; götzeus

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Marco rise alla battuta di Hans, mentre lui e i suoi migliori amici uscivano dal cinema. Avevano visto una commedia e ora Jacob imitava il comico, recitando le battute del film. Marco lo guardava, mentre affondava le mani nelle tasche del giubotto dopo una follata di vento. Rise, poi, all'imitazione, esagerando, aggiungendoci un mini applauso.
I tre ragazzi si incamminarono, facendosi spazio fra la folla che si era creata davanti all'uscita. Non avevano concordato la loro destinazione, ma sapevano che sarebbero finiti al solito bar, con una bottiglia di birra fra le mani, ad eccezione di Marco.
A Marco, da bravo tedesco, gli alcolici piacevano, ma non poteva esagerare o il mister gli avrebbe fatto una sgridata di quelle colossali. Bosz non imponeva una dieta rigida, ma guai a toccare gli alcolici, soprattutto in vista della prossima partita di Coppa di Germania, che si sarebbe tenuta domani.
Il calciatore si guardava intorno;
la sua attenzione fu catturata da un paio di bambini che si drestavano con il pallone in mezzo alla piazza, riscuotendo alcuni lamenti dalle persone che passavano di lì.
Si unì a loro, poco dopo, un ragazzo. Aveva il giubotto nero e Marco poteva benissimamente dire che era più che bravo. Lo guardò divertirsi con i bimbi, ridendo quando perdeva palla. Ci volle un po' a riconoscerlo, anche perché la maggior parte del tempo era girato di spalle o la gente copriva la visuale a Marco, ma quando lo vide, rimase di sasso.
Il ragazzo aveva alzato gli occhi sulle persone che lo stavano guardando, posando lo sguardo proprio su Marco.
I due ebbero poco più di un secondo per guardarsi negli occhi, perché il più grande fu preso per la giacca da Jacob, che impaziente non vedeva l'ora di arrivare al bar e rivedere la sua barista preferita.
"Marco, andiamo?"
Il calciatore annuì, aveva il cuore che andava a mille. Il motivo si chiamava Mario Götze o, se preferite, il ragazzo che stava giocando a calcio in mezzo alla piazza.

+
Eppure doveva aspettarselo.
Il Bayern era già lì, alloggiavano all'hotel a quattro stelle poco distante dallo stadio, almeno così gli aveva detto Julian.
Mario, probabilmente, era uscito con i suoi compagni di squadra, esattamente come aveva fatto lui, visto che il tempo permetteva e non era nemmeno così tardi.
"Signore, dove la porto?"
Il tassista lo guardò dallo specchietto, da dove pendeva un deodorante verde a forma di albero.
Marco rispose con il nome della via in cui abitava, l'autista annuì, dicendo che sapeva dove si trovasse.
Il calciatore si lasciò andare contro il sedile, puntando il suo sguardo sul cruscotto del taxi. Pensava di aver visto male, ma quello era proprio lo stemma del Borussia.
Sorrise, poggiando la testa sul finestrino.
"Vedrà la partita domani?",
chiese, stanco del silenzio e delle solite canzoni pop trasmesse dalla radio.
"Ne varrà la pena?",
chiese l'uomo.
"Ovviamente", rispose quasi piccato l'attaccante, mettendosi più composto, "Cosa le fa pensare il contrario?".
"Mah, nulla", proferì l'autista, "Solo, vorrei evitare di vedere gente come Götze e Lewandowski. Sa...", lasciò la frase in sospeso.
A Marco non piaceva proprio la piega che il discorso stava prendendo.
"Mhh", mugugnò semplicemente, se si fosse messo a parlare si sarrebe esposto troppo, considerando anche il fatto che quell'uomo fosse, oltre che un estraneo, anche un tifoso.
Guardò fuori dal finestrino e riconobbe la strada, in quel momento l'autista accostò.
Prima di scendere, lo ringraziò e pagò la corsa.
L'uomo, che non doveva avere più di quarant'anni, sorrise.
"Capitano, sono orgoglioso della nostra squadra, come lo sono da anni e credo in voi. Soprattutto in lei".
Marco annuì, sorridendo, mentre il taxi ripartiva. Era anche per quello che giocava. I tifosi era una delle cose meravigliose del suo lavoro.
Per questo, era ancora più carico e determinato a vincere.
L'indomani ce l'avrebbe messa tutta, sicuramente, anche se il ginocchio non era al massimo.

+

"Heja BVB!"
Lo speaker lo gridava, i tifosi si univano a lui, festeggiando felici più che mai.
Marco si godeva quel meraviglioso spettacolo, con un enorme sorriso sulle labbra.
"Capiii", fu sommerso dall'abbraccio di gruppo della squadra. Iniziarono a saltare, intonando gli stessi cori dei tifosi.
Il Bayern era stato sconfitto.
Sciolto l'abbraccio di gruppo, a cui si erano uniti anche allenatore e membri dello staff, ognuno riprese a festeggiare.
Agli avversari non restava che congratularsi con sorrisi di cortesia, stringendo le mani dei calciatori gialloneri.
"Complimenti, bella partita",
Robert porse la mano a Marco. Il tedesco la guardò, stranito, prima di stringerla. "Grazie, lo sappiamo", sorrise sornione, prima di diventare vittima di un gavettone di spumante.
Rise, prima di iniziare a rincorrere Pierre. Nel farlo, si scontrò con Mario Götze che stava parlando con un componente dello staff medico bavarese, toccandosi di tanto in tanto il polpaccio, dove aveva preso un colpo durante il match.
"Scusa",
dissero entrambi allo stesso tempo.
Mario sorrise, allungando la mano in direzione dell'ex compagno di squadra. Le solite fasi di rito seguirono la stretta di mano. C'era imbarazzo inusuale fra i due.
All'improvviso, Christian saltò sulle spalle di Mario. Il bavarese fu abbastanza sorpreso dal gesto.
Christian, dopo aver capito che probabilmente aveva sbagliato persona, scese a terra.
Marco gli si avvicinò che a malapena riusciva a trattenere le risate. "Che volevi fare?", gli chiese.
"Oh my job, cercavo te, man!", rispose, indicando Marco. "Not him, he is big little shit".
Marco rise, "Ma quanto hai bevuto? Sei troppo piccolo, Chri!".
Mario non aveva capito molto della conversazione, così decise di andare negli spogliatoi.
"Ci vediamo presto", salutò, tenendo lo sguardo fisso sul biondo, che dal suo canto, ricambiava il gesto.
"Finalmente the shit is coming home. Now, dov'è lo spumante?".

+
Marco appoggiò la testa al finestrino dell'auto di Erik; doveva smettere di scroccare passaggi e prendere la patente, si promise.

Saranno state le due e mezza quando l'auto nera di Erik accostava davanti alla casa del capitano.
"Grazie del passaggio, Eriketto mio", gli scompigliò i capelli, con quel suo sorriso sulle labbra.
Il biondo tinto sbuffò divertito, "Ma prenditi la patente".
Marco rise e scese dall'auto, "Agli ordini. Buonanotte".
"Notte, bro", disse Erik, prima che Marco si girasse, entrando nel giardino di casa sua e lui ripartisse.
Aprì la porta, si recò in camera da letto e lasciò cadere il giubbotto in pelle sulla sedia, mentre aveva già abbandonato il borsone in salotto; non appena la sua testa toccò il cuscino pensò che avrebbe dormito fino all'ora di pranzo, sfruttando a pieno la sua giornata di meritato riposo.
Eppure, l'adrenalina del suo primo trofeo con il suo club non esitava ad abbandonarlo. Come biasimarlo, anni di amore per quei colori e contribuire alla risalita del suo Borussia Dortmund lo faceva felice. E contibuire con una splendida doppietta non era da poco.
Stava quasi per prendere sonno e chiudere gli occhi, quando il telefono, che aveva lasciato nella tasca del giubbotto, vibrò. Questo lo constrinse ad allungarsi un po' e nel tentativo di prenderlo quasi non cadde.
Aveva sonno sì, ma poteva essere un audio o una foto di Chirstian ubriaco, e lui non voleva di certo perdersela.
Appena preso il cellulare in mano, però notò che non c'erano messaggi dal gruppo con la squadra, ma bensì da una chat che non apriva da tempo.

« è stato bello rivederti »

Nemmeno a dirvi chi fosse il mittente. Marco non ci pensò molto prima di digitare la risposta

« anche per me »

Che era la verità. Nonostante l'imbarazzo e nonostante il tutto fosse durato qualche minuto era felice di aver ritrovato Mario.
E ben presto lo sarebbe stato ancor di più. Dopo aver risposto, quasi lanciò il telefono sul comodino e si mise comodo sul letto. Ma ancora una volta, fu interrotto prima di addormentarsi.

Avrebbe dovuto spegnere quell'affare, ma si tirò a sedere e lo prese di nuovo in mano. Era Mario. Di nuovo.
Ma non poteva andare a dormire?

« scendi. »

Era uno scherzo. Insomma, doveva esserlo. Che ci faceva lì?
Tirò via il lenzuolo dal suo corpo, rabbrividendo un po'.
Cosa aveva da perdere?
Scese le scale, saltando l'ultimo gradino come aveva sempre fatto. Andò alla porta, non preoccupandosi che potesse trattarsi di uno scherzo e che dall'altro lato non avrebbe trovato nessuno. La aprì e si trovò davanti il giocatore bavarese sorridente.

Mario allungò verso di lui la mano, dove teneva una rosa rossa.
Sdolcinato.
"È per te", gli disse, come se non fosse ovvio.
Marco sembrava stupito e assonnato. Più la seconda, ma prese il fiore fra le mani prima di regalare un sorriso dei suoi a Mario.

Lo abbracciò di slancio e quasi non cadevano entrambi a terra.
"Grazie", sussurrò, temendo di interrompere quell'atmosfera.

"Scusami", Mario disse, una volta sciolto l'abbraccio, "Ma sono di corsa. Sono sgattaiolato fuori dall'hotel e avrò sbagliato strada due volte. Devo rientrare o Thomas mi ammazza".

"Dove hai trovato una rosa alle tre del mattino?", gli domandò Marco, quasi ridendo.

"Segreti del mestiere. Conto di averti come compagno di stanza al ritiro della nazionale, il mese prossimo", era un invito. A tornare ad essere quelli di prima.

"Certo".

Si sorrisero, un'ultima volta.
Mario gli stampò un bacio all'angolo delle labbra, prima di salire sulla sua macchina.
Marco sbadigliò, rientrando in casa.

L'indomani si sarebbe svegliato all'una e avrebbe continuato la sua vita. Allenamenti, Borussia Dortmund e amici, quasi fratelli. Con una promessa in più.
O, se preferite, con un ragazzo al suo fianco di nome Mario Götze.

n.a
l'ho scritta tempo fa
ma
non mi convince del tutto

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