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Tornata alla Corte, di corsa, la Esmeralda non perse tempo. Evitò  chiunque cercasse di capire a cosa fossero dovute le sue lacrime, a cosa  i pugni serrati e quell'espressione che, mai prima di allora, le  avevano visto in viso. Nemmeno il fratello riuscì a fermarla o a farla  parlare, poiché lei si era ormai chiusa nella propria stanza, in un  silenzio totale. Sì, perché ormai non singhiozzava più, ma piangeva e  piangeva, consumandosi le guance, straziandosi il petto liscio con le  unghie, perché non sopportava quel dolore che covava dentro. Voleva  scavare nella carne e farlo uscire, farlo sgorgare come acqua o come  sangue da una ferita. Ma l'unico modo in cui le sue pene abbandonavano  quel corpicino era attraverso un pianto amaro e silenzioso.
Si  chiedeva perché le cose fossero andate così, cosa avesse sbagliato e  come avesse fatto Phoebus, il suo Sole, a dimenticarla tanto facilmente.  Forse non era abbastanza, lei che era una zingara, ma per lui era  disposta anche ad essere una serva! Per lui avrebbe rinunciato alla  libertà, alla vita, a tutto! Ma era stata gettata via come un fiore  ormai appassito, era stata messa da parte come quei sentimenti che  sbocciano troppo velocemente e poi si spengono altrettanto in fretta.   Poi, lentamente, nella testa della gitana si fece spazio una  consapevolezza: se non fosse stato per quel prete, sarebbe stato tutto  diverso. Se non fosse stato per quel demonio, allora lei e il capitano  avrebbero continuato ad amarsi, l'avrebbe sposata - perché lui glielo  aveva detto - e, ne era certa, era stata la crudeltà di quell'uomo a  fargli omettere il fatto che Phoebus si sarebbe sposato e non  semplicemente recato in chiesa. Voleva farla soffrire, per questo le  aveva rivelato il motivo per cui il cavaliere si sarebbe trovato lì.
In  quel cuoricino di bambina si fece strada una rabbia sottile, una rabbia  infantile, che raramente aveva provato, perché lei era sempre stata  felice e non aveva mai avuto motivi per provare collera, ma in quel  momento tutto era cambiato. Le era stato portato via un pezzo del suo  cuore, il primo amore, il primo bacio.
Con un gesto stizzito si alzò  dal suo giaciglio, afferrando la candela accesa vicino a lei e uscendo  con passi decisi. Fortunatamente i suoi compagni sembravano aver  desistito, così non trovò nessuno fuori ad aspettarla e poté recarsi  tranquillamente alla prigione improvvisata per l'arcidiacono. Vi entrò  con il viso in fiamme, i capelli lo ricoprivano parzialmente, ma lei non  era sicura che lui potesse vederla chiaramente, per via della scarsa  illuminazione. Ella lo sentì muoversi appena, solo un frusciare di  stoffa e paglia, nulla più.

- Avreste dovuto dirmelo! -

Gli soffiò contro, come una gatta.

-  Avreste dovuto dirmi che si sarebbe sposato, ma lo avete tenuto  nascosto solo per vedermi soffrire! Ne siete felice adesso? Siete un  essere meschino, crudele! Perché mi odiate tanto? Perché vi siete dato  tanta pena per farmi condannare, per rovinare ciò di più bello che  avessi? -

A quel punto, nonostante le parole dure, i gesti  feroci, non riuscì a trattenere un singulto. Dovette fermarsi e si cinse  il corpo con un braccio, cercando in quel gesto un calore e un conforto  che non avrebbe trovato. Gli aveva vomitato addosso tutte quelle parole  senza pensarci, senza temere di risultare infantile o ridicola. Voleva  solo riversare su di lui tutta la propria rabbia e il prete l'accolse in  silenzio, osservandola con occhi spenti.
Stava rannicchiato contro  un angolo della stanza, la testa abbandonata contro il muro e le mani in  grembo. Rimaneva immobile, ad osservare quella piccola furia. Quando  parlò, però, ad Esmeralda parve di sentire il rumore di foglie secche  schiacciate, tanto la voce del curato si era fatta roca.

- Non mi avresti creduto... -

Sembrava  faticare a respirare, da come cadenzava il ritmo delle parole.  Effettivamente Claude Frollo, già da qualche giorno, aveva percepito il  corpo farsi sempre più debole, la febbre alzarsi e la ferita alla  caviglia dolere sempre più, tanto che gli era diventato impossibile  muovere il piede. Così se ne stava fermo in un cantuccio, come una  bestia in cattività, ma non si lamentava, non chiedeva aiuto o che lo  liberassero. In più respirare gli risultava difficile ed ogni volta che  l'aria gli entrava nei polmoni, il petto bruciava come arso da vero  fuoco. Ma a che pro urlare per chiedere delle cure, dell'acqua in più o  delle bende? Non gli avrebbero dato ascolto, così si era semplicemente  rassegnato o, forse, era troppo orgoglioso per farlo.
La ragazza,  probabilmente punta sul vivo da quella semplice affermazione, non  rispose, lasciando così tempo a Frollo di continuare, per quanto gli  costasse parlare.

Si Vis Amari, AmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora