Capitolo 6

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- Dai su! - ripeté Justin con tono lamentoso per quella che doveva essere la quindicesima volta. - Scendi prima che mi crescano i funghi sotto i piedi! -

- No! - gli urlai di rimando... per l'ennesima volta. - Non voglio diventare una frittella! -

Lui alzò gli occhi al cielo, evidentemente spazientito. - Ti prendo io - mi assicurò allargando maggiormente le braccia, guardando le mie gambe che oscillavano pericolosamente oltre la ringhiera della terrazza di camera mia.

Scossi di nuovo la testa, mordendomi il labbro e cercando a tutti i costi di non guardare il vuoto che c'era sotto di me. - Scordatelo, Justin - le mie parole uscirono in un soffio a causa della paura che l'idea di saltare dalla bellezza di almeno cinque metri d'altezza metteva.

Sbuffò di nuovo. - Dai, Little Red. Ci sono io - ripeté, cercando di imprimere nella sua voce, che devo dire era molto rassicurante, quanta più decisione possibile.

- Non voglio morire - piagnucolai, risultando assolutamente ridicola ai suoi occhi. - Sono ancora troppo giovane e sai che... - non riuscii a finire la frase che urlai a pieni polmoni perché persi l'equilibrio.

Mi sembrò che il tempo iniziasse a scorrere più lentamente, tanto per darmi il tempo per prepararmi psicologicamente a quello che sarebbe successo da lì a poco. Oppure per farmi un dispetto e lasciarmi piangere addosso e pensare al sicuro dolore che avrei provato fra una manciata di secondi.

Ma tutto questo non successe. Al posto del duro prato d'erba del mio giardino che pur essendo morbido a vedere mi avrebbe come minimo mandato in coma, sentii quelle che dovevano essere le forti e calde braccia di Justin che, grazie al cielo, mi tennero saldamente.

Con ancora il fiatone alzai lo sguardo per incontrare quello di Justin, che mi fissava soddisfatto.

- Visto, Little Red? - mi sorrise con quella sua maledetta faccia compiaciuta. - Ti ho presa. Come ti avevo detto -

Questa volta sbuffai io e gli tirai una gomitata per allontanarlo. Mi divincolai per scendere dalle sue braccia che mi tenevano ancora strette, ma non me lo permise. Gli lanciai un'occhiataccia e incrociai le braccia al petto.

- Antipatico - borbottai, voltando la testa dalla parte opposta alla sua.

Sì, ero una bambina.

Lo sentii ridacchiare sommessamente.

Incominciò a camminare verso la sua macchina, mentre io mi domandavo se mia mamma mi avesse sentito. La mia camera era nella parte più isolata della casa mentre la camera di mia madre era praticamente dall'altra parte. Ma lei è in grado di percepire anche gli ultrasuoni, quindi era giusto preoccuparsi.

Me la immaginai già al mio ritorno, con le braccia incrociate mentre mi fulminava con lo sguardo. Da brivido.

Appena fummo davanti alla sua Ferrari mi lasciò andare ed io fui immensamente felice di riavere i piedi per terra.

Mi tenne di nuovo la porta aperta e non potei fare a meno di alzare gli occhi al cielo.

- Grazie - borbottai imbarazzata.

Mi sorrise, cercando palesemente di nascondere la sua soddisfazione per avermi messo in imbarazzo.

Fece una corsetta verso il lato del guidatore, dopo avermi chiuso la portiera.

Accese la macchina che subito prese vita.

Frugò con una mano dentro la tasca dei jeans alla ricerca di chissà cosa mentre con l'altra teneva saldo il volante.

Tirò fuori quello che doveva essere un pacchetto di sigarette.

Quasi vomitai alla sola vista e inorridii.

Fece per accenderne una, ma velocemente gliela presi dalle mani.

Mi guardò con un punto interrogativo grosso come una casa in faccia.

- Niente sigarette qui - lo rimproverai gettandola dentro il pacchetto e buttandolo poi dentro dentro il cruscotto.

Alzò un sopracciglio, e non riuscii a capire se fosse irritato dalla mia reazione. - La macchina è mia - mi fece presente tenendo sempre d'occhio la strada.

Si allungò verso le sue sigarette, ma gli schiaffeggiai veloce la mano per allontanarla.

- Sì, ma ci sono anch'io, quindi niente sigarette -

Lo so, potevo sembrare una bambina viziata di cinque anni dal mio comportamento, ma odiavo qualunque cosa che aveva a che fare con tabacco, alcool e droga. Ma questo non faceva di me una santa, ovviamente.

Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo, finalmente rinunciando alle sue sigarette.

Sospirai felicemente e mi rimisi al mio posto.

- Allora... - incominciai io per spezzare quel silenzio imbarazzante e scomodo per entrambi. - ... come fai ad avere i Cocoa Puffs? Sono introvabili! -

Sembrava che il mio argomento preferito fossero diventati i cereali (tra l'altro i più buoni al mondo), ma non era così, eh.

Alzò di nuovo gli occhi al cielo, questa volta scherzosamente. - Non te lo dico - cantilenò lui ridacchiando. - Poi non posso più ricattarti - aggiunse vedendo la mia faccia imbronciata.

Incrociai le braccia al petto con più enfasi. - Ingiustizia - dissi facendolo ridere.

Rideva spesso, quel ragazzo. Come faceva ad essere così spensierato? Si vedeva che non aveva mai avuto periodi difficili nei suoi sedici, diciassette o qualunque fossero i suoi anni di vita.

Mi persi di nuovo nei miei pensieri, mentre lui parcheggiava nel suo garage.

Alzai lo sguardo e quasi non rimasi a bocca aperta (mi controllai).

Be', e lui che era sorpreso delle dimensioni della mia casa. Questa sarà stata almeno tre volte la mia!

Mi aprì lo sportello e aspettò che scendessi, prima di richiuderlo delicatamente.

Sollevai gli occhi al cielo. - Ecco perché mi apri sempre tu la porta! - feci finta di essere sorpresa. - Hai paura che ti possa graffiare la tua adorata macchina? - risi e si unì anche lui.

- Beccato - sospirò, tenendo il gioco e asciugandosi una lacrima immaginaria.

Scoppiammo di nuovo in una risata.

Non era poi così terribile, alla fine. O almeno, non come me lo aspettavo. Forse era anche perché ero abituata a pensare sempre al peggio.

Entrammo dalla porta sul retro che portava direttamente ad un enorme salone. Uno dei tanti, immaginai.

Ma non mi fece ammirare troppo a lungo, perché fui costretta a corrergli dietro per mantenere il suo passo.

Mentre camminavamo per i lunghi corridoi della sua gigantesca casa, mi guardavo freneticamente intorno, cercando di registrare quanti più dettagli possibili.

Si fermò all'improvviso e quasi non gli andai addosso.

Non potei seguirlo dentro la stanza, che non avevo ancora capito quale fosse, perché due secondi dopo ritornò con tre scatole.

Me le mise tra le braccia, probabilmente aspettando la mia reazione, che presto arrivò.

Immediatamente mi misi a saltellare come una cretina, battendo le mani, attenta a non far cadere le confezioni dei cereali.

- Grazie, grazie, grazie! - gli saltai addosso, per chissà quale assurda ragione.

Proprio no: non era poi così male. Solo per i miei cereali, ovviamente.

Stay With Me ❀ jdb & agbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora