Jesse era tornato davvero.
Ogni giorno passava ore e ore all'ospedale, all'apparenza indifferente al fatto che fosse sul reparto psichiatrico.
Parlavamo molto. Lui mi raccontava cosa aveva fatto in questo anno ed io gli raccontavo la vita all'interno del reparto.
Pian piano ci stavamo avvicinando sempre di più, scoprendo anche cose nuove l'uno dell'altro.
La cosa che mi dispiaceva di più, era non poter uscire da lì. Stavo cercando di ottenere un permesso per qualche ora, ma non era facile come per gli altri pazienti.
Sapevo che prima o poi Jesse avrebbe smesso di venire, sarebbe cresciuti e si sarebbe fatto una vita, mentre io sarei rimasta a guardare con dolore tutti da dietro le finestre dell'ospedale, perciò cercavo di godermi al massimo i momenti che passavamo assieme.
Mi spiazzó quando in un giorno d'autunno Jesse mi portò un insolito e spettacolare regalo.
Me ne portava uno ogni giorno, ma quello che aveva portato quel giorno, era qualcosa di spettacolare.
Mi porse il suo zaino nero, invitandomi ad aprirlo.
Lo feci, elettrizzata e curiosa, aspettandomi un libro o un pupazzo.
All'interno dello zaino non c'era nulla fuorché un oggetto elettronica dalla forma quadrata.
La presi fra le mani, con gli occhi che pian piano iniziavano ad inumidirsi.
-Jesse é...é una polaroid.--Sì, lo so.- Disse sorridente.
-É...é per me?-
-Si.-Mi rigirai fra le mani la macchinetta fotografica d'epoca. Ne avevo una anche io, ma probabilmente era finita nella pattumiera insieme alle altre cose che Jaz aveva gettato.
Adoravo fare foto. Le mie istantanee erano nascoste in una valigia in fondo all'armadio. Foto belle,brutte, sfocate, artistiche. Foto della mia stanza, di nonna, di Jaz e Zach, di Jesse , di Morgana, di Sebastian...fotografavo tutto quello che mi passava d'avanti.
Abbracciai Jesse, bagnando la sua maglietta con le lacrime di gioia che avevano cominciato a scendere.
-Grazie, grazie, grazie! La amo! É un regalo magnifico. -
-Sono contento che ti piaccia.- Disse, ed io continuai a stringerlo a me per evitare che sciogliesse quel'abbraccio, per continuare a rabbrividire sotto le sue braccia avvolte al mio corpo.
Jesse mi asciugó le lacrime, ed io presi nuovamente la mia nuova e bellissima polaroid.
-Devi nasconderla. Non farla vedere a nessuno, o te la prenderanno. -
Annuii, e avvicinai la macchinetta alla faccia.
-Sorridi.-A Jesse non piaceva essere fotografato, motivo per cui la maggior parte delle foto dove era lui il soggetto erano spontanee.
-Vieni anche tu.-
Mi sedetti al suo fianco e allontanai la fotocamera per prenderci entrambi.
Mi misi in posa per la foto, e prima che scattasse il flash Jesse mi afferrò il mento e mi voltò verso di lui, avvicinandomi al suo viso e intrappolando le mie labbra in un lungo bacio.
Spalancai gli occhi sorpresa, ricambiando spontaneamente.
Ben presto la polaroid divenne un ricordo momentaneamente futile, e le mani di Jesse vagarono esperte sul mio corpo.
Mi accarezzò delicato le guance, scendendo lentamente verso la mia camicetta a fiori.
Mi prese per la vita stretta e mi attirò a se, approfondendo il bacio. Non succedeva spesso. Per Jesse era ancora difficile esprimere i suoi sentimenti come faceva all'inizio, per cui quel bacio mi lasció stupita.
Passai le mani lungo le sue braccia fredde e muscolose, ricoperte dagli stessi brividi che ricoprivano la mia pelle.
Passó le labbra piene sul mio collo, facendomi chiudere gli occhi e sorridere di piacere.
Improvvisamente Jesse si staccò da me, allontanandosi come se avesse toccato una fiamma ardente.
Smise di guardarmi negli occhi e si passò una mano tra i capelli come faceva sempre quando qualcosa lo confondeva.
Deglutí e finalmente incontró il mio sguardo.
-Cioè...andiamo a fare qualche foto in cortile?- Chiese scettico.
Inizialmente non capii. Che cosa era successo? Perché si era comportato in quel modo bizzarro?
Poi però, arrivai ad una conclusione attendibile e triste.
Sorrisi malinconica e mi riaviccinai a lui.
Mi sedetti,con mio immenso stupore, sulle sue ginocchia e circondai le sue spalle grandi con le braccia
-Non sono intoccabile, Jesse.-
Sussurrai chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte alla sua.
-Ho sempre il timore di fare qualcosa di sbagliato, con te. Non riesco mai a capire a cosa tu stia pensando e questo mi spaventa. -
-Con te é diverso, solo con te. -
Jesse si allontanò e finalmente sembrò tranquillizarsi.
-Sei sempre e solo tu.- Sussurrai fra le sue labbra prima di farle combaciare con le mie ancora una volta.
Un leggero tossichiare ci fece interrompere.
Ci allontanamo velocemente e arrossii immediatamente quando vidi Casey, l'infermiera, sull'uscio della porta che ci guardava con occhio critico.
-Hai terapia. Sei in ritardo.-
-Sì, arrivo.-
Ci alzammo ed uscimmo dalla mia stanza.
Jesse mi accompagnò fino alla stanza svago.
Erano già tutti seduti, e quando ci videro non smisero di guardarci.
Nemmeno quando Jesse mi salutò con un lungo e poco casto bacio, ignorando le occhiate degli infermieri e dei pazienti.
-Ci vediamo domani.-
-A domani.-
Lo guardai allontanarsi finché non scomparí dietro al corridoio.
Andai a sedermi vicino a Ethan e Wesley, che si lanciavano occhiatine divertite.
-Bene ragazzi, ora che c'è Kira posso parlarvi della mia idea.-
Sybil inizió a spiegarci cosa avremmo fatto quel giorno.
Stacey Liboiron si avvicinò con la sedia alla mia, osservando con quell'espressione strafottente.
-Quindi è lui il tuo ragazzo. -
La ignorai, continuando ad ascoltare distratta le parole di Sybil.
-Niente male, Maxwell. È un bel ragazzo.-
Wesley fulminó con lo sguardo Stacey, che lo ignoró.
-Scommetto che è bravo a letto, a quel non so che...oh, dimenticavo che tu non lo puoi sapere! -
Strinsi forte i pugni, ripetendomi di non reagire, che era quello il suo scopo.
Fortunatamente Sybil chiamò Stacey.
Nei giorni seguenti ci aveva dato il compito di creare un'ipotetica trama per la recita dell'ospedale che si svolgeva ogni anno.
Era una bella idea, mi piaceva creare storie e quella era una possibilità per far sentire le mie idee.
Stacey prese il suo foglio spiegazzato dalla tasca posteriori dei jeans e si schiarì la voce prima di leggere ad alta voce.
-in un'ospedale psichiatrico di New York ci sono un gruppo di pazzi che decidono di fare una stupida recita di cui non frega un cazzo a nessuno. Alla fine muoiono tutti. -
Sybil sorrise e fece un piccolo applauso.
-Apprezzo comunque lo sforzo, Stacey. -
Sybil fece leggere ad ognuno di noi le nostre storie, e disse che la mia era ideale e molto fantasiosa.
-Vodoo Doll, vuoi leggere la tua?-
La donna sorrise e applaudí, per poi alzarsi in piede e schiarirsi la voce prima di incominciare a parlare.
-Devo essere sincera. L'idea è di Mary Rose! - diede un lungo bacio alla bambola di pezza che non mollava mai.
-Questa è la storia di una famiglia americana ricca, venerata da tutti i vicini. Una famiglia all'apparenza perfetta, ma con molti segreti.
Tutti i componenti infatti sono killer seriali, ed hanno l'abitudine di sotterrare i cadaveri che uccidono nel loro giardino dietro la grande villa. Ecco, questa è l'idea iniziale di Mary Rose. -
Di sedette e la bambola cadde a terra, con la pancia in su e la testa girata dalla mia parte.
Sembrò quasi che stesse guardando me.
Mi alzai improvvisamente più spaventata e corsi fuori dalla stanza svago, sentendo i peli Rizzarsi sulla mia pelle.
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MADHOUSE - La terapia
Mistero / Thriller■Secondo libro della serie "THE HOUSE SAGA"■ In pochi attimi la vita di Kira ha subito un tragico avvenimento. Sono bastati pochi secondi e poche parole per lasciare la giovane ragazza confusa e interdetta. La verità di Kira é diversa da quella di...