Disastri

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Negli ultimi giorni mi sembravo decisamente impazzita. Seconda Stella a Destra, Uomo della Luna, Pirati in casa e chi più ne ha più ne metta. Mi serviva assolutamente una pausa da quella marmaglia. Anche perché a breve sarebbero tornati i miei genitori e non potevo certo dirgli "Mamma, papà, condividerete il letto con due ragazzi provenienti da un fumetto che non riuscite né a vedere, né a sentire a meno che non io li tocchi" perché a quel punto sarebbe stata davvero una gara a chi impazziva prima, anche se personalmente mi ritenevo sulla buona strada. Se non per la pazzia, almeno per un esaurimento. Erano solo quattro giorni che erano lì e già riuscivano a farmi salire i nervi a fior di pelle. Rufy continuava a fare casino per tutta casa, Zoro e Sanji stavano sempre a litigare e Law mi fissava sempre con quello sguardo torvo, senza dire una parola. Dovevo liberarmene. Se non definitivamente, almeno per qualche ora. Giusto il tempo di farmi la doccia e rimettere a posto casa prima che un nuovo tornado firmato cappello di paglia si scatenasse. Ah già, dovevo anche riposare i timpani dagli snervanti urli dello spadaccino e del cuoco e stendermi cinque minuti per farmi passare il mal di testa, che ormai martellava incurante delle disgrazie che mi toccava sopportare. Se volevano che facessi delle ricerche, dovevano cercare di agevolarmi e non di ostacolarmi! Ora finalmente capivo come si sentiva Nami, poverina. La avevo sempre odiata per il suo comportamento aggressivo e materialista, ma invece era solo vittima di quegli scalmanati. E, parola mia che lo stavo provando sulla mia pelle, ce ne voleva per sopportarli.
Il colmo fu quando decisi disgraziatamente di prendere un ingrediente per la torta che voleva cucinare Sanji. Era in alto, per cui presi uno sgabello e ci salii sopra. "Faccio io, non ti scomodare" aveva detto il biondo; e sarebbe stato decisamente meglio viste le conseguenze. Io, che normalmente avevo l'equilibrio di un ubriaco su una gamba sola, ero in piedi precariamente su un cavolo di trespolo traballante, con una busta aperta di farina in mano. Il cuoco gentilmente mi teneva la gamba con un braccio, ma questo non bastò per arrestare la furia di Rufy, che correva pericolosamente verso di noi con la lingua di fuori e le narici dilatate.
«Cibo, cibo, cibooooo!»
«Rufy, aspetta!» il povero Usop lo rincorreva ansimante, con una mano a tenersi l'asciugamano che gli cingeva la vita e che minacciava di cadere e l'altra tesa verso il suo capitano, stringente una bottiglietta di quello che mi parve essere shampoo «ti devi sciacquare la testa!»
«Se ti avvicini ti giuro che...»
Non potei finire la mia minaccia e non potei neanche ammirare gli addominali che il cecchino si era fatto in quei due anni, perché in due secondi netti qualcosa mi investì in pieno e finii a mezz'aria. Il tempestivo intervento del cuoco salvò la situazione e soprattutto il mio sedere. Infatti mi ritrovai tra le braccia del biondo, che era felice come una Pasqua di avermi salvato. Ma le buone azioni non restano impunite, come si suol dire. A parte la farina, che giaceva riversa al suolo suscitandomi un pericoloso tic all'occhio, per terra c'erano anche le pozze d'acqua che il rinoceronte Rufy aveva sgocciolato al suo passaggio. Non per niente Sanji ci mise un piede sopra e scivolò, facendoci cadere rovinosamente. La posizione, per chiunque ci avesse visto in quel momento, era alquanto equivoca. L'ex capocuoco del Baratie era supino e io ero completamente stesa sopra di lui, a pancia in giù. Le nostre facce erano a tre centimetri di distanza. Ringraziai il cielo del fatto che non ci fossimo dati una testata.
«Ehi, ma la torta ancora non è pronta! Uffa» brontolò Rufy.
Mi tirai su e lentamente mi girai verso l'idiota che aveva osato pure aprire bocca. Aveva l'asciugamano in vita e la testa ancora insaponata. L'acqua non smetteva di colare dal corpo di quell'insignificante essere che sarebbe presto stato linciato.
«Rufy» grugnii «Rufy.» dissi in tono più dolce «Scappa. È un consiglio da amica»
Lui piegò la testa da un lato, non capendo un accidente come al solito.
«Se non lo fai ti garantisco che ti ritroverai come minimo un occhio nero.» stavolta ero riuscita a completare la mia minaccia. Feci un passo avanti, ma dovetti rinunciare alla mia idea quando mi accorsi che avevo del sangue sul petto. Automaticamente ruotai i piedi in direzione del cuoco, ancora steso per terra e in piena epistassi.
«Sanji? Ehi Sanji, stai bene?» domandai, senza ricevere alcuna risposta. Quando eravamo caduti, io ero atterrata su di lui e non mi ero fatta niente, ma accecata dall'ira del momento non mi ero premurata di chiedere allo chef se stesse bene. A giudicare dalla faccia sembrava avesse visto il paradiso. "Almeno se muore, muore felice" pensai.
«Usop, che facciamo?» mi rivolsi al cecchino che era a pochi passi da me, ricurvo e con le mani poggiate sulle ginocchia per lo sforzo della corsa.
«Non ti preoccupare, di solito passa da solo» mi rassicurò, ancora a corto di fiato
«Sì, ma guarda...sta sanguinando davvero molto» ci sporgemmo entrambi per osservare quello spettacolo a tratti inquietante
«Hai ragione...chiama Traffy» mi consigliò, per poi girarsi con l'intenzione di andarsene dalla cucina. Lo ripresi al volo, tirandolo per l'asciugamano.
«Ehi! Ma che diavolo fai!?» protestò riprendendolo al volo prima che gli cadesse
«Dove stai andando?» gli domandai con un sorriso sadico sul volto «Io non ho nessuna intenzione di chiamarlo. Chiamalo tu!» gli intimai
«Perché io? Ti ho detto che secondo me passa da solo!» mi gridò, contrariato.
Poco prima avevo visto che il chirurgo sonnecchiava in salone e non avevo la minima intenzione di disturbarlo. E a quanto pareva Usop doveva aver pensato la stessa cosa.
«Perché fino a prova contraria Sanji è un tuo compagno e se muore sarà colpa tua!» esclamai puntandogli un dito contro il petto muscoloso. C'era da dire che in quei due anni gli era venuto proprio un bel fisico.
«Traffyyyyyyy!» un urlò assordante si levò da dietro le mie spalle «vieni presto, Sanji sta male!» Sia io che il cecchino impallidimmo e spalancammo gli occhi.
Perfetto, ci aveva pensato Rufy, che subito dopo si era precipitato fuori dalla cucina, diretto in salone. Almeno sarebbe morto lui al posto nostro. Io e il nasone ci guardammo. Mi fece cenno di dileguarci finché fossimo stati in tempo. Concordavo in pieno con il suo pensiero, era meglio svignarsela finché potevamo. Purtroppo, però, non riuscimmo nel nostro intento. Un paio di occhi mezzi assonnati, ma comunque glaciali, ci fecero inchiodare immediatamente sull'ingresso di casa.
«Mi avete svegliato. Ciò vuol dire che qualcuno sta morendo o che è già morto, spero. Perché se non è così, vi garantisco che lo sarà.»
Rabbrividimmo in due. Forse in tre, contando anche il lampadario, che ero sicura avesse tremato per qualche secondo.
Law si chinò sul corpo quasi esanime – ma felice, vale la pena ricordarlo – di Sanji ed esaminò la situazione.
«Non serve una trasfusione, basta fermare la perdita di sangue. Hai qualcosa per bloccare l'emorragia?»
«Va bene lo scottex?» chiesi. Come al solito mi guardò male. Sbuffai e andai a strapparne un quadratino. Glielo porsi cautamente e lui analizzò quel pezzo di carta.
«Sarebbero più indicati dei tamponi nasali» affermò. Stavo per ribattere che non ci trovavamo in una struttura sanitaria, quale che essa fosse e che quindi si doveva accontentare, tuttavia lui parlò di nuovo «ma suppongo che in mancanza d'altro possa andar bene anche questo "scottex"».
Scongiurato il pericolo, feci una stima dei danni. Pozze d'acqua per terra, la farina tutta rovesciata, lo shampoo finito, uno sgabello probabilmente rotto e un cuoco mezzo morto. Non osavo andare in bagno perché sapevo che probabilmente la situazione era anche peggio.
«Sta bene?» chiese cappello di paglia al dottore dopo che ebbe finito di trafficare con il naso del biondo.
«Oh, lui sì. Ma tu...no» risposi io. Chissà perché tutti rispondevano al posto del povero – ma neanche più di tanto – Traffy. Già era uno di non molte parole, se gli toglievamo anche le poche che gli restavano finiva per diventare muto completamente. Del resto, tale "padre", tale figlio.
«Perché? Guarda che io sto beniss...» fece Rufy, ma si fermò a metà frase, perché gli tirai un pugno in faccia degno di quello che tempo prima aveva dato lui a quello spocchioso Drago Celeste. Essendo fatto di gomma, non mi feci nemmeno troppo male. Lo stesi. Oh cazzo, potevo dire di aver steso cappello di paglia! Anche se nessuno mi avrebbe creduto, la verità io la sapevo. Con la coda dell'occhio scorsi il chirurgo che ghignava come suo solito alla vista della scena.
«Te l'avevo detto che ti saresti ritrovato un occhio nero» dissi cercando di non sorridere compiaciuta e apparendo il più innocente possibile. Alzai le spalle e lo lasciai lì, per dirigermi in bagno, pronta a ritrovarmi sul set di un film horror. E infatti così fu.
Con l'aiuto degli altri pirati, rimisi tutto a posto. Ci vollero due ore buone ma la casa tornò linda e splendente come prima. Stranamente persino Law diede una mano. Sanji non aiutò perché era debilitato a causa della consistente perdita ematica e nemmeno Zoro lo fece, perché dormiva beatamente e non c'era stato verso di svegliarlo. Rufy era, sotto mio ordine indiscutibile, seduto sullo sgabello che aveva buttato giù prima – che miracolosamente non era rotto – e si premeva una busta di piselli surgelati sull'occhio gonfio. Ovviamente prima gli avevo intimato di non mangiarli. Così non poteva andare avanti. Mi stava bene che ci volesse pazienza, ma così era troppo da sopportare, persino per Padre Pio. Dovevo trovare una soluzione; e alla svelta, visto che l'indomani sarebbero tornati i miei.  

Lost boys - ONE PIECEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora