; götzeus

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p!nk - who knew

Memories

Era un caldo giorno di giugno come tanti altri e Marco Reus era seduto sul suo letto mentre si rigirava una fotografia fra le mani. Era stata scattata con una polaroid e ormai i bordi erano rovinati. La foto raffigurava lui e Mario Götze. Marco aveva un braccio sulle spalle di Mario e la testa rivolta in direzione del suo piccolo tedesco, stavano sorridendo entrambi. Era alla festa del loro compleanno, Marco lo ricordava bene - il loro ultimo compleanno insieme.

"Sei vecchietto, Götze!" esclamò Marco, per poi scoppiare a ridere.
"Mi ritengo profondamente offeso" affermò Mario, per poi mettere il broncio e incrociare le braccia al petto. Si girò, dando le spalle al tedesco, e iniziò a camminare verso gli invitati che affollavano il giardino. Marco sorrise e scosse la testa, a volte il suo ragazzo sembrava proprio un bimbo. Corse verso di lui e l'abbracciò da dietro, circondando le sue spalle con le braccia. Marco poggiò il suo viso sulle spalle del suo ragazzo, "Dai, amore..."
Il ragazzo continuava a tenere il muso, cercando di trattenere un sorriso. "Sei uno stronzo" proclamò, Marco sciolse l'abbraccio e si ritrovarono faccia a faccia. Marco passò una mano sulle spalle di Mario e si avvicinò al suo orecchio, "Ti amo anch'io" disse facendo ridere l'altro. Quel momento fu intrappolato dalla polaroid di qualcuno.

Marco girò la foto trovando la dedica - un po' scolorita - che gli aveva fatto Mario dopo aver visto - e preso - la foto.

"La fotografia è in grado di raggiungere l'eternità attraverso il momento.
al mio biondino,

-Mario Götze.

ps. ricordati che ti amo."

Gli occhi gli si fecero umidi, ripensado a i loro momenti. Quest'anno aveva anche saltato il «der klassiker» a causa di un infortunio - la sua solita fortuna -, perciò non aveva neanche potuto vederlo, o abbracciarlo di nuovo - se mai ne avesse avuto il coraggio.
Se tre anni fa qualcuno gli avesse detto che lui se ne sarebbe andato, non ci avrebbe pensato due volte a ridergli in faccia, perché loro avevano una promessa.

"Non ti lascerò mai" affermò il tedesco deciso.
"È una promessa, Götze?" il mezzo sorriso di Marco campeggiava sul suo viso.
"Certo che è una promessa, biondino".

Una lacrima solitaria gli rigò il viso.
La porta della stanza scricchiolò, "Zio?".
A sentire la voce di suo nipote - Tyler - Marco si asciugò velocemente la lacrima e sorrise alla vista del bimbo castano. "Ehi, Tyty." lo prese e lo fece accomodare sulle sue gambe, lasciando distrattamente la foto sul letto. "Mamma ti ha lasciato qui?" i capelli castani svolazzarono mentre Tyler annuiva.
"Zio, che guardavi?" chiese innocente il piccolo.
"Umh... nulla, una vecchia foto..." iniziò spiegare Marco, ma Tyler prese subito la foto tra le mani.
"Ma sei tu!" disse il bimbo, indicando suo zio sulla foto, "eri così felice" osservò.
Marco guardò in alto, per trattenere le lacrime. Poteva farcela.
"Sì, Ty, ero felice"
"E questo chi è?" chiese Tyler, indicando Mario. Marco esitò per un attimo, e il piccolo si girò in direzione dello zio, "Be', vedi lui era il mio migliore amico..." iniziò Marco accarezzando i capelli castani del nipote. "Aspetta, ma questo non è Mario Götze? L'attaccante del Bayer Monaco?" lo interruppe Tyler. Marco annuì. "Ha tradito la nostra squadra?" chiese poi, con l'innocenza che caratterizzava tutti i bambini.
Marco scosse la testa, "No, non ci ha tradito... ha solo, ha solo cambiato squadra..."

"Marco, stai bene?" chiese Roman, piombando nella stanza con il viso contratto in un'espressione di preoccupazione.
"Certo, perché non dovrei esserlo?" chiese il tedesco. Roman rimase in piedi, spostando il suo peso da un piede all'altro, e lo fissò con uno sguardo indecifrabile. "No, nulla..." fece il vago e si girò per andarsene. Allora, Marco si alzò, "E no, ora mi dici perché io non dovrei star bene" affermò Marco deciso.
Roman si girò di nuovo nella sua direzione e pronunciò quelle nove parole che frantumarono il cuore di Marco, "Mario Götze è ufficialmente un giocatore del Bayer Monaco".
Marco non volle crederci, si fondò per il corridoio, con le lacrime che gli offuscavano la vista, e arrivò negli spogliatoi. Arrivò nell'armadietto del numero dieci - accanto al suo, l'undici - e lo trovò vuoto. Tirò un pugno alla superficie dell'armadietto, facendo rimbombare il suono per tutta la stanza. Ignorò le lacrime che scendevano lungo le sue guance, il dolore alla mano e il taglio che si era procurato, c'era qualcosa che faceva più male, e quel male lo sentiva proprio lì, all'altezza del cuore.

"Gli volevi bene?".
Questa domanda spiazzò un po' Marco, "S-sì, sì gli volevo tanto bene".
"Come la mamma e il papà?" chiese, e Marco capì che il bimbo - di appena sei anni - aveva preso la curiosità da sua madre.
"Sì, come mamma e papà"
"Oh, e perché se n'è andato se vi volevate bene?"
"Vedi anche il principe azzurro qualche volta, dopo aver salvato la principessa, va via perché deve risolvere delle cose nel suo regno".
"In questo caso ci sono due principi azzurri, anzi uno giallonero e uno bavarese" Tyler scoppiò in una risata cristallina, che fece sorridere lo zio, nonostante la nomina del "principe bavarese".
Ad un tratto suonò il campanello, Tyler scese con un balzo dalle gambe di Marco e corse per il corridoio, fino all'ingresso. Marco si trascinò dietro al nipote, e una volta arrivato alla porta trovò l'unica persona che non si sarebbe mai aspettato. "Mario?" lo fissò incredulo.
"Ciao, Marco" Mario salutò Marco come se non se lo avesse abbandonato, come se non fosse successo nulla, come se non avesse lasciato lui e la sua squadra. E questo stupì - e non poco - il centravanti del Borussia.
"Zio, hai visto? Il principe azzurr- no, il principe bavarese è tornato. È venuto a prenderti!"

n.a
ma quando
arrivano le 20:45?

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