Mesiversario

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Finalmente, dopo tre giorni e due notti di prigionia, il Chirurgo della Morte aveva deciso che stavo bene e che potevo tornarmene a casa. Quando dicevo che avevo urgenza di tornare a casa per fare delle cose importanti, dicevo davvero. Perché quello era un giorno importante. Era esattamente un mese che i ragazzi erano lì, con me. Era da un mese che li sopportavo e che loro sopportavano me. Era stato il mese più bello della mia vita,  e anche il più assurdo. Tra desideri, prelibatezze, chirurghi sadici, insolazioni, incubi, amiche impiccione e bollette, non avevo avuto pace. Ma la verità era che adoravo quei pirati da strapazzo, adoravo stare in loro compagnia e adoravo anche la me stessa che ero quando stavo con loro. Ero una persona diversa da quella che ero un mese prima, prima di conoscerli. Ero allegra, felice e, come diceva mia mamma, con gli occhi luccicanti di voglia di vivere. Non sapevo quando se ne sarebbero andati, ma sapevo che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato, ed io speravo con tutta me stessa che quando fosse successo, sarei rimasta quella che ero mentre c'erano loro. Non volevo più essere la cupa e triste Camilla a cui pesava alzarsi dal letto la mattina. Volevo essere la Camilla che non vedeva l'ora di alzarsi dal letto per poter stare con i suoi amici pirati, anche se non ci sarebbero più stati.
Tra due settimane sarebbe ricominciata la scuola ed io potevo solo augurarmi che mi sarei goduta questo ultimo anno, come non avevo fatto con i precedenti quattro. Speravo di non ritornare a sentirmi di nuovo in gabbia, perché avevo imparato a sentirmi libera. E una volta che si assaggia la libertà, è difficile tornare indietro.
Ero un uccellino che aveva appreso come volare, e avevo volato anche letteralmente, quindi dovevo "solo" spiccare il volo e poi continuare a volare. Continuare a sorridere. E me lo imposi, imposi a me stessa di essere felice. Di godermi la vita. E mi venne da ridere mentre avevo le mani immerse nell'impasto di quella che sarebbe diventata una torta. Quella era la prima e ultima volta che osavo cimentarmi in cucina, ma almeno quello lo dovevo ai ragazzi. Era colpa mia se erano stati catapultati nel mio mondo. Era colpa mia se erano bloccati in un universo a cui non appartenevano. Tuttavia, durante la realizzazione della mia opera d'arte culinaria, non pensai a quello. Non pensai a chi attribuire la colpa. Pensai solo che ero molto contenta che loro fossero lì con me e che tra tutti la Stella avesse deciso di realizzare proprio i miei desideri.
Aggiunsi l'ultimo ingrediente all'impasto e, dopo aver mescolato, infornai, misi il timer ed uscii. L'idea che avrei potuto bruciare la cucina mi preoccupava parecchio, ma si trattava di fare compere veloci al supermercato sotto casa. Per fortuna ero stata previdente e avevo chiesto alla mia migliore amica, maggiorenne, di prestarmi la sua tessera sanitaria. Mi fecero un po' di storie perché volevano un documento con la foto, ma alla fine mi lasciarono comprare lo spumante e il liquore.
Salii appena in tempo per togliere la torta dal forno. Dovevo ammettere che era venuta proprio bene. Aspettai che si raffreddasse, la glassai ed uscii di nuovo per ridare il documento alla mia migliore amica, in attesa che la glassa sul dolce si raffreddasse.

Il pomeriggio, torta e spumante in spalla, ero da loro.
«Cami, ciao!» una voce mi richiamò mentre tentavo di aprire il portone del palazzo. Non era facile, con una mano intenta a sorreggere la torta e le bottiglie sotto l'altro braccio.
Mi rigirai, già consapevole di chi fosse il proprietario di quella voce.
«Sara!» esclamai fingendomi sorpresa. In realtà, visto che lei abitava lì, quasi mi aspettavo che ci incontrassimo. Soprattutto perché di solito mi imbattevo in lei proprio nelle situazioni di questo tipo.
«Ultimamente ci incontriamo spesso, eh?» rimarcò lei.
«Eh sì» constatai «Sono venuta a portare ai miei amici una torta fatta da me» confessai poi, piuttosto distrattamente. La chiave, nella serratura, non voleva saperne di girare.
«Tu? Che fai una torta?» fece, stupita.
«Già. I miracoli accadono, a quanto pare» dissi, girandomi verso di lei «Ti dispiacerebbe darmi una mano?» le chiesi subito dopo, leggermente infastidita. Se ne stava da una parte, con il suo mazzo di chiavi in mano, a non fare niente, nonostante fosse evidente che avessi bisogno di aiuto.
A quanto pareva, il mio appello funzionò, perché senza perdere tempo scattò in avanti e provò ad aprire la porta del palazzo.
«Il segreto è applicare un po' di pressione mentre la chiave gira nella toppa» mi fece sapere, mentre finalmente il portone si apriva. Non persi altro tempo e mi fiondai nell'androne, con torta e bottiglie al seguito.
 «Mi ha fatto piacere rivederti» affermò con un sorriso sincero. Un sorriso che mi era mancato molto e che non era affatto cambiato con il tempo. Era lo stesso di quando aveva cinque anni.
«Anche a me» la informai. Le sorrisi anche io ed annuii. Lei fece un rapido saluto con la mano e si avviò verso il primo piano. Poi, però, sembrò ripensarci, perché si fermò e si sporse verso di me.
«Non so chi siano questi tuoi amici, ma tieniteli stretti! Se sono riusciti a farti fare una torta devono essere davvero speciali!» scherzò, appena prima di sparire su per le scale.
Io ci risi su, ma in cuor mio sapevo che Rufy, Usop, Sanji, Law, Zoro e Marco erano davvero speciali e che me li sarei tenuti stretti con il pensiero e avrei seguito sempre le loro avventure. In qualche modo, Sara riusciva sempre a dire la cosa giusta al momento giusto, sebbene la maggior parte delle volte lo facesse inconsapevolmente. Anche se adesso era quasi una donna, in lei c'era ancora la bambina di una volta, quella che guardava il mondo con occhi pieni di meraviglia e che un po' invidiavo. Ma proprio questo ci accomunava, da qualche parte in noi c'era ancora l'innocenza e lo stupore tipici di un bambino. Avevo imparato a riscoprirli, ma soprattutto, a riscoprirmi, con i pirati.

Aprii la porta e sorrisi, quasi involontariamente. Eccoli, i miei paladini.
Mi salutarono calorosamente e Rufy mi fu davanti in men che non si dica, curioso di sapere cosa nascondessi sotto al contenitore di carta.
«Cami, mia dea, mi sei mancata! Che cosa ci portano le tue dolci mani?» il cuoco mi venne incontro con aria sognante.
«Sanji, tesoro, anche tu» scherzai, facendolo andare in brodo di giuggiole per qualche secondo «Questa è una torta, fatta da me» gli spiegai una volta che si fu ripreso.
«Oh, le tue mani gentili e perfette avranno fatto sicuramente una torta buonissima!» considerò allegramente.
«Io non la mangio» fece Law, simpatico come al solito.
«Non è che la torta è un pretesto per avvelenarci vero?» chiese sospettoso Usop.
Roteai gli occhi e scossi la testa. Non c'era speranza per quei due. Uno era più nichilista di Nietzsche e l'altro era più pessimista di Leopardi. E ce ne voleva, per superarli.
«Non lo escludo, viste le mie scarse capacità culinarie. Tuttavia questa volta mi sono limitata a metterci gli ingredienti della ricetta» tentai di rassicurarlo, accompagnandomi con una blanda alzata di spalle «Dobbiamo festeggiare!»
«Perché?» domandò Rufy, smanioso di assaggiare il dolce.
«Perché è il nostro mesiversario!» esclamai, avvampando subito dopo «Cioè, il vostro...comunque oggi è esattamente un mese che siete qui» mi corressi, cercando di non sembrare troppo impacciata.
«Non c'è niente da festeggiare» dichiarò il chirurgo, gelido.
«Hai portato da bere?» domandò una voce roca. Spostai lo sguardo in direzione del divano.
«Sì, Zoro, tranquillo» gli sorrisi, e poi con la faccia di chi la sapeva lunga mi avvicinai al suo orecchio «Ho anche portato una bottiglia di liquore tutta per te» gli sussurrai con un pizzico di malizia. In tutta risposta ghignò, ed io gliela consegnai, stando attenta a non farmi scoprire dagli altri. Inutile dire che al verde non fregò un accidente di essere visto dal resto del gruppo, non per niente la aprì ed iniziò a scolarsela appena un paio di secondi dopo.

«Bene, allora che stiamo aspettando?» chiese Marco, che nel frattempo mi stava aiutando a togliere la torta dalla confezione. Sanji era andato a prendere piatti, bicchieri e posate.
«Aspetta Rufy!» lo ammonii vedendo che si stava per avventare su quel povero dolce indifeso «Prima ci devo mettere le candeline».
Ne misi una al centro che aveva la forma del numero uno. Tutt'intorno ne posizionai sette. Feci la foto con il telefono, ignorando Usop che mi chiedeva perché fossero rosa e sorridendo quando il suo capitano si stupì che il mio cellulare fosse multiuso. Un giorno, forse, gli avrei spiegato cosa era realmente in grado di fare il mio telefono. Ma non quel giorno. Quel giorno volevo solo godermi il tempo che mi era stato concesso con loro.
Versammo lo spumante negli appositi bicchieri e la piccola festa poté cominciare.
Dovevo dire che se c'era una cosa che quei pirati sapevano fare bene, era proprio festeggiare. La torta finì in pochi minuti e così anche lo spumante. Per tutto il pomeriggio ridemmo, scherzammo e ci raccontammo aneddoti. Il momento più bello fu quando il cuoco mi chiese la ricetta del dolce. Lui, il miglior cuoco dei sette mari, che chiedeva a me la ricetta di qualcosa! Mi immaginai come potesse venire buona cucinata da lui, e mi venne l'acquolina in bocca al solo pensiero. Anche Cappello di Paglia e il cecchino si complimentarono con me. A quanto pareva non ero poi così tanto male come pasticcera.

«Dato che stasera i miei genitori non ci sono, siete tutti ospiti da me. Devo farvi vedere una cosa» annunciai ad un certo punto, mentre mi versavo nel bicchiere l'ultimissimo sorso di spumante rimasto.
«Spero che sia la Stella» commentò il medicastro, sempre in prima linea quando si trattava di rovinare l'allegria altrui.
«In un certo senso, sì» spostai la testa di lato e ci riflettei, per poi scoppiare a ridere.
«Ok... io direi che per oggi può bastare con l'alcol» constatò Sanji, che mi tolse delicatamente la bottiglia dalle mani e la prese sotto custodia.
«Ehi!» protestai io, nonostante il piccolo fiasco fosse quasi vuoto. In realtà aveva ragione. Poco ci mancava che mi mettessi a ballare sopra il tavolo. Ma non era l'alcol a farmi agire così, era la gioia e la spensieratezza che mi trasmettevano loro. Certo, l'alcol dava il suo contributo, non ero mai stata una gran bevitrice e non avevo mai retto granché nulla di alcolico, ma pazienza. Non sarebbe stato quel goccino in più a farmi ubriacare. Perché già ero ubriaca, ero ubriaca di vita, come tutti loro. Tranne forse il chirurgo, che, come suggeriva il suo soprannome, preferiva la morte. Se solo avessi avuto un paio di settimane in più, ero sicura che sarei riuscita a convertire anche lui al "culto della vita". Law era un osso duro, ma con Rufy, prima o poi, cedevano tutti.

Verso le sette di sera ci incamminammo compatti verso casa mia. Compatti per modo di dire, visto che Zoro continuava a sbagliare strada. Come fosse possibile non ne avevo idea, visto che bastava andare dritti, e solo durante l'ultimo tratto girare verso le scale. Forse sarebbe stato meglio legarlo, come avevo fatto la prima volta.
Appena arrivati all'appartamento, tirai fuori, da un mucchio di altri fogli, il foglietto di carta della ricetta della torta. La trascrissi per Sanji e gliela consegnai. Lasciai quest'ultimo ai fornelli e gli altri cinque sul divano prima di congedarmi ed andare a cercare la scatola magica. Quando la trovai, ghignai pericolosamente. Tornai dai ragazzi e sfoderai la mia arma segreta, che sarebbe stata parte dell'intrattenimento di quella sera.
«Ta da!» la presentai come fanno le ragazze del wrestling che girano per il ring con i cartelli in mano.
«Che roba è?» chiese Usop, un po' perplesso.
«Twister!» feci io, eccitata all'idea di giocarci. Mi guardarono ancora più perplessi ed io spiegai loro per filo e per segno in cosa consisteva. Law si rifiutò di giocare, Sanji declinò gentilmente l'invito, Marco si offrì per girare la freccia del tabellone, Rufy e Usop vollero sperimentare il gioco in prima linea e Zoro non si espresse. Alla fine lo costrinsi a giocare inventandogli che sarebbe stato un ottimo allenamento per la sua flessibilità.
«Ehi, Rufy, sposta quel piede!» inveì il cecchino.
«Sposta tu il naso Usop, mi stai trafiggendo!» intervenni io.
«Non è colpa mia Cami. C'è Zoro, non posso andare più in là!» si giustificò il moro dal naso lungo.
«Adesso basta! Ma che razza di allenamento è questo!? Io me ne vado» annunciò Zoro, infastidito.
Lo spadaccino, preso dal nervoso, si sgrovigliò dalla sua posizione e se andò, probabilmente in cucina per vedere se c'era dell'alcol. Ancora non aveva capito che tutto l'alcol lo tenevamo chiuso nella credenza in sala da pranzo. Ma del resto, era già tanto che riuscisse a trovare la cucina al primo colpo.
«Cami: mano destra sul rosso. Rufy: piede destro sul giallo. Usop: piede sinistro sul verde» Marco ci comunicò le rispettive mosse che avremmo dovuto fare.
Come degli idioti, ci muovemmo tutti insieme. Come degli idioti, ci scontrammo. E come degli idioti, cademmo tutti e tre per terra. Era inevitabile che accadesse, data la situazione. Per fortuna atterrai sul cecchino – che si lamentò un po' – e non mi feci niente. Però, risi insieme a Rufy. Il gioco gli era piaciuto particolarmente, anche perché se non piaceva a lui, che era di gomma, non sapevo a chi poteva piacere. La cosa che gli piacque particolarmente fu che nessuno aveva vinto o perso, eravamo tutti caduti nello stesso momento, tranne Zoro che, come aveva detto il suo capitano, era un "burbero incapace di prendersi una pausa e divertirsi". Non era l'unico per cui quella definizione calzasse a pennello. Mi ricordava vagamente un certo chirurgo dagli occhi di ghiaccio... Chissà perché.
Poco dopo, la cena fu pronta e dovemmo interrompere il gioco.

Una volta finito di mangiare, quando anche Sanji ebbe finito di lavare i piatti, ci sistemammo tutti sul divano come i vecchi tempi e, prima di accendere la tv, feci un discorso.
«Stasera voglio farvi vedere due dvd. Sono la prima e la seconda parte della stessa storia, sostanzialmente. Li guardavo sempre quando ero piccola e la storia che raccontano è la versione per bambini del motivo per cui siete qui. Non fatemi domande, quando lo vedrete, capirete» li squadrai tutti e più d'uno aveva la faccia confusa «O almeno, qualcuno di voi capirà... Ad ogni modo, godetevi i dvd» mi raccomandai, sperando che potessero davvero trovarli belli quanto avevo e avrei sempre fatto io.
Inserii il disco nel videoproiettore e spensi la luce, andandomi a sistemare al mio solito posto sul divano, che i pirati avevano lasciato appositamente vuoto. Aspettai che il primo dvd partisse, congiungendo le mani e posandoci sopra il mento. Già mi pregustavo le magnifiche emozioni che mi avrebbero suscitato quei film, come accadeva ogni volta.
Una prima immagine, accompagnata da un'inconfondibile musichetta di sottofondo, comparve sullo schermo. Sorrisi, un po' emozionata. Sarebbe iniziato a breve.

Lost boys - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora