Rimaneva seduta sulla sedia a dondolo, nelle mani teneva una tazza calda di the che continuava a sfiorare.
Aveva lo sguardo perso tra la natura, tra gli alberti verdi e colorati, i fiori vivaci e pieni di profumo.
Sul suo viso, la zampette di gallina si creavano ad ogni piccolo sorriso che faceva pensando a chissà che cosa, o a chissà chi.
Le rughe sulla fronte erano ben visibili e le piccole macchie le riempivano tutta la faccia.
Muoveva il capo solamente per ammirare il paesaggio e non per vivere, lei era già morta da parecchi anni.
Respirava a malapena pensando a tutta la sua vita, a come le era passata davanti agli occhi, rendendosi conto che non se l'era mai goduta.
Le mani venose e fredde manco l'estate era più capace di riscaldarle.
Era sempre così ogni giorno: con la sua sedia a dondolo, riposava sulla veranda che dava vista al suo piccolo giardino e sulla strada.
Rare volte alzava la mano per salutare e bere.
Gli piaceva rimanere lì, godersi tutto ciò che fino ad allora non si era mai goduta: la pace.
Chiudeva gli occhi e si immaginava ogni piccola parte della sua vita, quando era felice.
Quando aveva tutti accanto a lei, quando obbligò sua figlia a rivendicare la morte di suo padre, la perdita di ogni singola persona, tutta a causa sua.
Si sfracellava così tanto il cervello con i suoi pensieri che arrivò alla conclusione che quella che doveva morire, era lei.
Passò la mano sull'anello in oro sfiorandolo e riaffiorare nella sua mente, quel giorno.
Il giorno in cui disse di "Si" alla persona che lei amava di più al mondo, alla persona che giurò di restare accanto fino a quando la malattia o la morte non gli avrebbe separati, alla persona con la quale procrearono le persone che più diedero senso alla sua vita: Alis e Abram.
Sorrise tra se e se lasciando cadere una lacrima dagli occhi felice che, nonostante tutto, sapeva che la sua piccolina, ora era con i suoi uomini, lassù: Justin, Isidor, Avgustin ma sopratutto il suo piccolo bambino.
Non poté non lasciare una lacrima cadere sulle guance ruvide e secche che si perse tra le mille.Guardò ogni piccolo movimento della creatura che stava davanti ai suoi occhi e se la mangiava con lo sguardo.
Era seduta sul divano immobile con solamente un sorriso stampato in faccia mentre la bambina correva per la stanza.
«Alis» mormorò.
Adorava pronunciare quel nome, ogni singola lettera trasmetteva pace interiore se la pronunciavi.
Abram chiamò la sua piccola figlia, Alis, in onore della sorella.
Accarezzò i capelli della nuora, quel biondo cenere e lisci come la seta.
Analizzò il suo viso come quello di una bambola di porcellana, gli occhi azzurri come quelli di Alis.
«Lo chiameremo Justin» disse girandosi verso di lei e stringendogli la mano.
La donna sorrise e in pochi secondi, una lacrima sgorgò dai suoi occhi.
Di felicità? Dolore? Mancanza?
Non lo sapeva neanche lei.
Forse erano lacrime accumulate durante tutta la vita ma che mai, magari a causa dell'orgoglio, non lasciò cadere.
L'unica cosa che fece fu abbracciare la nuora e sprofondare tra le sue braccia.Si ritrovarono davanti alla grave bianca a forma di croce.
Entrambi erano sepolti uno vicino all'altro.
Dentro quella tomba, c'era solamente pezzi che erano rimasti dei loro corpi piccoli.
Sulla sua tomba, della sua piccola Alis, c'era la scritta sottile di suo padre, il suo canto preferito.
Quello dei Navajo.Non restare a piangere sulla mia tomba.
Non sono lì, non dormo.
Sono mille venti che soffiano.
Sono la scintilla diamante sulla neve.
Sono la luce del sole sul grano maturo.
Sono la pioggerellina d'autunno
quando ti svegli nella quiete del mattino.
Sono le stelle che brillano la notte.
Non restare a piangere sulla mia tomba.
Non sono lì, non sono morta.Spostò lo sguardo sulla tomba del genero, si, genero.
Per lei, Justin fu sempre la miglior scelta per sua figlia, nonostante fossero finiti così, in quella maniera.
Sfiorò la scritta sempre dei Navajo e lasciò un respiro.Quando mi vorrai dovrai solo sussurrare il mio nome nel tuo cuore ed io sarò lì.
Scelta dalla madre e dal padre..
Oh.. quei genitori.
Poveri noi genitori.
In lontananza posò lo sguardo anche sulle altre lapidi.
I Komodo.
Mosse il capo sulla più piccola: Nicholas.
Il piccolo Nicholas.
Poi per ultimo guardò la tomba del marito, chiuse gli occhi per poi girarsi verso la tomba dei due innamorati.
Lasciò una lacrima e posando un bacio sulle lapidi, si girò verso suo figlio e la nuora che erano entrambi con i capi abbassati.
Ella aveva capito.
Non poteva più commettere gli stessi errori del passato.
Doveva godersi i momenti rimasti con i suoi figli.
Credo che Alis abbia voluto la stessa cosa: la felicità e la pace per i suoi famigliari.
Si, era ciò che lei voleva.
La madre si allontanò afferrando la piccola e tenendola in braccio.
Si girò e diede un'ultima occhiata a tutti, uno per uno, trasmettendo un unico messaggio: presto ci rincontreremo.
Si, perché il dolore così forte di una madre non sarebbe potuta resistere per troppo tempo sulla terra.Ehi ragazze, con l'ultimo capitolo mi sono resa conto che ho lasciato della cose incomplete.. Perciò ecco a voi come continua la vita dei Lakwnoski senza la loro piccola Alis e Justin.
Inutile dire che ho versato lacrime per scrivere questo, spero vi piaccia.
Un bacio, Alexandra ✨Vi ricordo che sul mio profilo, troverete altre nuove storie.💖
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LAKWNOSKI
FanfictionIsidor Lakwnoski, capo della più potente mafia russa, in fin di vita chiederà a sua figlia, Alis Lakwnoski di vendicarsi sul gruppo più potente di Stratford, causa della sua morte. I Komodo. Ma cosa succederà quando Alis Lakwnoski e Justin Bieber si...