Sfide

876 78 22
                                    

Come avevo deciso giorni prima, alle diciannove e trenta minuti feci sistemare tutti in salone e accesi la tv, sul canale dove trasmettevano One Piece. Ovviamente, solo dopo aver preso le dovute precauzioni. Avevo legato Rufy a Zoro e Sanji – con loro somma gioia – con le famose fasce per capelli, onde evitare che si precipitasse sulla tv e me la distruggesse. Figurarsi se poteva stare fermo mentre rivedeva le sue azioni su uno schermo. Infatti, come previsto quando cominciò il programma si agitò come una bestia. Anche gli altri in realtà erano stupiti.
«Oh! Me lo ricordo! È quando siamo andati a salvare Robin!» esclamò cappello di paglia tutto esagitato.
«Quella giraffa di merda mi ha dato del filo da torcere» sorrise Zoro.
«Sì, mi ricordo! Ci siamo ritrovati ammanettati all'improvviso, che tortura! Pensavo che sarei morto affettato...» disse Usop.
Sanji sbuffò. «Come fai a ricordartelo se non c'eri?»
«Infatti Usop, guarda che tu non c'eri!» confermò il loro capitano.
«Ah già...devo essermi confuso...» si grattò la testa, imbarazzato. Scossi la testa. Il cecchino era un bugiardo cronico che non sapeva dire le bugie, ma per fortuna Rufy era ingenuo.
«Wow, fa effetto vedervi rimpiccioliti su uno schermo» era stato Marco a parlare. Giustamente lui non poteva vedersi perché ancora non aveva fatto la sua apparizione.
«Avanti tizio col piccione, fatti sotto! Non ho paura di te!» il moro sbraitava come non mai e continuò così per il resto della visione. Sperai vivamente che non si liberasse dalle "manette" fatte con le fasce per capelli ed intimai il biondo – decisamente più affidabile del verde – di supervisionare il suo capitano.
«Nami-san! Robin-chan! Sono bellissime anche sullo schermo!» affermò innamorato Sanji «chissà che staranno facendo...spero che siano al sicuro!» continuò poi, pensieroso.
Potevo capirlo. Ormai era passata già una settimana dal loro arrivo e qualcuno di loro cominciava a sentire la mancanza di casa. Però per ora le cose procedevano bene; si erano ambientati a meraviglia nella nuova casa e anche in città non se la cavavano affatto male. Io, sotto le pressioni, o meglio, le minacce del chirurgo continuavo a fare ricerche. Ancora non ero riuscita a trovare nulla di consistente, ma ero fiduciosa. E se anche non fosse stato avrei comunque trovato un modo per farli ritornare nel loro mondo, gliel'avevo promesso e loro si fidavano. Glielo dovevo.
Una volta nell'appartamento i ragazzi avevano deciso che i letti li avrebbero presi Zoro – che l'aveva prenotato fin da subito – e Law. A Marco avevano lasciato il divano e tutti gli altri avrebbero dormito per terra, sui materassi. Io passavo a trovarli appena potevo, generalmente quando i miei – che erano ormai tornati dall'Expo – non c'erano, per evitare domande inquisitorie. Di solito mi intrattenevo dopo pranzo e dopo cena. Loro venivano prima di cena per vedere gli episodi di One Piece, mentre la notte guardavamo le stelle in cerca della Seconda Stella a Destra, ma per ora erano state notti vane. La mattina dormivo, quei pirati mi stancavano più di quanto immaginassi. La sera si faceva sempre baldoria e tornavo sempre tardi. Anche se il tragitto dal loro appartamento a casa mia era relativamente breve, mi facevo sempre riaccompagnare, non si sapeva mai cosa poteva succedere alle due di mattina. Una cosa era certa però, quando era ora di andare mi veniva sempre una leggera malinconia. Con loro stavo bene, mi sentivo a casa e apprezzata, qualsiasi cosa facessi. Stavo persino trascurando i miei amici per passare più tempo possibile con quella banda di scalmanati, del resto non sapevo per quanto tempo ancora sarebbero stati con me e dovevo approfittarne. La cosa frustrante era che non potevo parlarne a nessuno e ormai avevo finito le scuse da propinare a tutti quelli che mi chiedevano di vederci. Ero arrivata a dire che dovevo badare al cane della vicina di casa di mia nonna, il che mi rendeva ridicola.

«Cami lo mangi quello?» chiese Rufy con la bocca piena.
«Quello cosa?» feci io, che avevo il piatto pieno di roba. Mi avevano invitato a cena e io non potevo di certo rifiutare. Sanji era un ottimo cuoco e ogni volta che assaggiavo una sua pietanza era una sensazione stupenda, le mie papille gustative visitavano la terra promessa.
«Quello!» disse indicando l'intero piatto.
«Baka! Non importunare Cami mentre mangia!» il biondo gli sferrò un calcio in piena faccia, che però non sortì l'effetto sperato.
«Beh, qualcosa dovrò pur mangiare...però se vuoi ti lascio i broccoli» quei cosi non li potevo nemmeno vedere. Neanche se a prepararli era il mio cuoco preferito. In realtà sospettavo che nemmeno a Rufy piacessero tanto, ma lui era onnivoro. Quello che era commestibile si poteva star certi che sarebbe finito nel suo stomaco.
«Cami-chan...non ti piace quello che ho preparato?» il biondo fece una faccia affranta
«No, no. È tutto buonissimo! Però i broccoli non mi piacciono tanto...» mi giustificai. In realtà dire che non mi piacevano i broccoli era un'eresia. Io li odiavo. Con tutto il cuore. La sola vista di quegli affari mi faceva vomitare. Avrei mangiato di tutto, ma non i broccoli.
«Perdonami! Non li preparerò più allora!» esclamò.
«Ehi stupido cuoco, chi ti ha detto di non prepararli più!?» tuonò Zoro.
Stavo per dire "Infatti, solo perché a me non piacciono non vuol dire che devi smettere di farli" ma fui preceduta, tanto per cambiare.
«Sarà perché mi ricordano la tua stupida testa verde!?»
«A chi hai detto stupida testa verde!?»
Mi misi una mano sulla fronte e chiusi gli occhi. Quell'odissea non avrebbe mai avuto fine. MAI. Abbassai la testa sul piatto, che con mia grande sorpresa era diventato vuoto!
«Ehi, ma ch...Rufy!» spostai lo sguardo sul moro che si stava ingozzando come se non mangiasse da giorni. Aveva la bocca così piena che temevo potesse esplodere da un momento all'altro, lasciandoci ricoperti di poltiglia. Ma lui era Monkey D. Rufy, il ragazzo di gomma, quindi ingoiò direttamente il tutto e sorrise pure. Strinsi i pugni, desiderosa di dargli un cazzotto ma mi trattenni e distesi le dita, contro la mia volontà. Se mi aveva rubato il cibo da sotto gli occhi in parte era colpa mia, dovevo fare come Usop, che circondava con le braccia il suo piatto e lo sorvegliava come un secondino tiene d'occhio i criminali in una prigione di massima sicurezza.
«Non mi stupisco» mi sussurrò Usop avvicinando la faccia alla mia. Per poco non rischiai di rimanere accecata dal suo naso, infatti mi scostai leggermente. «Te l'avevo detto di fare come me!» si vantò-
«Non si è nemmeno scusato» gli sussurrai a mia volta.
«Certo. Perché secondo lui non è sbagliato. Niente è sbagliato se si tratta di cibo» mi spiegò, con l'aria di chi la sapeva lunga.
«Mi sembra giusto...» feci poco convinta «ma stai pur certo che non ricapiterà» proclamai fiera.
Annuì serio e io assottigliai lo sguardo verso quella sottospecie di ladro ingurgita-tutto.
«Hai trovato qualcosa di utile oggi?» mi chiese il chirurgo sempre con quell'aria imperturbabile, una volta che le acque si furono calmate.
«No» scossi la testa. Stavo anche per dire che mi dispiaceva ma ci ripensai dopo che mi disse che non ero in grado nemmeno di trovare delle semplici informazioni. Volevo insultarlo pesantemente e dirgli che poteva trovarsele lui le informazioni che tanto agognava e che poteva pure mettersele dove non batteva il sole, ma decisi di fare il suo stesso gioco. Del resto il fuoco non si spegne con il fuoco ma con l'acqua, giusto?
Ghignai prepotentemente e lentamente presi il cestino dove stavano le pagnotte. Glielo misi praticamente sotto il naso «Pane, Law?» chiesi e alzai un sopracciglio, trionfante. Per un nanosecondo fece quella che mi sembrò una smorfia schifata, prima di ritornare imperscrutabile come sempre.
«Broccoli, Camilla?» chiese dopo un po'. Quel maledetto. Decisi che non avrei perso la sfida, se così si poteva chiamare. Inspirai a fondo e poi sorrisi amabilmente.
«Ma certo, perché no?»
Ne prese un po' dal suo piatto e li mise nel mio. Ghignò in attesa che li mangiassi o che rinunciassi. Li contai. Cinque. Erano cinque schifosi broccoli. Ce la potevo fare. Feci un respiro profondo e presi in mano la forchetta. La strinsi talmente forte che a momenti si sarebbe piegata.
«Fossi in te ci andrei cauta» mi avvisò il chirurgo «sai, mi piace mangiare piccante» sogghignò.
«Non lo fare Cami» mi consigliò Usop, e gli avrei anche dato ragione se non fossi stata testarda come un mulo.
«Adoro il cibo piccante» feci l'occhiolino a Traffy, che non smise di sogghignare soddisfatto. Infilzai con decisione un broccolo e me lo portai alla bocca. Dopo averlo masticato per tre ore, finalmente mi decisi ad ingoiare. "Altri quattro" pensai "soltanto altri quattro. Poi potrò azzittire quello stronzo". Arrivai al terzo quasi con le lacrime agli occhi. Non soltanto mi faceva schifo, ma era anche piccantissimo!
«Mh, che buono» dissi e a quel punto persino il cuoco e lo spadaccino smisero di litigare e si voltarono a guardarmi. Mangiai gli altri due per miracolo, resistendo ai conati di vomito che mi stavano venendo. Quando il mio piatto fu di nuovo vuoto bevvi tutta l'acqua che riuscii a trovare e quando ebbi prosciugato la bottiglia d'acqua mi versai del vino. Storsi la testa «Rassegnati Traffy. Ho vinto» alzai le spalle quasi a scusarmi della mia "vittoria".
«Eh si, amico. Ti ha fregato» constatò Zoro.
«In pieno» confermò Sanji.
«Già» affermò Usop.
«Shishishi» rise Rufy «sei forte Cami».
Mai mi ero sentita più fiera che in quel momento. Insomma, erano solo stupidi broccoli, non avevo fatto niente di che in confronto a tutte le imprese che avevano compiuto loro, ma se Monkey D. Rufy, nonché il futuro re dei pirati mi aveva detto che ero forte, qualcosa doveva pur significare, no? E poi avevo appena battuto Trafalgar Law al suo stesso gioco e avevo avuto l'appoggio degli altri pirati.
«Domani cerca meglio.» si limitò a dire il medicastro, infastidito.
«Senti, io non ti conosco. So chi sei e so che sei temuto e sicuramente rispettato e che il tuo nome echeggia per tutti i mari, ma dovresti rilassarti un po'. Siamo tutti nella stessa situazione eppure non possiamo farci niente. Anche io odio essere impotente, ma che senso ha preoccuparsi?» fece tranquillo Marco. Dio, come lo adoravo. Sapeva essere schietto e conciso, ma gentile. Era simile a Ace in questo. Allargai le braccia come se mi fosse appena apparso un Angelo davanti agli occhi.
«Grazie di esistere, Marco!» esclamai. Lui in risposta mi fece l'occhiolino.
Law alzò gli occhi al cielo e per il resto della sera prese possesso della bottiglia di vino. La finì in quattro e quattr'otto e mentre noi eravamo impegnati in un ballo di gruppo decisamente scoordinato, lui si rinchiuse in camera da letto. Qualche minuto dopo decidemmo di uscire nel terrazzino a guardare le stelle, tante le volte avessimo ritrovato la famosa Seconda Stella a Destra. Portammo i materassi fuori e li disponemmo uno affianco all'altro, in fila. Prima di sdraiarci andai a chiamare Traffy. Bussai, onde evitare malintesi. Ovviamente non ricevetti risposta, quindi entrai comunque ma mi fermai sull'uscio della porta. Era semi sdraiato sul letto, intento a leggere il giornale. Aveva gli occhiali da vista, i suoi occhiali squadrati che lo facevano sembrare un misterioso studente universitario e lo rendevano ancora più affascinante, se possibile.
«Ehi» iniziai cauta. Non rispose, ma io non demorsi «abbiamo deciso di osservare le stelle, per vedere se quella che vi ha portato qui c'è. Ti unisci a noi? Ci farebbero comodo un paio di occhi in più»
Ora, con quello sguardo gelido che si ritrovava, avrebbe anche potuto congelare tutti i corpi celesti e addio per sempre all'unica possibilità che avevano di ritornarsene a casa.
Ci mise un'eternità per rispondere. «Non appena ho finito di leggere questo articolo».
«D'accordo. Ti aspettiamo» gli dissi dolcemente, contenta che avesse deciso di partecipare a quella nostra iniziativa, che ero sicura che trovasse in parte stupida.
Uscii dalla stanza e mi richiusi la porta alle spalle. Chissà che articolo stesse leggendo e che cosa ci potesse essere scritto di più interessante dello stare in compagnia a guardare le stelle. Forse voleva solo prendersi un momento per sé. O magari aveva semplicemente il desiderio di informarsi su quello che succedeva nel mondo in cui era capitato, o come funzionasse. Ritornai dagli altri scuotendo la testa. Nessuno poteva capire quello che passava per la mente al Chirurgo della Morte.

Pochi minuti dopo, ci ritrovammo tutti e sette, stesi su tre miseri materassi, schiacciati come sardine, ad osservare l'immensità del cielo stellato di quella sera.  

Lost boys - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora