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premessa: erik è un attaccante e roman è italiano - robe strane.

Rivalry in Love

Il calcio è più semplice della teoria di Einstein e più difficile che fare due più due.

I Mondiali.
Sogno di tutti, realtà per pochi.
Ai quarti ci arrivano solo i migliori.
Argentina.
Brasile.
Spagna.
Belgio.
Colombia.
Olanda.
Germania.

Italia.

Sappiamo di essere i migliori. Ai quarti di finale, abbiamo il privilegio di far vedere quanto valiamo e di portare in alto il nome della nostra nazionale. Ah, mia Italia.

Il calcio è l'arte di comprimere la storia universale in 90 minuti.

Ed ora tocca a noi due.
Quasi fratelli e nemici.

«Non c'avemo mai perso co sti crucchi, non vedo perché dovemmo comincià mo», ripete De Rossi. Io, svizzero naturalizzato italiano, tutto quest'odio per i tedeschi non lo capisco più di tanto. Ma è una rivalità fondata nel tempo.

Scendiamo in campo, consapevoli che di qui si uscirà vincenti o perdenti. Niente vie di mezzo. Per cui nessuno è deciso ad arrendersi. L'unico obbiettivo di entrambe le squadre è vincere.

Gli inglesi hanno inventato il calcio, i francesi l'hanno organizzato, gli italiani l'hanno messo in scena.

Lo vedo, mentre si toglie la pettorina blu messa per il riscaldamento.

I suoi occhi blu sembrano brillare sotto le luci artificiali che illuminano alla perfezione il Maracanà.

Aspettiamo solo che inizi la partita. La Germania è favorita - e quando mai? - ma puntiamo a sminuire l'enorme ego tedesco.

Le magliette azzurre sembrano perfette, lo stemma italiano a sinistra, dal lato del cuore, ci riempie d'orgoglio. Lui tocca il suo stemma tedesco, sorridendo.

Corro alla mia porta, e tocco i tre pali, come ogni volta. Quasi ognuno ha il suo rito scaramantico, che ci dà un pizzico di sicurezza in più.

L'arbitro fischia, si va in scena.

Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d'accordo.
Il calcio è molto, molto di più.

Dribbling, stop di petto, entrate in scivolata, colpi di testa, cross e verticalizzazioni. Ecco di cos'è fatta una partita spettacolare sul piano tecnico. Ma la cosa più importante rimangono sempre le emozioni.

Erik si accentra e prova con il destro. Il tiro finisce di poco alto sulla traversa, dopo una mia leggera deviazione. Lo guardo negli occhi, per la prima volta nella partita, e riesco a scorgere la determinazione che lo caratterizza.

Sorrido, mi ha messo in difficoltà con quel tiro.
Ricambia, sa di averlo fatto.

Il gioco riprende con un calcio d'angolo. Nell'area di rigore ci sono undici giocatori, fra azzurri e tedeschi. Dalla bandierina parte un cross morbido, sul secondo palo. Salto, prendendo il pallone, evitando un un colpo di testa ed una possibile occasione da gol.

Nella mischia sfioro per sbaglio Erik, poi mi guarda mentre rilancio la palla lontano dalla mia porta. Si allontana un paio di metri da me, guardando la difesa tedesca rincorrere gli attaccanti italiani.

Si gira, mi sorride incastrando la lingua fra i denti. È forse una sfida?

Perché sono lieto di accoglierla.

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