Si bloccò.
Lui è qui. Lui chi?
Instintivamente, si fiondó a terra: forse dare nell'occhio il meno possibile era la soluzione più saggia. Lasciò cadere il suo corpo sul tappeto di rami e foglie, tenendo il mento alzato e lo sguardo fisso su quei tronchi che nascondevano ciò da cui Stiles sarebbe scappato, proteggendolo fino al momento in cui si sarebbe rivelato.
Le mani tese in avanti, pronte ad aiutare il corpo ad alzarsi qualora avesse dovuto fuggire.
Le iridi si fecero più acute, il battito cardiaco aumentò, la gola esitava a ingoiare quel nodo che si era creato dentro di lui. Il sangue raggeló, i muscoli si contrassero.
Non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo, e nemmeno sapeva se sarebbe davvero successo qualcosa o se fosse stato così stupido da cadere in una trappola. Una trappola tesa da chi? Non avrebbe saputo spiegare nemmeno questo.
Giró il volto, facendo scontrare la tempia con le radici dell'albero su cui si era adagiato. Continuò ad analizzare quella radura, tremando. Forse avere paura era stupido
Forse avere paura del Niente era stupido.
Forse il Niente che lo circondava, tenendolo soggiogato davanti ai suoi occchi, si stava preparando ad attaccare.Ed ecco che il Niente arrivò.
Un ramo spezzato fu tutto quello che sentì.
Due occhi luminescenti fu tutto quello che vide.
Scappare fu l'unica cosa che fece.
Uno, due, tre passi.
Uno, due, tre secondi rimasti.
Corse, corse senza sosta, falcando il terreno, lasciandosi dietro la paura ed essendone soggiogato fino alla gola al tempo stesso.
Inciampó, per poi rialzarsi. I rami degli alberi gli schiaffeggiarono il viso, incidendolo e rigandolo di sangue.
Uno, due, tre passi.
Uno, due secondi rimasti.
Corse, corse senza fiato. Corse per non essere più in pericolo, corse cercando di prendere più distanza possibile dall'Ignoto.
Sapeva di star scappando, ma non riuscì a capire da chi, o da cosa, stesse fuggendo.
Non ne ebbe il tempo, nè ebbe il fegato per girarsi ed affrontare ciò che gli stava a pochi metri, ciò che lo stava rincorrendo da secondi che sembravano secoli. Ciò che, data la velocità, la pesantezza del passo e i latrati con cui accompagnava la corsa omicida, aveva tutta l'aria tranne che di essere un qualcosa di umano.
Uno, due, tre passi.
Un secondo rimasto.
Cadde, cadde a terra senza più avere la forza di rimettersi in piedi.
Il cuore scandiva ogni movimento. Era palpitante, in preda al panico, consapevole che di lì a poco avrebbe cessato di battere, una volta per tutte. Sentiva solo la presenza dietro di sé, una presenza determinata a raggiungerlo.
Lo inseguiva, bruciando la terra bagnata col suo passo felpato, violento, assassino.
Lo inseguiva, con una tale ferocia e desiderio come se il suo unico scopo fosse appropriarsi di quel corpo.
Lo inseguiva, facendone un'analisi attraverso quei suoi occhi ridotti a fessure, accecati dall'odore che quel ragazzo emanava.
Uno, due, tre passi.
Nessun secondo rimasto.
Si accasció a terra: stremato, fradicio, ancora vivo per miracolo. Tastó la terra bagnata con le mani, allungando le dita, arrancando e cercando un appiglio a cui aggrapparsi.
Appiglio che non trovò.
L'altro lo raggiunse, afferrandolo con la sinistra e mostrandosi per quello che era.
Una presa ferma, violenta, assassina lo stringeva.
Una presa ferma, violenta, assassina lo teneva in pugno, dominandolo.
Lo girò, sbattendolo contro il terreno bagnato, guardando per la prima volta in viso la sua preda.
Alzò l'arto destro, pronto a squarciare quella gola.
Allargó le fauci, pronto a mordere quel corpo.
Era invaso dal desiderio di ucciderlo. Sentì gli arti contrarsi, il sangue nero fluire nelle vene, i nervi tendersi, gli artigli farsi carnefici.
Poté avvertire il muscolo cardiaco dell'umano lacerarsi dalla paura, la mente offuscarsi, il corpo contorcersi implorando quell'animale di lasciare la presa e risparmiarlo.
Sentì quell'odore, l'odore di quel ragazzo farsi sempre più insistente. Più il suo battito accelerava, più diventava irresistibile.
Più aveva paura, più era desiderabile. Ne assaggió con l'olfatto il sapore, per poi trovarsi a pochi centimetri da lui non avendo nemmeno il tempo di rendersene conto.
Inarcó il dorso, drizzó la coda, ed ululó.
Fu un guaito di vittoria, di conquista, di una brama soddisfatta a pieno. Pieno come la Luna, che quella notte vibrava nell'aria: bianca, possente, unico faro delle creature su cui regnava sovrana non appena il Sole le lasciava il posto.
L'arto teso in aria, carnefice.
La vista focalizzata su quel ragazzo, vittima.
Nessun Licantropo si priverebbe mai di una preda, nessun Licantropo sarebbe mai in grado di connettere la propria Anima, di pietra, con i Muscoli, per impedire loro di compiere efferatezze, nemmeno se lo volesse con tutte le sue forze.
È l'Istinto a guidarli, è l'Istinto a far sì che si comportino come bestie nelle notti di luna piena, a far sì che uccidano ancor prima di sentirne il bisogno, ancor prima di scegliere razionalmente le loro vittime.
Non c'è Ragione, non c'è Senno.
È l'Istinto a renderli così vulnerabili, così privi di coscienza: un ammasso di carne e manto bruno, disposto a tutto.
Ma quella notte, una vita fu risparmiata.
Quella notte, qualcosa si interpose all'Istinto.
Quella notte, qualcosa di meno animalesco, qualcosa di più umano, salvò Stiles Stilinski dal morso di Derek Hale.
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"Death Love Birth", di Sarah Jane
FanfictionQuella notte, qualcosa si interpose all'Istinto. Quella notte, qualcosa di meno animalesco, qualcosa di più umano, salvò Stiles Stilinski dal morso di Derek Hale.