. -Come lo sai?-
-Lo so.-
-C'é davvero bisogno di un perché? -
Non dissi nulla, e guardai incantata le strade illuminate di New York.
-Come sta Mase?-
-Bene. Era molto felice quando gli ho detto che sarei venuto qui. Avrebbe voluto esserci anche lui. -
-Daphne?-
-Non la sento da tanto. Pensa, è stata promossa. Non ci sperava più. É stata ingaggiata da un'agenzia di modelle.-
-Tu sei stato promosso? -
-Certo che lo sono stato.-
-Ti fai ancora, vero?-
Jesse Smise di rispondere alle mie domande e mi guardò serio. Lo riconoscevo, riconoscevo la luce dei suoi occhi spegnersi lentamente.
Oramai lo conoscevo troppo bene.  Conoscevo troppo bene le sue pupille nere più dilatate delle mie, di tutti gli altri.
Riconobbi Il suo tirar su con il naso continuamente,
Il suo mordersi le labbra sino a sanguinare.
Il Jesse oscuro, il Jesse che non mi piaceva ma che non riuscivo a non amare lo stesso.
Strizzó gli occhi in modo minaccioso e mi guardò intensamente.
-Perché? Che cosa cambia?-
Scossi la testa, evitando il suo sguardo.
Sapevo che parlare della sua dipendenza lo metteva a disagio e lo faceva innervosire, soprattutto se non era pulito, cioè sempre.
Jesse sbuffó infastidito e si alzó di scatto dalla panchina.
-Devo andare ora. -
-Tornerai?- Chiesi speranzosa.
Lui annuí leggermente, e lo seguii all'interno dell'ospedale senza aggiungere altro.
Ero abituata ai suoi repentini sbalzi d'umore, ma volevo a tutti i costi che le cose fra noi si sistemassero.
Il primo piano era sempre molto affollato, e presto io e Jesse non diventammo altro che due comuni individui inutili.
Avrei voluto accompagnarlo fuori, accompagnarlo alla macchina parcheggiata qui fuori, ma noi del reparto psichiatrico,  o meglio, io, potevo uscire raramente solo sotto sorveglianza.
Lo vidi allontanarsi verso la porta, verso un futuro certo, un futuro libero. Un futuro migliore del mio. Una vita di scelte. Io, scelte non ne avevo.
-Jesse?-
Lui si bloccó, e si voltò nella mia direzione, troppi lontano da me.
-Kira?-
-Tornerai?-
Glielo chiesi ancora, e avrei voluto farlo ancora e ancora. Avrei voluto che non se ne andasse mai.
-Tornerò. -


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