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Esmeralda era rimasta ad ascoltare la strana storia dell'uomo. Ella lo guardava con un misto di curiosità e diffidenza. Non comprese da subito il senso di tutto ciò, nemmeno a chi si riferisse. Eppure le parole dell'arcidiacono, la sua voce calma e profonda avevano il potere di farle vedere davanti agli occhi, come in un sogno, le scene che egli descriveva. Dapprima un bambinetto svelto, felice e pieno di curiosità per tutto; poi un ragazzo piegato ai voleri di una famiglia che lo preferiva prigioniero di una vita che non gli apparteneva; ancora lo stesso giovane che si prendeva cura di due bambini; infine un uomo diventato freddo ed insensibile a tutto per colpa di quel destino che lo aveva voluto rendere solo ed odiato.

- Perché mi raccontate tutto ciò? Non capisco... - 

Pigolò la ragazza, portandosi una ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio. Frollo osservò quel gesto, prestando particolare attenzione ai riflessi sui ricci della giovane, che cambiavano ad ogni suo movimento. L'uomo si produsse poi in un sospiro, abbassando gli occhi sulle mani e stringendosi appena nelle spalle.
Già, perché l'aveva resa partecipe di quella storia, della sua vita? L'arcidiacono le aveva raccontato tutto, di come il Fato avesse deciso di renderlo quello che era, forse per far capire alla zingara che l'ombra che l'aveva inseguita e tormentata non era altro che un uomo a metà, un uomo bisognoso più che mai di lei e del calore che il cuore nel suo petto di bambina emanava.
Il prete si passò una mano sul collo, in evidente difficoltà. Parlare di sé come di un'altra persona non gli aveva richiesto un grande sforzo, ma ora che doveva spiegarle il motivo di quel lungo racconto sentiva la lingua pesante e la mente vuota. Forse avrebbe dovuto mentire e dirle che si trattava solo di una storia e nulla più, ma a che pro? Così raccolse tutto il coraggio che aveva in petto, un coraggio che raramente aveva utilizzato, poiché gli era del tutto inutile, ed alzò nuovamente gli occhi su di lei.
La Esmeralda, che non aveva smesso di osservarlo, scoprì che i loro colori non erano poi tanto differenti, fatta eccezione per la pelle. Entrambi, difatti, avevano occhi scuri, anche se quelli dell'arcidiacono avevano una luce diversa e strana; così anche i loro capelli erano neri, nonostante quelli del prete fossero grigi sulle tempie - segno di tante preoccupazioni o di una vecchiaia precoce.

- Ad essere totalmente sincero non so nemmeno io perché ti abbia raccontato tutto questo. Forse è stata la tua curiosità verso queste... - E dicendo questo fece scendere sulla spalla la camiciola, mostrandole parte della schiena, segnata dalla punizione infertagli dal padre. - O forse perché sentivo il bisogno di farti sapere che sono altro oltre il demonio che credi tu. - 
Sussurrò, mentre si risistemava, sotto l'espressione allibita della gitana. La giovane si era portata una mano a coprire la bocca, mentre gli occhi sgranati dominavano sul suo visino stravolto dall'incredulità.
Nemmeno lei sapeva bene per quale ragione, eppure si era fermamente convinta, dalla prima volta in cui quella figura nera le si era palesata, che si trattasse di un uomo la cui vita risultava pressoché perfetta: aveva un tetto sopra la testa, cibo quando voleva, persone che - almeno così lei aveva pensato - lo amavano e rispettavano, una posizione di rilievo nella società e, si era detta, che pene poteva aver mai sofferto? Nessuna, perché un uomo come il curato, ai suoi occhi, non poteva davvero aver vissuto un'esistenza misera. Ma la zingara, si rese conto, non si era mai sbagliata tanto. Aveva scambiato l'ossessione dell'uomo di Dio per un capriccio, quando invece si trattava di un disperato bisogno d'amore, deformato dagli anni passati senza affetti. Che stupida era stata a giudicarlo senza conoscerlo, perché così facendo si era resa come quelle persone che giudicavano lei per il colore della sua pelle.

- Io non pensavo... - 

Presto le lacrime cominciarono ad annebbiarle la vista, raccogliendosi agli angoli degli occhi. Ma lei tentava, con tutte le forze, di non lasciarsi andare alla commozione, di apparire più donna e meno bambina.

- Bambina, perché queste lacrime? Non era mia intenzione provocarle. - 

L'uomo addolcì la propria espressione, osservando la sua adorata zingara. Ella cercava di trattenersi, perché, in fondo, non capiva a cosa quella commozione fosse dovuta, eppure ora l'arcidiacono le suscitava un senso di tristezza profonda.

- Mi spiace. Non piango. - 

Si sfregò gli occhi, con il solo risultato di arrossarli. C'era un uomo dietro quell'ombra che l'aveva perseguitata, che aveva addirittura infestato i suoi sogni. C'era un uomo, sotto il cappuccio nero, austero come la cattedrale di Notre Dame, imponente come essa, ma piegato e deturpato dagli uomini che lo avevano ridotto ad un involucro freddo e privo di vita. Ma quell'involucro, riscaldato da un nuovo sentimento come l'amore, ad esso sconosciuto, si era deformato, come la carta sulla fiamma.
Oh! Sciocca che era stata! Tuttavia un briciolo di paura non abbandonava il suo cuore giovane.
Lentamente il curato scivolò contro il muro, fino a sdraiarsi nuovamente, con un sospiro.

- Non dispiacerti. - 

Si mise meglio, riacquistando un tono piuttosto neutro, nonostante nei suoi occhi ci fosse un bagliore di tenerezza e comprensione.
Sperava, l'arcidiacono, che quella confessione potesse avvicinare la ragazza a lui. Non voleva suscitarle pietà, ma farle sapere, scusarsi, in quel modo, per tutto il male che le aveva fatto, facendole sapere che nei suoi gesti non c'era stata cattiveria, bensì un profondo bisogno di lei, del calore che trasmetteva e di quell'amore di cui sembrava piena.

- Posso chiederti una cosa? - 

La guardò, con aria leggermente stanca. La Esmeralda annuì, osservando il petto dell'uomo che si alzava e si abbassava placidamente, non affannato come i giorni precedenti o la notte in cui aveva tentato di possederla. Era come se la febbre avesse fatto emergere un uomo nuovo, decisamente meno spaventoso.

- Chiedete. -
- Potresti cantare qualcosa per me? - 

Quella domanda tanto semplice ebbe il potere di far irrigidire la ragazza e sgranare gli occhi, in una genuina espressione di incredulità. Tutto si sarebbe aspettata da lui, tranne quello.

- Cantare? Perché vorreste sentirmi cantare? -
- Perché mi è sempre piaciuto. -
- Credevo lo odiaste... -
- Mi distraeva dai miei compiti, dai miei doveri, eppure riusciva a mettermi il cuore in pace, almeno un po'. -
- Io... - La ragazza prese a giocare con i ricci neri, per poi stringersi nelle spalle e accennare un sorriso. - Se vi fa piacere. - 

Fece un cenno del capo, pensando a cosa potesse cantargli. Decise di intonare una nenia andalusa, dolce, carezzevole, che potesse far risaltare il suo accento straniero e conciliare il riposo all'uomo. Stranamente quella richiesta le aveva imporporato le guance e le aveva fatto provare uno strano calore nel ventre. Frollo la osservava, si beava della sua voce, ma le palpebre cominciarono quasi subito a farsi pesanti, per via dei postumi della febbre. Si addormentò con la canzone della giovane nelle orecchie, con quei piacevoli brividi nel corpo che quella voce riusciva a procurargli. Esmeralda tacque solo quando fu completamente sicura che il prete si fosse assopito. Ella si portò le mani alle guance, scoprendole calde, probabilmente arrossate. Respirava in mondo un po' concitato, non tanto per il canto, quanto per una strana sensazione di soddisfazione ed eccitazione che le era fiorita nel petto poco prima.
Fu costretta ad alzarsi e ad uscire, per poter respirare a pieni polmoni senza disturbare il curato. Sorrideva, la piccola, perché l'uomo che le incuteva tanto timore le aveva chiesto di cantare in un modo tanto gentile, con occhi pieni di... Cosa? Non era il bagliore della lussuria quello che vi aveva visto dentro, ma un sentimento meno bruciante, eppure altrettanto forte. Amore, forse? Phoebus, su disse la ragazza, non l'aveva guardata così. Lui non aveva avuto quella luce negli occhi quando l'aveva toccata, quasi spogliata.

- Esmeralda, hermana mia. - 

Quella voce tanto scura e profonda la fece sobbalzare e voltare di scatto, spegnendole il sorriso che aveva in volto.

- Fratello mio... - 

Sussurrò, osservando il re di Thunes poggiato, con le braccia incrociate sul petto, alla parete vicino alla porta da cui lei era uscita. Egli la guardava, torvo in viso, mentre si mordeva l'interno delle guance, evidentemente nervoso.
- Ora canti per lui, Esmeralda? - 

Chiese, inquisitorio, staccandosi dal muro e cominciando a camminare attorno alla ragazza. Pareva di vedere un animale selvatico pronto ad attaccare, anche se lui non avrebbe mai fatto del male alla sorella. Eppure lei, in quel momento, non riuscì a nascondere un fremito di paura, tanto che si fece ancora più piccola, voltandosi di tanto in tanto per seguire l'andamento dello zingaro.

- Me lo ha chiesto, avrei forse dovuto dire no? -
- Non gli devi nulla, nemmeno questo. Potevi rifiutare, sì. Ti stai comportando da sciocca. - 

Quell'affermazione fece assumere all ragazza un'espressione risentita.

- Faccio quello che ritengo giusto! -
- Parli di quello che è giusto, ma in realtà non sai niente. Sei solo una ragazzina dal cuore troppo tenero, Esmeralda! Non voglio che ti avvicini più a quell'uomo. - 

Ringhiò, puntandole un dito contro e poi prendendola per un polso, con l'intento di trascinarla via da lì. La ragazza, però, puntò i piedi, liberandosi con uno strattone dalla presa del fratello che, per non farle male, non aveva stretto troppo.

- No! - 

Urlò contro di lui, con il cuore che traboccava d'orgoglio. Perché tutti la credevano nulla più che una bambina e si sentivano in diritto di decidere della sua vita?

- Fratello, cacciami dalla Corte, se vuoi, ma non cambierò idea. Si tratta di una mia scelta! - 

Lo schiaffo arrivò senza preavviso. Clopin la guardava con il mento alzato, mentre la giovane si copriva la parte colpita, che bruciava prepotentemente. Ella teneva le labbra socchiuse, incredula. Mai, prima di allora lo zingaro aveva osato colpirla o anche solo accennare a farle del male, ma la rabbia e il risentimento nei confronti dell'arcidiacono avevano preso il sopravvento e l'egiziano aveva un temperamento piuttosto incline alla collera.

- Le tue scelte ti hanno portata molto vicina alla morte già una volta. Ti hanno portata tra le mani di un uomo che voleva violentarti e ora tu gli canti canzoni come fosse uno di noi. Ma il fatto è, Esmeralda, che gli uomini come lui sono come serpenti. È infido, pericoloso. Vedrai: ti farà del male e sarai tu stessa a permetterglielo. Ti sei innamorata di un'armatura e ora di una tunica. Ormai non ti riconosco più. - 

Parlava, lo zingaro, con voce fredda, incrinata di tanto in tanto dalla collera. Non poteva credere a quello che le sue orecchie avevano sentito e i suoi occhi visto.

- Lo farò portare via da qui, visto che tu non vuoi ragionare e ti opponi alla sua morte. -

Il re di Thunes sputò a terra con disprezzo, per poi allontanarsi a grandi passi. Esmeralda rimase immobile, la mano premuta sulla guancia e il petto che tremava, tra la rabbia e lo sconforto. Si morse forte il labbro inferiore, piegando il viso in una smorfia di dolore, non fisico, bensì dovuto alla delusione. Si precipitò, allora, nuovamente nella stanza in cui il curato riposava. Non voleva rimanere sola, ma nemmeno che qualcuno le facesse domande, per cui la sua testa le aveva indicato quella via, forse anche per timore che lo portassero via senza che lei potesse fare nulla. Ma, in realtà, perché le importava tanto? Davvero non capiva e questo non fece che alimentare quelle fiamme di rabbia che piano le crescevano dentro. Era davvero come diceva il fratello o c'era di più?
La ragazza si prese la testa fra le mani, affondando le dita tra i capelli neri e digrignando i denti mentre le lacrime cominciavano a solcarle, copiose, le guance. E come quelle gocce salate, lei scivolò contro la porta in legno, singhiozzando in silenzio, perché non voleva svegliare il prete. La gitana si lasciò andare allo sconforto, rievocando, insieme agli attimi appena passati, tutto ciò che di brutto le era successo nelle settimane passate. La sua mente passava da un ricordo ad un altro: prima il matrimonio di Phoebus, poi la notte in cui l'arcidiacono aveva tentato di possederla, poi la tortura, poi la notte in cui aveva visto quel ragazzo morire. Oh, avrebbe voluto urlare con tutto il fiato che aveva in gola, urlare contro il fratello, contro il capitano, contro il prete e contro il cielo, perché se lì si trovava davvero un Dio, allora doveva essersi dimenticato di lei. L'unica cosa che, però, le uscì dalle labbra fu un singulto, seguito da singhiozzi più rumorosi, che non riuscì a trattenere, ad ingoiare. Il Fato l'aveva forse abbandonata, come il senno?
Frollo si mosse appena sul suo giaciglio, corrugando le sopracciglia perché i rumori del pianto gli si erano insinuati nelle orecchie, andando ad intaccare un sonno in principio sereno. Serrò le palpebre, mentre vivide immagini gli si disegnavano davanti, ancora una volta. Si trovò ad osservare il proprio corpo, in una prospettiva strana, come quando si sta a cavalcioni di una finestra e si può vedere dentro e fuori; così lui vedeva il proprio corpo da fuori e dal normale punto di vista. Cercò di svegliarsi, conscio del fatto di stare sognando, eppure sembrava impossibile. Non poteva muoversi nemmeno nel sogno, se non voltare la testa. Presto vide la ragazza boema avvicinarsi a lui, con passo lento, indossando gli stracci bianchi di quando era stata condannata. Che visione misera era quella, rispetto a quando era vestita di ogni colore esistente.

- Esmeralda... - 

L'arcidiacono tentò di mettersi a sedere o di allungarsi verso di lei, ma, ovviamente, era inutile. Così rimase fermo, arreso e, in fondo, curioso di sapere dove il suo inconscio lo avrebbe portato.
La gitana si sedette sul bordo del giaciglio, senza dire una parola, tenendo gli occhi bassi. Prese poi a slacciare la camiciola che copriva il corpo del curato, con gesti lenti, ma sicuri. Claude Frollo deglutì, sentendo il fiato venirgli meno.

- Esmeralda, cosa fai? - 

Quella, senza dargli risposta, lo liberò del tutto dalla veste, lasciandolo nudo. Provava vergogna, il curato, nonostante non si trattasse di altro che immagini nella sua mente.
La ragazza, fuori da quel sogno, non si era accorta del leggero muoversi delle mani dell'uomo, poiché aveva nascosto il viso nei palmi delle mani, scioltasi completamente in quel pianto disperato.

- Te ne prego, non farlo. - 

La supplicò l'uomo di Dio, in quel sonno surreale. Ma la ragazza continuava a non ascoltarlo. Anch'ella si tolse lo straccio, lasciandolo cadere a terra con un unico gesto. Fu solo un attimo, ma Frollo riuscì ad intravedere i suoi occhi neri rossi di pianto, spenti, assenti.

- Fermati... - 

Sussurrò lui, ancora, ma lei si era già seduta cavalcioni su di lui. Egli non riuscì a provare piacere nel momento in cui la ragazza fece in modo che lui potesse entrare il lei. Non provò nulla, se non un profondo senso di paura e dispiacere.
Poi la gitana cominciò a muovere le anche, ma qualcosa non andava, Frollo lo sentiva. Non passò molto prima che qualcosa di caldo e umido gli cadesse sul ventre. Ed allora si accorse che la giovane piangeva, piangeva senza sosta. C'era dolore sul suo viso e nei mugolii che di tanto in tanto abbandonavano le sue labbra. Avrebbe voluto stringerla, costringerla a separarsi da lui e coprirsi, nonostante fino a pochi giorni prima la desiderasse ardentemente.
Continuando a muoversi, tra le lacrime, la Esmeralda poggiò una mano sul petto di Frollo, sfiorando con la punta delle dita il crocefisso che teneva al collo e con il palmo le cicatrici che si era procurato vedendola torturare. Poi, quella mano ambrata, scese lentamente, percorrendo torace, ventre, fino all'ombelico, per fermarsi dove i loro corpi si incontravano. L'arcidiacono osservava la scena, attonito, odiandosi per tutto quello, anche se in realtà non ne aveva colpa.
Sotto i suoi occhi la manina di Esmeralda penetrò sotto la pelle, come fondendosi con essa. Lì rimase per qualche secondo, facendo provare all'uomo semplicemente un senso di calore estremo, ma non dolore; poi l'arto ripercorse il corpo dell'uomo in direzione contraria, sobbalzando ogni tanto, per il continuo movimento della giovane. Al passaggio della mano della zingara la pelle pallida del curato si apriva, si strappava come avrebbe fatto la stoffa, lasciando il posto ad un corpo più giovane, di carnagione leggermente più scura. La parte di coscienza che osservava la scena dall'alto fece capire al curato a chi quel corpo appartenesse, anche prima che la mano lacerasse la pelle del viso, lasciando il posto a una testa di ricci biondi e ad una faccia che Claude aveva tanto odiato.

- Smettila! Esmeralda, basta! - 

Le urlò lui, fuori dal proprio corpo, perché ormai quello sul giaciglio non era più lui, ma un animale, un ragazzo che godeva ad ogni minimo movimento della giovane, che la toccava ovunque senza che lei protestasse, ancora straziata da un pianto incessante.
L'ultima cosa che vide fu il sangue sul pube del giovane e tra le gambe della piccola boema, poi, finalmente, il suo corpo, decise di rispondergli e lui si ritrovò nella stanza in cui si era assopito.
Si puntellò sui gomiti, sudato ed agitato, cercando con gli occhi la zingara che, fortunatamente, trovò seduta sulla porta. Si era addormentata tra le lacrime e non si era accorta del risveglio dell'arcidiacono. Frollo, allora, rilassò i tratti del viso. Ormai, le braci della passione, erano state completamente estinte, complice l'incubo. Era deciso a non farle del male, a non essere come colui che tanto disprezzava. Non voleva essere causa di dolore per la piccola, non voleva essere l'uomo che l'avrebbe presa con la forza, scatenando quelle lacrime che nel sogno lo avevano così turbato.
Egli si passò una mano sul viso, per poi mettersi a sedere, anche se con qualche difficoltà. Mosse la caviglia offesa, osservandola. Doleva, ma era un dolore sopportabile, aveva solo bisogno di abituarsi. Così si alzò, poggiandosi con le mani al muro e tastando il terreno, per capire se sarebbe riuscito nel suo intento. Il giramento di testa era quasi completamente svanito, il suo corpo non sembrava più soggetto a febbre alta e le sue gambe, dopo un paio di minuti, avevano ripreso a rispondergli come di dovere. Allora mosse qualche passo verso la giovane, sollevandola piano, dando fondo a tutte le forze appena ritrovate. Per un attimo credette di non riuscire, ma lei era talmente esile che anche per un corpo appena rinsavito dalla malattia era facile trasportare quel corpicino. Dunque la posò sul letto, coprendola, mentre la Esmeralda si rannicchiava di lato.
Il prete si mordicchiò un dito, pensieroso. Forse era una follia, una pazzia, ma volle sfiorarle il viso, scostare i ricci da esso per poterla osservare meglio. Subito notò sulla guancia un segno rosso, che ormai andava a scomparire. Cosa era successo? L'avevano colpita? Claude Frollo scosse la testa, sospirando. Non era difficile capire che la causa di tutto quello era proprio la sua presenza lì.
Guardandosi attorno notò, piegata in un angolo, la sua veste nera. Vi si avvicinò, incerto sulle proprie gambe, per poi indossarla. Ritrovarsi nuovamente ammantato di nero gli fece uno strano effetto, come ritornare in un posto conosciuto dopo tanto tempo. Lisciò la stoffa spessa e ruvida, assaporando con i polpastrelli la sensazione che essa gli dava. Più che la sensazione di un posto conosciuto, quella tunica significava per lui tornare ad indossare il guinzaglio della Chiesa, tornare ad essere prete e non più uomo. Decise, per il momento, di ignorare quell'orribile sensazione e sedersi accanto alla ragazza, dove lei aveva vegliato lui, ma ora i ruoli erano invertiti.
Era solo una bambina e lui l'aveva creduta l'incarnazione del Demonio. Per cosa, poi? Perché non aveva voluto riconoscere che l'Inferno lo aveva lui dentro, che solo lui si stava portando al disastro e non lei. Aveva, come fanno i bambini, incolpato lei per un peccato che, al contrario, era nato puramente dalla mancanza di affetto che lui aveva provato. Sperava davvero che Dio potesse essere buono con lei e, un giorno, ripagarla di tutte le sofferenze che stava passando.

Claude Frollo voltò la testa, sentendo la porta cigolare e rivelare, al di là di essa, Clopin Trouillefou che, con un cenno della testa - e una certa sorpresa, nascosta dalla barba e dell'espressione accigliata - lo invitò ad uscire, anche se, probabilmente, doveva essere un ordine. Così il curato si alzò, zoppicando fuori dalla stanza e raggiungendo lo zingaro, che chiude la porta prima che il prete potesse guardare, per un'ultima volta, l'amata.

- Voglio ve ne andiate. Non posso uccidervi per motivi che non devo spiegarvi, ma giuro sulla Corte che se rivelerete cosa è successo qui, allora non esiterò a tagliarvi la lingua, insieme a qualche arto. - 

L'arcidiacono annuì, nonostante osservasse il re di Thunes con la sua solita aria di superiorità.

- Credo vi siate accorto del fatto che qui si trovano due persone a me care, per cui era evidente che non avrei rivelato a nessuno di questa cosiddetta Corte dei Miracoli. - 

Il tono era freddo, quasi di scherno, cosa che fece digrignare i denti a Clopin, soprattutto perché, ne era certo, una delle persone a cui aveva fatto riferimento era la sorella.

- Vi conviene non parlare così a me. Non sono di certo uno di quegli ometti che pende dalle vostre labbra. -
- No, certo. Voi siete un re. - 

Frollo portò le mani dietro la schiena, drizzando le spalle, cercando di non dare peso alla caviglia che gli chiedeva un attimo di tregua.

- Andatevene, demonio. Il vostro amico vi aspetta e vi benderà. Vogliamo essere sicuri che nessuno riesca a trovare il nostro regno. Non ci fidiamo di voi. -
- Comprensibile. - 

Claude Frollo si passò la lingua sulle labbra, osservando Pierre che si avvicinava a lui e che, fino a quel momento, era rimasto nascosto nell'ombra. Venne bendato, come era stato detto e le uniche cose che poté conservare di quel luogo furono gli odori e i rumori, nulla più, oltre il senso di libertà e vita di cui tutto era pregno.


Note: eccomi con un nuovo capitolo! Purtroppo per me è un periodo in cui non riesco a trovare la giusta ispirazione, per cui sto andando a rilento. Spero comunque di non deludervi. Nel caso abbia lasciato qualche errore non esitate a farmelo notare e fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, è cosa molto apprezzata. Detto questo vi ringrazio infinitamente per aver letto. Al prossimo capitolo!

Si Vis Amari, AmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora