due

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Erano passati svariati giorni da quando Benjamin era entrato nella mia vita e che dire, questi giorni erano stati sempre gli stessi.

La sera precedente a questa avevo provato a sapere perché Benjamin era finito lì, ma non mi aveva dato risposta. Era rimasto impietrito a guardare davanti a se, perso nel vuoto.

Stavo ritornando in camera dopo una abbondante colazione, aprii la porta ma mi bloccai appena sentii Benjamin parlare al telefono:

"Non ho alcuna intenzione di tornare!" Disse ma la sua voce era incrinata: piangeva.
"Non sono il tuo servo" singhiozzò. "Non sono di nessuno" singhiozzò ancora poi mille lacrime gli scivolarono sul volto.

Lo guardai un attimo e lui alzò la testa ma non si mosse e non disse nulla, mi guardò solo. Io rimasi un po' perplesso ma poi chiusi la porta dietro di me, entrando complemente in camera.

Un altro singhiozzo fuoriuscì dalle sue labbra, si sentiva la persona, probabilmente uomo, che continuava a parlare al telefono, ma Benjamin rimaneva zitto e immobile con lo sguardo fisso sul mio.

"Non sei nessuno per me" sussurró e poi buttò il telefono contro il muro.

Io rimasi in piedi di fronte a lui fino a quando non si accasciò a terra con le mani sulle orecchie mentre singhiozzava e piangeva insistentemente.

Mi avvicinai a lui e lo presi fra le mie braccia senza dire nulla: rimanemmo così per minuti interi, fino a quando non si girò verso di me con gli occhi ancora velati dalle lacrime e "Non ho mai accettato quello che sono. Ho sempre cercato di nascondermi ma mi hanno trovato, mi hanno capito. Hanno scoperto tutto e mi hanno fatto loro schiavo. Non ho idea di quanti calci e pugni prendevo al giorno e i miei genitori non facevano nulla per difendermi anche se sapevano tutto" un singhiozzo, poi riprese. "Sono gay da sempre e loro non lo hanno mai accettato. La polizia la scorsa settimana mi ha visto camminare mentre tornavo a casa, avevo un occhio nero e il labbro completamente spaccato. Zoppicavo per via dei calci. Non mi credettero quando gli dissi che avevo fatto a botte, come si fa fra ragazzini, mi hanno voluto accompagnare a casa e li hanno scoperto tutto. Hanno arrestato i miei genitori e i bulli della mia scuola che ogni giorno mi picchiavano ed io sono rimasto solo. Nessuno dei miei parenti mi voleva con se è l'unica scelta che aveva a disposizione il tribunale era mandarmi in un orfanotrofio." Finì il suo discorso con il viso completamente bagnato. "Io.." boccheggiai. "I miei genitori mi hanno abbandonato semplicemente. Volevano trasferirsi a New York senza nessun peso" dissi abbassando lo sguardo e sorridendo amaramente. "Avevo quattro anni quando mi lasciarono qui." Gli dissi. Lui mi guardò e poi appoggió la testa sulla mia spalla. "Ti prego non giudicarmi per quello che sono" sussurró mentre il labbro inferiore gli tremava senza freno. Risi e lui mi guardò torvo: "cosa ridi?" "Sono gay anche io"

Orfanotrofio.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora