_capitolo 17_

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Il giorno seguente l'allegra compagnia si esercitò nell' osservazione delle piante e nel cercare di orientarsi grazie ad esse: con il muschio che cresceva sui tronchi degli alberi si poteva individuare il nord, per esempio.

Tutti erano sorridenti e scherzavano tra di loro, tutti tranne Lorenzo assorto nei suoi pensieri. Jen lo fissava, lo guardava.

Guardava i suoi occhi chiari, i capelli spettinati dal vento, le sue braccia e le sue mani che una volta la abbracciavano quando ne aveva bisogno.

Lorenzo alzò lo sguardo e incrociò quello di Jen, si guardarono intensamente.
Quando Jen si accorse di quello che stava succedendo distolse lo sguardo, cosa stava succedendo?

Quella sera in camera non si fece festa, si raccontarono tutte le belle esperienze di quel primo anno di scuola insieme, anche se per Jen non era stato proprio uno dei migliori.

-Jen scusaci se all'inizio ti abbiamo presa in giro, davvero, ci dispiace molto-.

-Tranquille siete perdonate tutte-.

-Vieni qui-. Si abbracciarono.

-Non posso credere che questo sia l'unico anno che passeremo insieme-.

-Devono proprio bocciarti?! Uffa-.

Si strinsero tutte in lunghi abbracci perché in fondo, nonostante tutto, si volevano bene e dispiaceva a tutte separarsi da Jen, non averla più in classe con loro.

All' una solo Jen era ancora sveglia: non riusciva proprio a dormire, c'era qualcosa che la tormentava. Si alzò, si mise le scarpe ed uscì nel corridoio: era diretta alle cucine.

Entrò nella sala da pranzo e varcò la cigolante porta della cucina. Su un piano da lavoro c' erano dei biscotti avanzati dal mattino prima e ne prese due. Li mangiò silenziosamente e bevve anche un po' di latte: se si doveva mangiare di nascosto lo si doveva fare bene.

Poi, con passo felpato, risalì le scale. Non c'era nessuno in giro, o almeno così credeva.

Stava percorrendo il penultimo corridoio quando nel buio andò a sbattere contro una figura alta. Jen cadde per terra emettendo un piccolo gridolino. Due braccia forti e delicate la tirarono su: era Lorenzo. Una porta in fondo al corridoio si apri. Lorenzo trascinò Jen oltre l'angolo del corridoio così che nessuno potesse vederli stringendola a sé e tappandole la bocca. La scia di luce proveniente dalla camera si fece poi più sottile fino a scomparire. Lorenzo mollò la presa.

Jen si rialzò e lanciò uno sguardo veloce a Lorenzo per poi correre via.

Cosa ci faceva lui in giro a quell' ora?

Tornata in camera e infilatasi nel letto, Jen ancora non riusciva a dormire. Il cuore le batteva forte nel petto, forse per lo spavento o per l'agitazione o per qualcosa di ancora ignoto.

Non scese al piano di sotto ma rimase nella sala comune. Aprì la sua valigia ed estrasse il libricino di poesie che si era portata. Cadde un foglietto: era la lettera di Lorenzo. Jen lo raccolse, si sedette sulla finestra, il prato deserto al chiaro di luna, lo spiegò.

Iniziò a leggere la parte della lettera che aveva saltato:

Perché io tengo tanto a te, più di quanto tu creda. Ti prego torna da me. Mi manchi, mi manchi troppo. Durante tutto questo tempo non sai quante volto ho pensato di scappare via piuttosto di stare senza di te. Rivoglio indietro i tuoi abbracci, i tuoi occhi scintillanti, il profumo dei tuoi capelli, la tua mano nella mia, le tue risate. Perché non sopporto di starti lontana, quando non ci è tutto un inferno, tutto quello che faccio lo faccio per starti vicina.

Faccio e ho fatto tutto questo perché ti amo, ti ho amata dalla prima volta che ti ho vista. Quando ti vedo la mattina ho la consapevolezza che sarà una splendida giornata e quando ti saluto alla sera so che ti incontrerò nei miei sogni. Mi piace tutto di te, tutto quanto; sei troppo importante, ti prego torna da me.

Lory.

Jen rimase a bocca aperta: era sconvolta.

Devo aver letto male.

Rilesse da capo. Lo fece più e più volte e trovò scritte sempre le stesse cose: non stava leggendo male.

Com' era possibile che Lorenzo provasse quei sentimenti per lei? Poteva essere uno scherzo?

No, la scrittura era la sua e poi c'era l'altro pezzo della lettera. Jen pensò ai panini che trovava nello zaino: ecco chi glieli metteva; e come, quando lui aveva appeso la sua storia alle pareti della scuola tutto era andato meglio.

Ricordo anche che Lorenzo era andato a dire tutto alla polizia: forse non aveva fatto una cosa cattiva. Se no fosse stato per lui in quel momenti Jen sarebbe stata ancora nelle mani di Cristian e dei suoi amici.

Jen ritornò alla prima riga e scese per l'ennesima volta verso il basso.

Lorenzo le era sempre stato accanto, offrendole supporto e aiuto e Jen lo aveva allontanato da lei. Ora, pensò lei, Lorenzo sta male, sia per colpa mia che per il suo nonno, ed io sono qua a far nulla.

Si sentì tremendamente in colpa. Emozionata. Malinconica. Confusa.

Jen ripiegò la lettera, la rimise nel libro che ripose nella valigia e andò a dormire. Le parole della lettera che le galleggiavano nella mente.

"Mi manchi"

"Torna da me"

"Sei troppo importante"

Piangere, Vivere, SorridereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora