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Non me lo feci ripetere due volte. Ci precipitammo o meglio, io mi precipitai, Law si limitò a starmi dietro infastidito da tutta quella fretta, dagli altri. Sapevo che in realtà aveva fretta di andare a mangiare anche lui. Quando finalmente arrivammo a casa, non c'era nessuno a tavola. Avevano tutti finito di mangiare, giustamente. Perfino l'insaziabile Rufy ora stava steso sul suo materasso in preda al sonno post pranzo. Sanji invece, lavava amabilmente le stoviglie, e quando ci sentì arrivare si girò, contento come non mai.
«Cami! Finalmente sei qui, mio dolce bocciolo di rosa!» esclamò allegro.
«Ce l'abbiamo fatta!» esultai, sorridendo ed alzando i pugni in aria.
«Dateci notizie» ci sollecitò calmo come al solito Marco, che fece capolino dal divano. In mano aveva un libro che era appartenuto a mio nonno. A quanto pareva in parecchi amavano leggere, là in mezzo.
«Prima nutriteci» supplicai in preda a un calo di pressione. Tra la fame, la corsa per arrivare lì e il caldo dovetti sedermi per riprendere le forze.
«Ma certo, mia regina!» gridò Sanji con voce troppo acuta per i gusti di almeno la metà di noi, togliendosi i guanti in gomma che ero riuscita a procurargli qualche giorno prima e prodigandosi a tirare fuori da un mobile che usava come scompartimento segreto anti-Rufy i piatti per me e Law. Mi avventai su quel cibo come un avvoltoio si avventa sulla carcassa di un animale morto. Da tutto quell'abbuffarmi rischiai di strozzarmi per ben due volte e per ben due volte, con mia somma soddisfazione, vidi Traffy che buttava un occhio su di me e mi faceva segno di prendere la bottiglia d'acqua lì vicino. Che finalmente avesse iniziato a non odiarmi?
«Ottimo pranzo, cuoco» constatò il chirurgo dopo che si fu elegantemente pulito la bocca con il tovagliolo.
«Cami, piace anche a te?» mi chiese speranzoso il biondo, che nel frattempo aveva finito di lavare i piatti e li stava riponendo con cura al loro posto. Non risposi. Ero troppo impegnata a gustarmi i manicaretti.
«Non so se sia la fame a parlare, ma questa volta Sanji ti sei proprio superato! Puoi scommetterci che mi piace!» biascicai con la bocca ancora non del tutto vuota mentre agguantavo un panino. Il cuoco gioì come un bambino davanti a un negozio di caramelle e si mise a volteggiare per tutta la stanza.
«Sono così affamata che potrei mangiarmi un bufalo intero!» esclamai io dopo aver dato un consistente morso al tramezzino. Il medicastro, decidendo di non farsi piacere il pane, aveva rinunciato ad una delle cose più belle che ci fossero al mondo.
«Io una volta l'ho mangiato!» si ridestò Rufy.
«Confermo» fece Usop, accompagnandosi con un gesto della mano.
«Non avevo dubbi!» risi sguaiatamente e con la bocca mezza piena. Ero allegra anche se non del tutto serena. L'articolo che avevo trovato risolveva l'enigma che ci aveva perseguitato per giorni, ma ciò implicava che se non ci fossero stati altri intoppi presto se ne sarebbero tornati a casa, e io non volevo. Sapevo di essere egoista in questo, ma che ci potevo fare se i giorni che avevo trascorso con loro erano stati i più felici della mia vita? Che potevo fare se con loro stavo così bene da dimenticarmi di tutte le cose brutte? Non potevano andarsene proprio in quel momento, sarebbe stata una doccia fredda, o peggio. Non mi ricordavo nemmeno come fosse prima. Per me ora esisteva solo il presente. Vivevo giorno per giorno come era giusto che fosse. Non potei continuare la mia riflessione, perché quando vidi Law alzarsi da tavola, lo intercettai.
«Traffy...» cominciai. Lui alzò lo sguardo verso di me, ma non si rimise seduto. Non sapevo come fare a dirgli quello che volevo dirgli ed inspirai varie volte nel tentativo di trovare le parole giuste, ma dalla mia bocca non uscì niente.
«Quando saprai cosa dire mi trovi sul divano» disse, dopo un po' che non parlavo. Il suo tono mi stupì, non era il solito tono distaccato o infastidito. Forse finalmente si era rilassato e anche un po' addolcito.
«Mi dispiace che tu abbia dovuto vedere quell'immagine» sputai fuori tutto d'un fiato, prima che potesse muovere un passo «non ci ho pensato, non avresti dovuto vederla, scusa» continuai.
«Non sono affari miei. Le immagini che hai sul tuo computer sono un problema tuo, non sarò di certo io a impedirti di averle» dichiarò freddo.
Rimasi quasi a bocca aperta. Con tutte le risposte che poteva dare quella era l'ultima che mi sarei aspettata. Il tono era ritornato quello impassibile di sempre, ma la sua risposta era di una maturità inimmaginabile, almeno per quanto mi riguardava. Wow, ero davvero spiazzata. Così, dissi l'unica cosa che potevo dire in un momento del genere, nonché l'unica che mi venne in mente.
«Comunque se ti interessa, "I miss you" significa "mi manchi"» gli spiegai a testa bassa.
«L'avevo intuito» si limitò a dire.
«Tu sai sempre tutto, del resto» sorrisi e mi alzai anche io da tavola.
«Ad ogni modo, l'immagine è stata fatta bene» commentò sovrappensiero.
«Sono d'accordo. Però non ti ci so vedere con le lacrime agli occhi» confessai imprudentemente. Non disse nulla, come era prevedibile. Ma avevo detto la verità. Mi era sempre sembrato un uomo tutto d'un pezzo e di certo non era il tipo di persona che si lasciava andare a sentimentalismi. Non fosse mai che qualcuno gli avesse chiesto di esternare le sue emozioni.
Buttai uno sguardo ai resti della mia abbuffata e guardai il cuoco che ancora lavava i piatti. Quasi come se sapesse che lo stavo fissando, si girò e mi fece cenno che ci avrebbe pensato lui. Perché non esistevano uomini come lui nel nostro mondo? Lo guardai grata e andai a sedermi sul divano con il mio nuovo quasi amico. Era tempo di aggiornare la ciurmaglia.

Lost boys - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora