II

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Esmeralda non era riuscita a chiudere occhio per tutta la notte dopo la visita dell'arcidiacono. Il pensiero che potesse entrare nuovamente nella celletta e toccarla con quelle mani fredde e invadenti le scatenava subito un conato di vomito.

La piccola aveva passato le ore ad accarezzare i punti in cui il prete aveva posato le sue lunghe dita. Ad un certo punto aveva anche deciso di pulire quel lembi di pelle con una pezza imbevuta nell'acqua, come se avesse potuto cancellare così le tracce invisibili lasciate dall'uomo. Ma la verità era che il tocco dei suoi polpastrelli si era come impresso a fuoco nell'anima della dolce bambina. Ella tremava, ancora in preda alla paura, alla vergogna e all'orrore. A malapena riusciva a smettere di piangere. Fu solo con le prime luci del giorno che riuscì a trovare un po' di conforto. La giovane si strinse alla capretta e, con il naso premuto contro il suo pelo latteo, si lasciava scaldare da quel sole che tanto le ricordava il suo amato capitano. Oh, perché l'aveva lasciata sola? Perché quell'orribile prete glielo aveva portato via tanto disgraziatamente? Le aveva strappato il suo primo amore, provocandole un dolore sordo alla base dello stomaco, come se fosse stata colpita lei direttamente.
Ella alzò la testa dal suo animaletto solo quando sentì le campane risuonare placide sopra la sua testa, per mano del deforme campanaro. Sotto di lei, invece, sentiva il suono attuto di canti e voci che parlavano in una strana ed incomprensibile lingua. Le sembrava quasi fosse una cantilena proveniente da un mondo totalmente diverso dal loro e, per lei, era effettivamente così. Lei non apparteneva a quella gente e non ne avrebbe mai fatto parte, per questo motivo non li capiva. Lei era libera, loro incatenati; lei non aveva un Dio a cui rendere conto, mentre loro vivevano sotto i suoi dettami ogni giorno. Non era come sentirsi prigionieri ogni giorno della propria vita? E quel prete non era forse più legato degli altri a quelle costruzioni?
La Esmeralda scosse la testa, decisa a non lasciar entrare in lei nessun accenno di pietà. Sopì quell'istinto da bambina innocente, decidendo di sostituirlo con il terrore per quello che aveva cercato di farle. Se non ci fosse stato Quasimodo l'avrebbe... Strinse gli occhi, abbracciando ancora più forte Djali. Perché la sensazione delle mani sul suo corpo non se ne andava? Perché le sentiva ancora risalire le cosce ed insinuarsi sotto la sua gonna, fino a raggiungere la sua intimità.
La gitana si portò una mano alla bocca, cercando di sopprimere quel senso di nausea che stava provando, ma fu costretta a piegarsi di lato, su sé stessa. Non fece in tempo ad afferrare qualcosa dentro cui rimettere, finendo con lo sporcare il pavimento, parte delle coperte e della sua veste sgualcita. La piccola teneva in braccio attorno al corpo, tremando e con un rivolo di saliva che le scendeva fino al mento. Rimase immobile, con gli occhi bassi ed arrossati per lo sforzo, umidi. La capretta di strusciò contro di lei, cercando di consolarla, di farle capire che non era sola. Ma la sua padrona non la degnava di uno sguardo, in quel momento era come invisibile, poiché la ragazza si era persa nei recessi della propria mente. Ballava, la piccola, in un prato infinito e verde, dove nessuno avrebbe potuto toccarla o fermarla, dove non ci sarebbe stato alcun male o prete demoniaco.
Poco più tardi il campanaro si preoccupò di portare la colazione alla giovane reclusa, ma quando la vide pallida e vicino ad una pozza di bile, si affrettò a lasciare le vivande da parte e ad avvicinarsi a lei, preoccupato. Poco gli importava in quel momento di come lei voltasse lo sguardo per non guardarlo in viso. Quasimodo le prese una mano, accarezzandola piano.

- Stai male? -

Le chiese con incertezza, la lingua impastata dalla sordità. Lei scosse la testa, mordendosi le labbra. Il ragazzo le lasciò allora la mano, preoccupandosi di pulire il più velocemente possibile le travi su cui lei aveva rimesso, per poi trarre fuori da un piccolo baule in fondo alla stanza coperte nuove. Più tardi le avrebbe portato anche una veste che, purtroppo, sarebbe stata del tutto uguale a quella che aveva: pallida e anonima. Guardandola in viso si accorse delle profonde occhiaie e del viso scavato, segno di stanchezza e indebolimento. Le comunicò a gesti di mangiare, si offerse anche di imboccarla, ma lei rifiutò, scostando le grosse braccia del campanaro.

Si Vis Amari, AmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora