_capitolo 9_

85 7 1
                                    



Tirava un vento gelido ma Jen non sentiva freddo. Camminò verso il molo. Conosceva bene quel piccolo centro abitato. Si allontanò dalle casa fino a raggiungere la sua meta. 

Il lungo mare era deserto, la pista ciclabile e le palme erano illuminate dai lampioni e sembrava tutto così perfetto e silenzioso. Scese le scale e camminò sulla spiaggia senza togliersi le scarpe e raggiunse una fila di scogli che si allungava verso il mare. Si fece strada tra le pietre e mise piede sul molo di legno. Tirò fuori la sua torcia e la accese. Il piccolo molo arrivava abbastanza lontano dalla spiaggia. Giunta alla fine si sedette con i piedi penzoloni.

Il rumore delle onde era rilassante, ogni tanto una soffiata di vento portava odore di sale, di mare, come diceva una canzone che aveva sentito alla radio, quando era in macchina con la nonna.

Poi pensò a Lorenzo.

Pensò che le mancava, che avrebbe voluto riavere la sua amicizia, il suo aiuto, i suoi consigli i suoi abbracci ma si era giurata che non avrebbe mai più voluto bene e parlato più del necessario con nessuno perché quello che voleva era non soffrire mai più.

Jen non doveva dimostrarsi debole altrimenti le persone sarebbero arrivate come avvoltoi a distruggere quel poco che era rimasto della vecchia Jennifer. Era anche  la sorella più grande, si diceva per darsi forza,  e doveva dare il buon esempio. Doveva essere un punto a cui ispirarsi per Clara, la sua sorellina, non un guanto rammollito.

Jen non poteva e non doveva farsi veder debole, piangere. Doveva consolare e dare forza. Questo era il suo compito. Ma non ci riusciva. Aveva troppe emozioni da nascondere, da sotterrare. Non riusciva a non piangere davanti a Clara, non riusciva più a comporre una frase senza che la sua voce tremolasse.

Iniziò a convincersi da sola che odiava Lorenzo, che lui aveva tradito la sua fiducia, decise che lo avrebbe allontanato dalla sua vita.

I due però seppur lontani facevano le stesse cose perché erano soli entrambi: se Jen era al mare, Lorenzo era al parco, se lei ascoltava il suono del mare, lui ascoltava il rumore delle foglie. Mentre lei si decideva a dimenticarlo, lui si preparava a cercare di farla felice, pensava a come riallacciare i rapporti con lei, a come poterla stringere di nuovo tra le sue braccia, a come dimostrarle il suo amore.

Il molo era silenzioso. In lontananza il mare rimaneva scuro, ogni tanto si vedeva la luce dei pescherecci in lontananza. Iniziava a fare veramente freddo così Jen si alzò e iniziò a tornare in dietro. Sulla pista ciclabile, appoggiati alla balaustra c'erano due ragazzi che si guardavano negli occhi e parlavano. Ad un certo punto lei abbassò lo sguardo, lui le prese il mento e la baciò.

Poveracci , pensò Jen, rovinarsi in quel modo. Quello che prima sembra amore poi si trasforma in odio. Ma a cosa serve l' amore? A cosa serviva in quel momento a Jen un fidanzato? Avrebbe dovuto desiderarlo? No. Non avrebbe più sofferto come aveva fatto con Cristian.

Ritornò verso casa ma prima fece una sosta in un bar. Prese una bottiglietta d'acqua e poi si ritrovò tra le mani un pacchetto di sigarette. Si infilò in un vicolo e aprì l' involucro. Magari una sigaretta avrebbe cancellato tutto, l' avrebbero resa più forte: su suo padre faceva quell'effetto.

Ne accese una, la portò alla bocca e tirò: le girava la testa e dovette aggrapparsi al muro per non cadere. Tossì forte e una nuvola di fumo volò via disperdendosi nell'aria. Quando il bidone di fronte a lei tornò fermo respirò ancora quel veleno. E così finì la sigaretta. Non provava nulla. Tutta la rabbia, la pura e la sofferenza che aveva dentro erano rimaste dov'erano. Non serviva a nulla fumare. Buttò per terra il pacchetto e gli diede fuoco poi vi buttò dentro anche l' accendino che aveva comprato dal tabaccaio. Si voltò e tornò a casa. Bevve tutta la bottiglietta d'acqua e si ficcò una mentina in bocca prima di entrare.

Sua madre e suo padre erano ancora svegli, ed erano seduti al tavolo della cucina, ansiosi di veder tornare la figlia. Non appena Jen varcò la soglia, sua madre corse ad abbracciarla.

-Scusami, tesoro mio, per come mi sono comportata. Scusami, davvero-

-Si. Ok va bene- rispose Jen senza ricambiare l' abbraccio. Aveva paura che sua madre si accorgesse che aveva fumato ma allo stesso tempo si sentiva completamente autonoma e autorizzata a far quello che voleva.

-Ma Jen... cos'è questo odore?- e la madre iniziò ad annusare la figlia – Tu hai fumato!-

Ecco, mi ha sgamato.

-Si mamma, ho fumato. Pensavo che mi avrebbe fatto dimenticare tutto e sollevato il morale. Invece non è servito a nulla. Perché fumare non serve a nulla- rispose alzando la voce rivolgendosi più al padre che alla madre...

E così aveva fumato la sua prima e ultima sigaretta. Aveva fatto una cosa totalmente inutile e insensata.

-Buona notte-.

E si addormentò con i capelli che odoravano di fumo.


Piangere, Vivere, SorridereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora